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La trasmissione della vita psichica tra le generazioni: dalle prime intuizioni psicoanalitiche alla verifica dell’epigenetica. A. Sonnino

3/09/24
La trasmissione della vita psichica tra le generazioni: dalle prime intuizioni psicoanalitiche alla verifica dell’epigenetica. A. Sonnino

William Kentridge, 2022 Make me Live Again

La trasmissione della vita psichica tra le generazioni: dalle prime intuizioni psicoanalitiche alla verifica dell’epigenetica

Alberto Sonnino

Parole chiave: Trasmissione transgenerazionale, trauma, epigenetica, Shoah, psicoanalisi della religione

ABSTRACT Sebbene Freud ne avesse già scritto sin dal 1897, 1912 e 1934, la trasmissione inconscia della vita psichica tra le generazioni rappresenta un tema approfondito in modo più sistematico dalla psicoanalisi solo a partire dagli Novanta, specialmente in rapporto alle problematiche scaturite dai traumi massivi collettivi.  Le scoperte dell’epigenetica sembrerebbero confermare le intuizioni e la teorizzazione psicoanalitica avendo dimostrato la presenza di alterazioni del genoma nelle generazioni successive alle vittime della persecuzione nazifascista.

La teoria psicoanalitica, sebbene non abbia posto le influenze psichiche trasmesse dalle generazioni precedenti al centro dei diversi modelli clinici, si è occupata molto precocemente del loro passaggio inconscio da una generazione all’altra.

 Se già Freud in una lettera a Fliess (11 gennaio 1897) e nella Minuta L del 1897, accenna alla psicosi quale patologia causata da una nevrosi presente nella generazione precedente ed alla “trasmissione della combinazione di esperienze proprie con le vicende vissute dai genitori e perfino dagli antenati”, sarà nel 1913 che verranno prodotti sull’argomento i contributi più significativi di Abraham, Jones ed ancora di Freud con Totem e Tabù.

Nell’articolo “Alcune osservazioni sul ruolo dei nonni nella psicologia delle nevrosi” (1913), infatti, Abraham segnala come fosse rimasto sorpreso nell’osservare che alcuni pazienti portassero il discorso sui propri antenati, pur senza mai aver avuto con loro contatti diretti, mentre Jones, nel lavoro “La fantasia del capovolgimento delle generazioni” (1913), nota la tendenza frequentemente riscontrata ad educare i figli sulla base del carattere dei propri genitori, stabilendo così una concatenazione nel passaggio di contenuti psichici da una generazione all’altra, pur in assenza di un contatto diretto.

L’ipotesi di una trasmissione psichica transgenerazionale, sul piano inconscio, indipendentemente dall’esperienza o dal contatto diretto, viene elaborata in modo più articolato da Freud in Totem e tabù del 1912-14 e successivamente nell’Uomo Mosè e il monoteismo (1934-38).

Nei due lavori, strettamente connessi tra loro soprattutto riguardo la teorizzazione freudiana sulla nascita della religione, viene sostanzialmente delineata la concezione di una verità storica (espressione dell’elaborazione psichica di un fatto), da differenziare da quella materiale, (corrispondente al “fatto in sé”), ma soprattutto viene indicato il parricidio primordiale e la successiva colpa, entrambe rimossi, quale momento fondante il sentimento religioso che verrebbe successivamente trasmesso alle generazioni successive.

Su tale passaggio, inoltre, sembra interessante la lettura di Yerushalmi che, nel suo “Il Mosè di Freud. Giudaismo terminabile e interminabile” (1991), ricorre proprio alla teoria di una trasmissione inconscia transgenerazionale per spiegare l’origine di quell’identità ebraica di Freud sulla quale si interrogava profondamente e che non ha mai esplicitamente rinnegato, sebbene avesse rigettato sia l’adesione a qualunque forma di rituale religioso che la stessa fede in Dio (v. anche gli approfondimenti di Meghnagi, 1992, 2010).

I caratteri identitari del singolo come di una collettività, secondo Yerushalmi, in linea con Totem e Tabù e poi con il Mosè di Freud, si trasmettono inconsciamente, da una generazione all’altra, indipendentemente dal contatto diretto o dall’esperienza vissuta.

Su questo punto, ossia sulla necessità del carattere inconscio dei contenuti psichici trasmessi, si incentra la questione relativa al potere patogeno delle esperienze o dei fatti psichici quando consegnati alle generazioni successive.

Freud, infatti, in Totem e tabù, rispetto all’osservazione sul potere condizionante della fede religiosa che si tramanda di padre in figlio, sottolinea l’importanza che l’elemento trasmesso sia rimosso, non causando le stesse conseguenze tutto ciò che viene consegnato ed appreso sul piano consapevole o acquisito attraverso l’esperienza diretta. Anche per questo condividiamo la distinzione di Nicolò tra “trasmissione intergenerazionale”, che riguarderebbe contenuti psichici consci, come storie, aneddoti e tradizioni familiari, e “trasmissione transgenerazionale”, relativa al materiale inconscio (2000).

Scrive infatti Freud (1934-38, pp. 421-22): “Una tradizione fondata solo sulla comunicazione non potrebbe produrre quel carattere coatto che è tipico dei fenomeni religiosi. Essa sarebbe ascoltata, criticata, fors’anche respinta come ogni altra notizia proveniente dall’esterno… Essa deve avere sperimentato il destino della rimozione, la condizione di indugio nell’inconscio, prima di poter sviluppare al suo ritorno effetti così potenti, prima di poter incantare le masse” (citato da Yerushalmi, 1991, p. 90).

Ad analoghe conclusioni giungono anche Kaes e coll., i quali, diversi decenni dopo (1993), ribadiscono che gli effetti patogeni della trasmissione transgenerazionale si vengono a determinare proprio per il carattere inconscio di ciò che viene consegnato e che, nella loro esaustiva definizione, arriva a “colonizzare” la psiche di chi riceve il contenuto trasmesso. L’esempio cui ricorrono gli autori francesi è relativo alla presenza in famiglia di una patologia psichiatrica di cui soffrirebbe un genitore e che può comportare conseguenze negative nei figli soprattutto se non riconosciuta, cioè se denegata. Si pongono, più in particolare, analogie con il meccanismo di identificazione proiettiva, ma che i limiti di questo contributo non ci consentono di approfondire.

Quanto fin qui premesso, ossia l’importanza del carattere inconscio, quindi di inaccessibilità alla coscienza, di quanto trasmesso, per sottolineare l’osservazione relativa al fatto che proprio le conseguenze psichiche degli eventi traumatici sono quelle che, in modo particolare, risentono del fenomeno della trasmissione alle generazioni successive dei propri effetti. Ovviamente, ci riferiamo a traumi dotati di particolare complessità, per la loro gravità, profondità o per essere tali da coinvolgere intere collettività.

La trasmissione degli effetti del trauma della Shoah, che ha investito l’intera popolazione ebraica e non solo in Europa durante il secondo conflitto mondiale, ne è un esempio paradigmatico.

Milioni di persone, infatti, durante la persecuzione nazifascista, sono state portate a morte, senza una ragione comprensibile, dopo essere state private dei propri beni, della propria dignità e dell’affetto dei propri cari. Un trauma collettivo, che ha colpito un’intera popolazione ed i cui effetti si sono riverberati sulle generazioni successive investite del compito di dover mantenere viva la memoria di una tragedia rimasta chiusa in un silenzio che si è protratto per circa sessant’anni (Wardi, 1992).

Ciò perché, come una ricca documentazione testimonia[1], i sopravvissuti alla Shoah per oltre mezzo secolo non sono riusciti ad esprimere i propri vissuti e a condividere i propri ricordi per la difficoltà di rivivere l’esperienza patita attraverso il racconto[2], configurando quella che Danieli ha definito la congiura del silenzio (1984,1998), ma anche, e forse soprattutto, per l’incapacità dell’ambiente circostante di raccogliere il peso emotivo che sarebbe stato eventualmente trasmesso o anche, forse, per evitare il rischio di una colpevolizzazione, esplicita o implicita: “cosa ha fatto il mondo intorno ad Auschwitz mentre i corpi bruciavano nei forni?”[3]

Il racconto dell’esperienza traumatica può creare difficoltà di accoglimento e contenimento anche nel rapporto analitico individuale (Giaconia e Racalbuto, 1997), potendo provocare senso di impotenza, ferite narcisistiche, livelli di angoscia da condividere (Sonnino, 2022, 2022a), e quindi ancor di più, forzando un’analogia tra funzionamento psichico individuale e della massa, riteniamo che medesime difficoltà si riscontrino a livello collettivo.

Dunque, per le teorizzazioni psicoanalitiche è ormai acclarato che i contenuti psichici vengono trasmessi tra le generazioni, sia consapevolmente che inconsciamente e, in quest’ultimo caso, esponendo ad effetti che possono investire l’equilibrio, individuale e collettivo, fino a causare ripercussioni di interesse psicopatologico e psicosomatico, in special modo se si tratta di esperienze traumatiche, come dimostra anche l’epigenetica.

La comparsa, infatti, di disturbi psichici, e perfino di alterazioni del genoma, nelle popolazioni oggetto di traumi collettivi imponenti, testimonia quanto profondi possono essere gli effetti di questa trasmissione.

Gli studi di R. Yehuda (2001, 2016), infatti, hanno dimostrato che i figli e i nipoti delle vittime della Shoah, oltre ad avere una maggiore suscettibilità a manifestare i sintomi del disturbo postraumatico, pur senza essere stati loro stessi oggetto di traumatismi psichici, avrebbero subito alterazioni a livello del DNA.

In particolare, in uno studio del 2016, la ricercatrice newyorkese ha dimostrato i cambiamenti di una proteina del DNA, il gene FKBP5, correlato agli ormoni dello stress, nei figli dei sopravvissuti alla Shoah, modificazione assente nei discendenti di ebrei che non sono stati vittime dello steso trauma. La popolazione studiata, sebbene il numero fosse esiguo, dunque, oltre a manifestare la sintomatologia psichica caratteristica del disturbo post-traumatico, come già rilevato in un precedente studio del 2001, avrebbe presentato modificazioni del proprio DNA.

Caso clinico

Una giovane paziente inizia un’analisi realizzando quanto fosse intimorita nelle relazioni di coppia, all’interno delle quali si pone sistematicamente in modo eccessivamente accondiscendente e remissivo, fino alla sottomissione, senza ragione apparente.

La sensazione descritta, pur essendo una donna giovane e forte, sia fisicamente che come ruolo sociale e professionale, era quella di una paura di fondo, come se avesse dovuto aspettarsi continuativamente aggressioni o violenze da un non meglio identificato persecutore la cui immagine veniva inconsapevolmente spostata sul partner del momento.

La pratica di sport di autodifesa non sembra riuscire a rassicurarla, finché non emerge il racconto, riportato dalla madre, di una nonna sposata in seconde nozze con un uomo dedito all’alcool, imponente fisicamente, con mani grandi e minacciose, spesso incline a picchiare la moglie, nonna della paziente ed i figli, tra cui la madre della paziente, la quale, a sua volta, sembrerebbe aver scelto come compagno di vita un uomo debole, timido, insicuro e per questo inadatto ad incutere timori.

La trasmissione di una paura profonda nei confronti delle figure maschili, dalla nonna alla paziente, che non aveva avuto prima dell’inizio dell’analisi alcuna informazione su queste vicende, sebbene fosse consapevole delle caratteristiche specifiche del padre, oltre che del giudizio che di questi aveva la madre, sembrerebbe essere stata alla base del particolare atteggiamento remissivo assunto lungamente nei confronti dei partners, fino ai cambiamenti che il lavoro analitico di rivisitazione della storia familiare ha permesso di realizzare.

BIBLIOGRAFIA

Abraham K. (1913).  Alcune osservazioni sul ruolo dei nonni nella psicologia delle nevrosi. Torino, Boringhieri, vol. I.

Correale A. (2000). Psicoanalisi e psicosi: fino a che punto indagare l’area traumatica? Riv. Psicoanal., 4, 707-730.

Danieli Y. (1984). Psychoterapists’ partecipation in the conspiracy of silence about the Holocaust. Psychoanalytic Psychology, 1, 23-42.

Danieli Y. (1998). (a cura di) International Handbook of Multigenerational Legacies of Trauma. Plenum Press, New York and London.

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Freud S. (1887-1904). Lettere a Wilhelm Fliess. Torino, Boringhieri,1986.

Freud S. (1912-14). Totem e Tabù. OSF 7. Torino, Boringhieri.

Freud S. (1934-38). L’Uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi. OSF 11. Torino, Boringhieri.

Jones E. (1913). La fantasia del capovolgimento delle generazioni. In Teoria del simbolismo. Scritti sulla sessualità femminile e altri saggi. Roma, Astrolabio, 1972.

Kaës R., Faimberg H., Enriquez M., Baranes J.J. (1993). Trasmissione della vita psichica tra generazioni. Roma, Borla, 1995.

Meghnagi D. (1992).Il padre e la legge. Freud e l’ebraismo. Venezia, Marsilio.

Meghnagi D. (2010). Il testamento spirituale di Freud: i tre saggi sull’Uomo Mosè e la religione monoteistica. International Journal of Psychoanalysis and Education. IJPE, 2010 vol. II, n° 2.

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Yehuda R. e coll. (2001). Relationship of parental trauma exposure and PTSD to PTSD, depressive and anxiety disorders in offspring. J. Psychiatr. Res., 35(5): 261-70. Wardi D. (1992). Le candele della memoria. I traumi dell’olocausto come vengono trasmessi ai figli dei sopravvissuti. Milano, Sansoni, 199


[1] Per un approfondimento del tema v. Sonnino, 2022.

[2] V. Correale A. (2000).

[3] Sonnino A., intervento letto al Quirinale, alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in occasione delle celebrazioni per la Giornata della Memoria, 27 gennaio 2020 (https://www.youtube.com/watch?v=JD4gxFuZLBo).

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