La Cura

La funzione delle immagini strutturanti. Antonello Correale

12/06/24
La funzione delle immagini strutturanti di A. Correale

GERARD RICHTER 2000

Parole chiave:

Parole chiave: Psicoanalisi, Psichiatria, Joyce, Epifania, Sogno, Inconscio

La funzione delle immagini strutturanti

Il concetto di epifania dalla letteratura alla psichiatria

di A. CORREALE

Mi propongo come obiettivo di indagare un concetto, quello di epifania, che proviene da ambiti letterari e filosofici, e più precisamente dalla critica letteraria, ma che presenta una particolare utilità, se impiegato nel contesto dell’incontro tra psicoterapia e paziente.

Proporrò prima una definizione del concetto.

Seguirà poi una brevissima storia del suo uso.

Utilizzerò quindi alcune chiavi di lettura, per mostrare in che modo questo concetto sia adatto a mettere in luce alcune fasi del rapporto terapeutico, quelle più precisamente, in cui è necessario operare una lettura nuova di episodi o vicende, considerati come stabili e acquisiti.

Porterò poi alcuni esempi clinici, per offrire uno spessore più vivace e nitido al discorso.

Il concetto di epifania è peraltro strettamente collegato a quello di immagini strutturanti.

Intendo per immagini strutturanti alcune immagini, comparse in sogno o come dati sensoriali nella vita reale, che hanno la proprietà di contenere in sé tutto un discorso, un contesto allargato, che riassume molti elementi di un particolare tipo di esperienza, che acquista nell’immagine una sua forma riconoscibile, una sua visibilità.

Queste immagini vengono da me chiamate strutturanti, perché appunto conferiscono una struttura, danno forma a un insieme di elementi, che, collegati, presentano un aspetto nuovo.

Tale idea richiama quella di scena modello di Lichtenberg (Lichtenberg 2001), che però si riferisce a un’immagine, che riassume un particolare tipo di rapporto con un oggetto: è insomma uno schema relazionale.

Inoltre la scena modello può non essere un’immagine, ma un gesto, un’azione, un comportamento.

L’immagine strutturante è invece un dato sensoriale o reale o sognato.

L’epifania

Come sappiamo, il termine deriva al greco e significa manifestazione, illuminazione di qualcosa, che si presenta e popone non solo se stessa, ma tutta una rilettura e un senso nuovo dell’insieme.

L’epifania si presenta come un’apparizione, che suscita nell’ascoltatore un senso insieme di sorpresa e di ritrovamento. Qualcosa di cui si potrebbe dire: ecco, ora capisco tante cose, vedo tutto una serie di vicende, pensieri e associazioni passate in una luce nuova.

Insomma, un particolare, dotato di un potere di illuminazione, che condensa in sé molti significati e che sembra in grado di riassumere, di sintetizzare, di portare a un’unità rappresentatrice, dettagli che prima restavano sparsi e scollegati.

Il termine, come applicazione letteraria, fu usato per la prima volta da Pater (Pater 1965), il grande critico e saggista inglese dell’Ottocento, che descrisse come in una sequenza di eventi e associazioni contingenti e transitori, possa comparire improvvisamente un particolare, in genere un’immagine o una parola molto densa, che offre al lettore un senso di stabilità, di interruzione del flusso temporale.

Questo particolare, nella visione di Pater, è dotato di una sua bellezza, intendendo per bellezza un’immagine dotata di una forma, capace di conferire un senso di completezza, misura, proporzionalità e lucentezza all’immagine stessa.

Nelle intenzioni di Pater, l’epifania è una lotta alla contingenza e una proposizione di una bellezza stabile, che finalmente sconfigge il tempo e permette un riposo contemplativo, piacevole e tranquillo, dopo uno stancante girovagare senza una meta precisa.

È merito, in particolare, di Umberto Eco, in un libro dedicato a James Joyce, mostrare come questo concetto fu largamente usato da Joyce, specie nei racconti ambientati a Dublino (Eco 1966).

Nei Racconti di Dublino, Joyce sceglie un particolare che colla sua comparsa, getta una luce su tutto una serie di avvenimenti e offre finalmente una chiave di lettura di tutta la serie di vicende presenti nel racconto.

Il particolare che presentifica l’epifania dà un senso di sorpresa, ma anche di apertura, di scoperta, di ampliamento.

Può essere la scena di una partenza o di un pagamento o di un’improvvisa nostalgia o di un appuntamento mancato.

Ma, nel contesto dell’epifania, questi particolari vanno oltre se stessi. Diventano metafore della distanza, delle difficoltò di amare, di un rimpianto del passato, con tinte impreviste e inaspettate.

Insomma l’epifania allarga il campo di una storia, ma presentifica un grande tema filosofico e umano: la contingenza, la perdita, l’idealizzazione, la volgarità, il degrado.

Ma questi grandi temi non sono solo generalizzazioni.

Illuminano una storia particolare, la inseriscono in una vicenda personale, la storicizzano: sono particolari che sfociano nel generale, pur restando particolari.

L’idea di epifania mi sembra particolarmente utile, se trasportata in ambito psichiatrico e più specificamente psicoterapeutico.

È esperienza frequente che il paziente offra di sé un’immagine stereotipata, come di una identità, che si rivela come un vestito cucito addosso.

O, al contrario, capita spesso che il paziente porti un materiale disordinato e confuso, che non permette un lavoro di sintesi e quindi di diagnosi, intesa nel senso psicodinamico.

In questi contesti, può comparire improvvisamente un’immagine, che si distacca dalle altre, perché sembra dotata di un forte potere esplicativo e al tempo stresso condensante. È un’immagine che è un discorso, è essa stessa una storia, ma racchiusa nell’immagine stessa.

È il caso di approfondire questo punto.

Caratteristiche dell’epifania

Una prima caratteristica dell’epifania è che si tratta di una immagine, un dato cioè che si impone ai sensi, oltre che alla mente o al discorso verbale.

Due elementi, spero, contribuiranno a chiarire questo punto.

Nell’interpretare i sogni, Freud (Freud 1900) mette in guardia da farsi affascinare da quella che chiama l’elaborazione secondaria, cioè la forma narrativa dell’intero sogno, che si forma al risveglio, nel racconto del sogno, come tentativo di dare ordine e formare un racconto.

Freud dice che questa operazione è difensiva. Quello che è importante è la singola immagine, che certo si  inserisce nel sogno, ma che mantiene una sua pregnanza, una sua specificità.

Se il sognatore sogna una faccia coperta da capelli lunghi e disordinati, non conta soltanto che posto occupa questa immagine nel sogno, ma ancor più che cosa sono i capelli lunghi che coprono la faccia, quale storia raccontano, quale carattere mostrano, quale segreto rivelano.

Questo esempio ci permette di essere ancora più precisi.

La paziente che ha portato questo sogno ha un grosso problema di esibire continuamente forza, capacità e autosufficienza. A questo scopo, deve controllare le sue emozioni, in particolare quelle dolorose e luttuose, per non sembrare debole e non autosufficiente,

L’immagine della faccia coperta dai capelli, indica al tempo stesso il bisogno di nascondere il viso, perché non mostri il dolore o le lacrime, ma, al tempo stesso, indica un lutto esibito, un mostrare un disordine, un non controllo sui capelli disordinati.

Così per coprire troppo le emozioni, le copre in altro modo.

Per arrivare a questo. È necessaria da parte del terapeuta una conoscenza della storia ma anche un uso orientato dell’immaginazione.

L’immaginazione, in questo senso, è la capacità di soffermarsi sull’immagine, di interrogarlo, di ampliarla, tenendo conto sempre come guida il contesto storico e non la libera fantasia del terapeuta, che può essere fuorviante.

In questa prospettiva, l’immagine diventa un discorso e la sensorialità una proposta di racconto della realtà con altri mezzi.

È possibile reinserire questo tema nel tema più ampio della costruzione.

Freud propose che nel lavoro psicoanalitico si debbano alternare momenti di interpretazione a momenti di costruzione (Freud 1937).

L’interpretazione ampia un particolare, lo mostra in un’angolatura nuova, offre un altro punto di vista.

La costruzione è invece la storia di una sequenza di vita del paziente, come il paziente non se l’è mai raccontata e che emerge da alcuni particolari, appunto un’immagine imprevista, che, per così dire, racconta un’altra storia.

Se si interroga l’immagine, si può percepire un racconto, che si svolgerà in termini diversi da quelli standardizzati e fissati nella memoria.

Si può dire che uno dei fini della psicoanalisi sia costruire una storia del paziente, diversa da quella che il paziente si è sempre raccontata. Ma questo non è possibile senza la comparsa epifanica di un’immagine importante.

Un altro elemento ci è offerto dal lavoro di Carlo Ginzburg (Ginzburg 1979) sul paradigma indiziario.

In questo libro importante, Ginzburg paragona il lavoro del terapeuta a quello di Sherlock Holmes, che, da un particolare della scena del delitto, ricostruisce tutta un’altra possibile storia di come sono veramente andate le cose (Stanghellini in press).

Le due cose sembrano andare di pari passo.

Da un lato l’immagine racconta una storia, dall’altra la storia lascia delle tracce, dei segni, che, se raccolti, ci dicono qualcosa di più.

Epifania e sensorialità

È accolta ormai l’idea che la sensorialità, cioè i dati sensoriali, non possono confluire tutti nelle parole (Correale 2021).

Le parole da un lato ampliano, ordinano, specificano, dispongono spazialmente e temporalmente.

Dall’altra, in parte, attutiscono il potere dell’immagine, ne limitano il potenziale esplicativo e comunicativo.

È chiaro che può succedere anche il contrario. Le immagini possono essere retoriche, ridondanti, ipertrofiche, eccessive e impedire l’accesso al linguaggio.

Ma se approfondiamo il valore della sensorialità nell’immagine, senza farsi accecare dalla sua potenza, come avviene spesso nel mondo contemporaneo, in quella che ho chiamato immagini ipnotizzanti, ci accorgiamo che l’immagine rimanda a una sensorialità primordiale.

Il corpo della madre non è più soltanto un corpo, secondo questa prospettiva, ma un fascio di sensazioni. Morbido/duro, caldo/freddo, alto/basso, allargamento/costrizione, accelerazione/rallentamento.

Insomma, secondo questa componente primordiale dell’immagine, ogni immagine sembra in grado di modificare le coordinate spazio-temporali del ricevente, senza che vada dimenticato il potere del suo contenuto (Merleau-Ponty 1964).

È questo un punto in cui fenomenologia e psicoanalisi si incontrano.

In fenomenologia, si parla di precategoriale. Credo significhi proprio questo. Qualcosa che risuona nell’interno del soggetto come caratteristiche molto fisiche, quasi materiali dell’oggetto.

Le famose due mani che si stringono l’una coll’altra in Husserl (Husserl 1939), non si dicono solo l’una coll’altra che sono due mani, ma trasmettono qualcosa come di un tempo che si ferma, di uno spazio che diventa calore o morbidezza, come se la fisica dell’esterno diventasse una fisica dell’interno.

Qualcosa di simile avviene nella sessualità infantile di Freud (Freud 1905). La bocca che inghiotte non è solo un inglobare, interiorizzare, incorporare, ma modifica il rapporto dentro/fuori, soggetto/altro, secondo un ritmo che è fisico, corporeo e sensoriale.

Ma è il caso di tornare all’epifania e quindi all’immagine strutturante.

Spero di avere mostrato, sia pure in modo molto veloce e succinto, che l’epifania consiste nella comparsa di un’immagine dotata di poteri particolari, consistenti appunto nel proporre un rapporto soggetto-oggetto, che ha caratteristiche spazio-temporali molto originarie e antiche, che finalmente si palesano nell’immagine stessa.

Quando Ricoeur (Ricoeur 1975) parla di metafora viva, credo intenda proprio questo. Un’immagine dotata di un potere esplicativo, che attinge all’originario, contrariamente a tante immagini che non indicano questa strada, ma si lasciano trascinare dalla retorica.

È chiaro che intendiamo per retorica il fenomeno per cui il fine del convincimento predomina su tutto, con grave detrimento del potere esplicativo dell’immagine stessa.

Nel racconto finale dei Dubliners di Joyce, il fiume Shannon e le sue acque che scorrono senza sosta allargano il discorso sull’amore a un discorso sul tempo e sulla condizione umana.

Vorrei aggiungere che quanto detto finora ha una validità anche per le immagini allucinatorie e per quelle che compaiono nel corso di psicosi acute.

In questi casi, l’immagine ha valore per il terapeuta e non per il paziente, nei casi di allucinazione, infatti, l’immagine acquista un carattere di fissità, come se fosse scolpita nel marmo.

Il terapeuta capisce però che l’immagine è strutturante e può quindi amplificarlo, estenderla, collegarla e restituirla, per così dire, elaborata al paziente, che da solo non è in grado di svolgere questa funzione “digestiva”.

Alcuni esempi

Vorrei portare esempi clinici per dare corpo al tema.

Un paziente psicotico, molto acuto e intelligente, mi parla sempre della sua eccessiva penetrabilità.

Tutto gli entra dentro e lo occupa interamente. La continua autoreferenzialità è in realtà un tentativo di capire dove sono andati a finire, nel suo spazio mentale e corporeo, i dati sensoriali della giornata.

Un giorno mi dice che vuole cancellare un tatuaggio, che si fece incidere su una mano. Un piccolo cuore che ora però lo ingombra.

Al terapeuta scatta un pensiero vuoto e potente.

Il tatuaggio è un’immagine sensoriale, che si è fissata sulla pelle e non si cancella. Ogni dato sensoriale si scrive sulla pelle del paziente come un tatuaggio e ne modifica l’aspetto esterno e interno.

Condividiamo questo tema della fissità dell’immagine con un senso rasserenante di sollievo. Il giorno seguente, il paziente si farà cancellare il tatuaggio.

Il tatuaggio è un’epifania e un’immagine strutturante, che riassume in sé molti dati di funzionamento del paziente: la iscrizione cutanea e corporale dei dati sensoriali, la sua fissità, il suo occupare uno spazio che non si cancella più, l’idea di una violenza accettata e adesso rifiutata.

Un altro caso.

Una paziente riferisce di non sopportare le gentilezze e i termini troppo caldi che talvolta la terapeuta usa con lei. La paziente ha nel suo passato una relazione quasi sadomasochistica con una madre brutale e violenta.

Un giorno, compare il racconto di un antico episodio: un piccolo animale, della famiglia degli aracnidi, che le si attaccò a una gamba e le procurò una malattia lunga e fastidiosa.

L’immagine della zecca, disgustosa e angosciante, offre a entrambi una visione più precisa del rapporto colla madre. Un rapporto troppo stretto, inscindibile, ma dotato di una valenza mortifera, che introduce nella paziente repulsione e identificazione.

Un terzo esempio.

Un paziente gravemente psicotico non sopporta il ricordo di una nonna, gravemente psicotica, che sputava disgustosi animali, da cui si sentiva invasa.

Ma questa immagine dello sputo è comparsa tardi. Prima erano storia di spavento, disgusto, terrore, compassione, pietà.

Ma lo sputo ha portato una novità.

Gli animali disgustosi passavano dal corpo della nonna a quello del nipote, lasciando nella sua bocca una traccia indelebile, che assimilava il suo corpo allo scarafaggio della metamorfosi di Kafka.

Qui l’epifania ci fa cogliere un carattere diverso dal contagio: l’invasione e l’assimilazione del nipote alla nonna.

Conclusioni

Ho tentato di descrivere la funzione di un’immagine epifanica definendola immagine strutturante, che riassuma in sé le caratteristiche di un rapporto soggetto-oggetto prolungato nel tempo, ma con precisi tratti di fissità e quasi immodificabilità.

Una metafora significativa potrebbe essere quella della camicia di Ercole regalatagli dalla moglie vendicatrice, che lo brucia e lo consuma una volta indossata.

È importante riconoscere, che anche se ho portato esempi tratti da gravi casi di psicosi, il concetto di epifania va molto al di là e consente di illuminare una storia, con caratteri meno prevedibili di quelli riportati.

Ma in tutti i casi, la cosa più importante è collegare l’immagine epifanica, che come abbiamo detto deve essere qualcosa di sorprendente e di fuori contesto, con tutto il contesto, invece, della vita del paziente, per lo meno come noi lo conosciamo (Ferro 2006).

Se non si fa questo, si rischia di usare un’immagine molto significativa per il terapeuta, come se lo fosse anche per il paziente.

Quando questo inserimento contestuale sarà stato effettuato, sarà possibile restituire al paziente la sua immagine e lavorarci sopra insieme.

L’immagine epifanica o strutturante sarà allora la base per un lavoro esplicativo sui rapporti più significativi della sua vita.

CORREALE A. (2024) The function of structuring images: the concept of epiphany from literature to psychiatry, https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/09540261.2024.2361760?src=exp-la

BIBLIOGRAFIA

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