Lucia Monterosa
La cura psicoanalitica nella vecchiaia
“Il giorno seguente non morì nessuno. Il fatto, poiché assolutamente contrario alle norme della vita, causò negli spiriti un enorme turbamento, cosa del tutto giustificata”
Josè Saramago
Josè Saramago nel 2005, all’età di ottantrè anni, scrisse il romanzo «Le intermittenze della morte». Nello sviluppo del testo cogliamo la sua riflessione sul senso della umana finitudine, senza la quale la vita perde il suo senso. La storia si snoda in maniera visionaria: l’autore immagina che, senza alcun preavviso né motivo apparente, in un non meglio identificato Paese, allo scoccare della mezzanotte di un trentuno dicembre, s’instauri l’eternità: nessuno muore più. L’avvenimento suscita in un primo tempo sentimenti di giubilo e felicità perché la massima angoscia che affligge l’umanità sembra sgominata per sempre. Le cose però ben presto si complicano e si crea un grande scompiglio in ogni strato sociale: dal Governo alle compagnie di assicurazione, dalle agenzie di pompe funebri alle Case di riposo a cui vengono sottratte le fonti di reddito. Ma la protesta più forte si leva dalla della Chiesa: senza morte non c’è più resurrezione, e senza resurrezione non c’è più Chiesa. L’umanità, in breve tempo, si trova drammaticamente intrappolata in una gabbia: il tempo passa, ma non si interrompono le malattie e gli incidenti, anche se nessuno riesce a morire. Dopo sette mesi di “tregua unilaterale”, con una missiva indirizzata ai mezzi di comunicazione, la morte dichiara di interrompere quel suo “sciopero” e di riprendere il proprio impegno con l’umanità. La morte, che progressivamente nel romanzo assume le connotazioni di una creatura vivente, comincia ad andare in giro per la città e ad inviare delle lettere che raggiungono i destinatari, i quali finalmente possono morire come si conviene.
Saramago ci accompagna ad immaginare la paradossale tragedia di un vivere senza morire. Il confronto con il limite della vita si accompagna a pensieri scomodi che è difficile condividere e per questo l’anziano rischia di vivere la propria fragilità come una espropriazione che restringe i confini dello spazio vitale e che legittima il proprio ritiro. Nel tempo in cui viviamo aleggia un silenzioso imperativo a cui siamo portati a sottometterci senza nemmeno accorgercene: nascondere tutto ciò che fa male e che è oggetto di deterioramento come se fosse un oltraggio al decoro. Siamo immersi nei nuovi media, molto utili per agevolare le comunicazioni, ma che certamente intrudono con la loro concretezza ed instaurano una incolmabile distanza da un contatto intimo con altri esseri umani. «L’impronta narcisistica del nostro tempo sta soppiantando la soggettività con l’individualità fatta di nicchie identitarie che mirano ad una libertà senza vincoli, ad un appiattimento delle differenze e a un piacere senza desiderio, e che perseguono la logica dell’esclusione piuttosto che dell’apertura alle differenze e all’ignoto» (Corsa, pag.180). Nel panorama culturale attuale emergono inoltre le filosofie transumaniste che identificano i progressi delle discipline biotecnologiche come strumento per l’auto-trascendimento che l’uomo potrebbe operare, e quelle post umaniste, che descrivono la condizione successiva una volta che sia avvenuto il trascendimento dei limiti fisiologici peculiari del genere umano. «L’impianto argomentativo è quello per cui l’uomo, non avendo uno statuto ontologico scolpito nella roccia, ma essendo al contrario il prodotto di una evoluzione che oggi ha consegnato nelle sue stesse mani le chiavi del progetto di cui è figlio, ha oggi la possibilità e per certi versi il dovere di fare uso di queste impreviste possibilità.» (Ghilardi, pag.106).
L’idea di miglioramento biotecnologico che queste teorie pongono a fondamento dell’umano non si prefigge di raggiungere una qualche virtù , né di« superare i propri vizi, ma l’eliminazione dei tratti meno performanti (…) Significativamente gli eroi e i santi, che a vario modo hanno interpretato le stesse virtù, hanno però tutti vissuto molto diversamente , vale a dire in modo personale , la lotta per incarnarle, lasciandoci modelli biografici affatto diversi, se pur ispirati dagli stessi ideali. Al contrario le tecniche di miglioramento biologico sono standardizzabili e producono gli stessi effetti, al netto delle probabili minime variazioni fenotipiche in chi le dovesse ricevere» (ibidem, pag.108).
Se negli ultimi decenni le nostre aspettative di vita sono state rimodulate dal progresso scientifico e tecnologico sarebbe auspicabile che si possa accogliere la vecchiaia con delle nuove prospettive. Questa fase della vita potrebbe offrire anche l’opportunità per un lavoro analitico in cui trovare nuovi nessi nella propria storia. Raggiunta la libertà dalla pressione di portare a compimento un compito concreto, si avrebbe lo spazio mentale per compiere un lavoro di rimaneggiamento e ricostruzione dei ricordi, riannodare i fili e portare a termine una riconciliazione col proprio passato. L’analista nell’attività clinica con pazienti anziani può incontrare un sentimento di fiducia «di poter riparare il proprio passato, fiducia in un futuro da godere perché il tempo si fa breve» (Fattori, pag. 127). In questi casi il lavoro analitico richiede comunque una particolare delicatezza «proprio perché il carico degli avvenimenti del passato è tanto, così come è pesante il fantasma delle omissioni e degli errori commessi» (ibidem, pag. 109).
Su questo tema scrive la psicoanalista Danielle Quinodoz in un suo saggio: «i giovani possono trovare un nuovo significato ai loro rapporti con gli anziani: sentono di poter essere loro utili. Da parte loro gli anziani possono percepire che il loro invecchiare può aprire nuove prospettive ai giovani. Contribuire anche in minima parte alla ricostruzione della storia interiore di un anziano può costituire un vero e proprio piacere condiviso.» (pag.13). Esistono molte possibili vie per invecchiare: alcuni anziani soffrono di un deterioramento mentale organico come nella malattia di Alzheimer, altri presentano un deperimento di origine psichica, altri ancora conservano integre la loro capacità di lavoro mentale rinforzate dall’esperienza di vita acquisita nel corso degli anni. Danielle Quinodoz, nell’affrontare il tema della demenza cita le parole del professore di psicogeriatria Jean Maisondieu che parla del «rumoroso silenzio dei dementi». Egli fa l’ipotesi che a volte nella mente di alcuni anziani le parole iniziano a mancare perché «i pensieri sono talmente disturbanti che sarebbe sconveniente verbalizzarli (…) oppure quando le sensazioni sono troppo sgradevoli per poter essere espresse» (pag. 84). Nella società contemporanea ci si aspetta che gli anziani facciano di tutto per sembrare adulti più giovani della loro età e forse si nega loro in diritto di essere semplicemente sé stessi. Considerare il fattore organico come l’unico responsabile di tutto talvolta potrebbe servire ad evitare di ascoltare ciò che l’anziano ha da dirci, forse dice delle cose troppo serie.
Pier Paolo Pasolini in una intervista televisiva concessa ad Enzo Biagi, registrata e all’epoca non trasmessa ma mandata in onda dopo la sua morte, affermava che «invecchiando si diventa allegri perché si ha meno futuro e meno speranze, questo dà un grande sollievo» (1971). Concepiva l’età senile come un momento di libertà dalle illusioni, e dalle conseguenti delusioni, che affollano la mente dei più giovani.
In maniera mirabile la scrittrice canadese Alice Munro, premio Nobel per la letteratura nel 2013, descrive in un suo racconto il profondo intreccio di affetti vissuto da una coppia di anziani. Fiona, all’esordio della malattia di Alzheimer, decide di entrare in una clinica geriatrica, nonostante il parere contrario del marito Grant che vorrebbe assisterla personalmente. I due sono una coppia benestante, non hanno avuto figli e sono sposati da più di quarant’anni, dopo essere andati in pensione decidono di trasferirsi in una bella casa vicino ad un lago ed è lì che compaiono i primi sintomi della malattia della donna. Il ricovero di Fiona comporta una separazione molto dolorosa, soprattutto per Grant, che sin da quando le chiese di sposarlo aveva capito che non voleva stare lontano da lei neanche un minuto. Il regolamento della struttura che accoglie la donna vieta che i ricoverati possano ricevere visite nei primi trenta giorni di ricovero. Grant si presenta con trepidazione al primo incontro con sua moglie, stringendo un mazzo di fiori da donarle, ma è colto di sorpresa dalla visione di una scena imprevista: Fiona lo tratta come un estraneo mentre offre tutte le sue attenzioni ad un altro uomo – Aubrey- il quale porta i segni di una seria invalidità conseguente ad un ictus. Tra i due ricoverati sembra svolgersi un segreto e intenso dialogo fatto di gesti da cui trapela una profonda e misteriosa intesa. Grant durante le sue visite non può fare altro che sedersi in un angolo del soggiorno della clinica e osservare i due da lontano. Fiona sembra essere entrata in un’altra dimensione della memoria in cui colloca Aubrey nel proprio passato come se fosse una presenza a lei familiare da sempre, mentre il ricordo del marito si sbiadisce fino ad assumere i connotati di un lontano conoscente che si trova di tanto in tanto dove lei è. La Munro tratteggia in maniera insuperabile la condizione psichica della donna che oscilla lungo un confine tra confusione e lucidità lasciando intendere al lettore che forse c’è un altro senso nella sua malattia. La «demenza» di Fiona ha infatti costretto i due coniugi a separarsi ma alla fine consente ad entrambi di restare uniti trovando, ognuno nel suo mondo, nuove relazioni e nuovi affetti.
Concludo con un riferimento alla biografia di Freud in cui troviamo una la ricca testimonianza del suo confronto con θανατος: una tensione che lo ha accompagnato sia nella sua vita affettiva che nella ricerca scientifica. Max Schur, che divenne all’inizio sua carriera il medico personale di Freud, scrisse una biografia del suo celebre paziente a distanza di trenta anni dalla morte. Ricostruì i vari modi in cui aveva visto reagire il fondatore della psicoanalisi a situazioni di tensione, impedendo che queste diventassero traumatiche per poterle padroneggiare senza rifiutarle. L’autore, più che una biografia, elaborò un saggio di psicoanalisi scritto in uno stile narrativo avvincente e appassionato. Rivisitò gli epistolari e documenti all’epoca inediti e mise in relazione il momento fondativo della psicoanalisi con una fase di grande preoccupazione di Freud per la propria salute quando, poco dopo i quarant’anni d’età, si trovò a fronteggiare ripetuti attacchi di tachicardia parossistica. Ventiquattro anni più tardi la salute di Freud subirà un momento di arresto al palesarsi di un cancro del palato con cui combatterà per sedici anni, ricorrendo all’opera del chirurgo per più di trenta volte. Da allora in poi le sue condizioni fisiche comportarono fasi di sofferenza e di disagio, ma egli continuò a lavorare e scrivere fino all’ ultimo. Schur, che gli fu vicino fino nella fase terminale della malattia e lo seguì anche durante l’esilio in Inghilterra, ricorda così gli ultimi anni del suo paziente: «Egli non cessò mai di amare. In lui si produssero nuovi affetti, e i vecchi si accrebbero e si approfondirono. Senza di essi non avrebbe potuto continuare a vivere. Rimase affezionatissimo ai nipoti (…). E il suo amore per i bambini non si limitava ai propri. Non era solo la forza dell’Io che lo aiutava a riacquistare quella che a volte sembrava un’incredibile capacità di recupero. Era la sua costante capacità di amare e donare.» (pag..317).
Freud si è soffermato in alcuni scritti sul tema della morte e sulla pulsione di morte, da lui concepita come una tensione ineliminabile dell’uomo. Per cogliere la sua disposizione d’animo nei confronti della vita bisogna allontanarsi dai suoi lavori scientifici ed avventurarsi nei suoi scritti privati. Tra questi ho scelto alcune righe di una lettera di ringraziamento inviata alla poetessa Hilda Doolittle che gli aveva inviato una lettera di auguri accompagnata da un bellissimo mazzo di gardenie bianche in occasione del suo ottantesimo compleanno:
«Cara H.D., tutto il suo bianco argomento [le gardenie] è arrivato sano e salvo, e ha adornato la mia stanza fino a ieri. Mi ero immaginato di essere ormai diventato insensibile alla lode e al biasimo. Leggendo le Sue gentili righe e rendendomi conto di quanto mi facessero piacere, il mio primo pensiero è stato di essermi sbagliato sulla mia impermeabilità. Ma ripensandoci ho concluso che su questo non mi ero sbagliato. Ciò che lei mi dava non era lode ma affetto e non è necessario che mi vergogni della mia contentezza. alla mia età la vita non è facile, ma la primavera è splendida, e così l’amore.» (in Schur, pag.418).
Queste parole, scritte da un uomo anziano e malato, ci indicano che la capacità di amare e di godere di ciò che la vita può offrire può mantenere tutta la sua forza fino all’ultimo. Lo spirito contenuto in queste parole di Freud possono indicarci come la vecchiaia potrebbe farci entrare in contatto con un serbatoio di legami di affetto, attraverso cui potremo sostare in uno spazio in cui il tempo non è scadenzato nella scansione monotona di una infinita «normalità». Come scrive la Quinodoz, potremo allora afferrare alcuni istanti di «eternità» da cui scorgere misteriosi e inaspettati scenari.
Bibliografia
Corsa R., La neo- vecchiaia. Ovvero essere anziani nell’era cibernetica. In: Corsa R., Fattori L., Vandi G. A cura di (2020). Psicoanalisi e vecchiaia. Roma, Alpes
Fattori L L’emergenza coronavirus nei pazienti anziani: “un momento della verità” .In : Corsa R., Fattori L., Vandi G., a cura di (2020). Psicoanalisi e vecchiaia. Roma, Alpes
Ghilardi G. Umano, Transumano e Post-umano: la morale della favola. In: Monterosa L., Iannitelli A., Buonanno A., a cura di( 2020). L’Ultracorpo. Psicoanalisi, corpi e biotecnologie. Roma, Alpes
Munro A. (2001). The Bear Came Over the Mountain. In Amico, Nemico, Amante. Einaudi, Torino 2003
Quinodoz D. (2008). Invecchiare. Borla, Roma 2009.
Saramago J. (2005). Le intermittenze della morte, Feltrinelli, Milano
Schur M. (1972). Il caso Freud-Biografia scritta dal suo medico. Boringhieri, Torino 1976.
Sitografia
Pasolini P.P. (1971). Perché non siamo una società felice. Rai Edu 2, Rewind. https://youtu.be/1svqr4PG6uM