La Cura

La cura della persona si deve fare nella comunità. S. Thanopulos Convegno del Manifesto della Salute mentale 10/6/22

10/06/22
La cura della persona si deve fare nella comunità. S. Thanopulos

LA CURA DELLA PERSONA SI DEVE FARE NELLA COMUNITA’

Sarantis Thanopulos

Il 10 Giugno si terrà a Roma nella sede dell’ISS (viale Regina Elena 299)  il secondo convegno del Manifesto della salute mentale . Il convegno che si svolgerà dalle 14.30 alle 17.45 avrà come tema: Valorizzare e potenziare la salute mentale.

Nel convegno si dibatteranno alcune questioni fondamentali:

1. La ricerca scientifica e della valutazione dei risultati nei servizi pubblici della salute mentale deve essere messa in connessione con la questione non più rinviabile della qualità della cura.

Lo statuto epistemologico della cura della “malattia mentale” è oggi debole, perché la ricerca si è appiattita sulla sola terapia farmacologica che segue criteri di ricerca molto schematici e lineari. Le “evidenze” sono state ideate a partire dalla ricerca farmacologica nella quale il risultato ottenuto da un medicinale può essere reso evidente con procedure relativamente semplici. Le evidenze vengono spesso manipolate (questo è un problema serio, poco dibattuto), ma ciò non annulla la correttezza della loro logica in questo campo. La logica delle evidenze si indebolisce quando si indagano le correlazioni tra fattori biologici e eziopatogenesi della sofferenza, perché qui ciò che è evidente dovrebbe individuare e spiegare ciò che evidente non è (il fondamento dell’epistemologia). In altre parole è necessaria una relazione di reciprocità tra dato di ricerca e teoria.  Il dato può validare o invalidare la teoria a cui deve la sua impostazione e, al tempo stesso, solo una lettura teorica adeguata puoi restituire al dato un significato innovativo e utile. Oggi all’interno della prospettiva biomedica nella salute mentale, ciò non accade. Sono stati raccolti una montagna di dati la cui lettura adeguata aspetta tempi migliori.

Inoltre, nell’ambito della giusta tripartizione della cura -farmacoterapia, psicoterapia, reinserimento nella comunità sociale e culturale-, non si possono applicare in tutte e tre le aree i criteri di ricerca validi per la prima. Questa pretesa non ha nulla di scientifico,  è un’imposizione ideologica molto pericolosa per la scienza. Il modello quantitativo non può sostituirsi ai modelli di ricerca basati su criteri di qualità della vita. La ricerca sulla qualità ha bisogno di dati statisticamente rilevanti, ma la loro valutazione e interpretazione è più complessa e deve restare relativamente insatura (altrimenti rischia l’autoritarismo).

Last but not least, è necessaria una ricerca sulle correlazione tra fattori genetici, sociali e microambientali  che intervengono nella determinazione della sofferenza grave. È logico supporre che le “cause” della sofferenza siano in questa complessa correlazione e non  nel campo specifico della biologia, della vita sociale o del campo psichico. Ciò implica un approccio rigorosamente multidisciplinare e la valorizzazione dell’epigenetica

2. La cura della persona si deve fare nella comunità in cui vive e deve essere finalizzata al suo pieno reinserimento in essa sul piano sociale, culturale, lavorativo e politico. Il lavoro di reinserimento è complesso richiede un’adeguata conoscenza scientifica e culturale della società e della Polis e deve avvalersi dell’apporto decisivo degli infermieri, degli utenti e dei loro familiari. Richiede la collaborazione con competenze antropologiche, sociologiche, artististiche e culturali, fuori dallo stretto specifico del lavoro degli operatori dei servizi della salute mentale, e con le associazioni del privato sociale.

Inoltre, deve essere coordinato con l’intervento a sostegno della comunità nel suo insieme.

3. La psicoterapia ha un ruolo insostituibile nell’umanizzazione/soggettivazione della cura. Non è un’applicazione di principi tecnici, ma un’esperienza di rivisitazione, re-espansione, trasformazione creativa della propria esistenza. In essa conoscenze scientifiche, raccolte attraverso decenni di lavoro clinico e di ricerca teorica, come dati universali, devono essere interrogate nell’ambito particolare dell’esperienza del singolo individuo e messe al suo servizio.

Un punto essenziale è la consapevolezza che le forme “bizzarre”, incongrue di comunicazione delle persone che soffrono di una grave destrutturazione della loro personalità, sono l’unica espressione contraddittoria e lacerata, ma pur sempre viva, della loro soggettività. La cura non può essere finalizzata al loro addestramento/adattamento al nostro linguaggio, ma all’ascolto del loro modo di dirsi e di proporsi e alla modificazione del nostro assetto affettivo e mentale che consente loro di insegnarci qualcosa sul proprio modo di essere e di sentire che esistono.

La cura psicoterapeutica è un prendere cura di sé e dell‘altro, una civilizzazione della relazione terapeutica. L’attuale dato statistico della psicoterapia nei servizi pubblici è catastrofico: le psicoterapie rappresentano solo il 6% delle terapie erogate mentre (nella forma individuale, famigliare, gruppale) dovrebbero essere parte di ogni trattamento.

A queste tre questioni  che saranno dibattute nel convegno, vanno aggiunte altre due:

– La ricerca epidemiologica e la prevenzione. L’individuazione delle aree macro e micro-sociali e famigliari fragili e l’intervento di risanamento e di sostegno. L’investimento deciso nelle terapie dei bambini e degli adolescenti.

– Il coordinamento nel campo della ricerca clinica, teorica e sperimentale (che include lo studio neuroscientifico dell’essere umano come essere relazionale) nonché della formazione permanente degli operatori, tra i dipartimenti della salute mentale, l’Università e le Società scientifiche.

Sarantis Thanopulos

4.06.2022

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