KEITH HEARING (Particolare)
Parole chiave: transgender, trattamento psicoanalitico, transizione, cure affermative di genere, esplorazione, disforia di genere.
Intervista ad Alessandra Lemma
di Maria Antoncecchi e Paola Ferri
Cosa può offrire la psicoanalisi nel trattamento di pazienti ‘ di genere non conforme’ o con disturbi di disforia di genere? I cambiamenti culturali avvenuti in questi anni aprono nuove riflessioni su questo tema. L’ aumento di richieste di interventi chirurgici e/o l’utilizzo di terapie ormonali pone questioni complesse al personale curante. Abbiamo posto alcuni interrogativi riguardo all’aspetto clinico ed etico nel trattamento di pazienti ad Alessandra Lemma. E contiamo di inaugurare una serie di interviste e di riflessioni nel merito.
Alessandra Lemma è Membro della Società Psicoanalitica Britannica e Consultant dell’Anna Freud Centre per Bambini e Famiglie. E’ Visiting Professor dell’University College di Londra. Ha lavorato per molti anni alla Tavistock Clinic dove è stata Professore incaricato di Psicologia e Terapie Psicologiche. Ha lavorato per alcuni anni con pazienti adulti transgender alla Portman Clinic, e attualmente lavora privatamente con pazienti adolescenti e adulti transgender al Queen Anne Street Practice a Londra. E’ autrice di numerosi scritti psicoanalitici e relativi all’etica che riguardano i transgender e di un libro: A Contemporary Introduction (Routledge, 2022).
Secondo te , all’interno della comunità psicoanalitica ci sono ancora dei pregiudizi riguardo al trattamento psicoanalitico delle persone transgender? la vecchia visione patologizzante nei confronti dei transgender è stata davvero sostituita da un atteggiamento di maggior apertura e validazione nei confronti di una diversità così radicale?
Senza dubbio la prima teorizzazione psicoanalitica sul transgender si è svolta all’interno di un quadro molto normativo e veniva letta in modo univoco come fosse un indicatore di psicopatologia. E’stata considerata come un tipo di disturbo narcisistico, come una forma di perversione e come sintomo di una struttura psicotica. Gli autori contemporanee – per lo più di origine nord americana – hanno messo in discussione la precedente posizione psicoanalitica che tendeva a descrivere come patologica l’identità transgender. I resoconti più recenti incorporano nelle loro formulazioni analitiche aspetti culturali e sistemici che inquadrano in modo diverso l’esperienza e l’espressione della sessualità e del genere.
La decisione di una transizione medica, sebbene non sia da prendere alla leggera, non è a mio avviso un indicatore affidabile di patologia. La questione centrale che deve essere esaminata è lo stato, o gli stati mentali che sottendono questa intenzione. In termini di organizzazione psichica, potrebbe non esserci alcuna differenza tra l’individuo che si sottopone a chirurgia di riassegnazione del sesso (SRS) e colui che “prende solo” ormoni o l’individuo transgender che cambia “solo” il proprio look per sembrare più androgino, o la persona che persegue la chirurgia estetica, ma non è transgender. È la fantasia sottostante che li distinguerà o rivelerà che anche se i mezzi differiscono, i fini psichici sono condivisi.
Alcuni contributi psicoanalitici contemporanei vietano l’esplorazione del perché qualcuno è transgender perché questo è ritenuto un approccio patologizzante. Preferiscono mantenere il focus sul ‘come’ è vissuta l’esperienza transgender. Il ‘come’ dell’esperienza transgender è senza dubbio importante, ma il perché dell’esperienza è essenziale e significativo, anche per poter dare al paziente la possibilità di capire come è diventato quello che è. La psicoanalisi, per eccellenza, ci permette di concentrarci sulle modalità specifiche attraverso le quali investiamo, con particolari tonalità affettive, i nostri corpi, la nostra sessualità e il nostro genere, ma anche le inclinazioni, gli evitamenti, gli eccessi, i divieti e le possibilità.
Mettere in discussione motivazioni, desideri, fantasie e paure da una posizione di curiosità equidistante non significa costringere qualcuno a seguire un percorso “sano” predeterminato. Si tratta di aiutare le persone a trovare il modo migliore di vivere per loro, consapevoli dei costi e dei rischi emotivi e fisici associati alle proprie decisioni. Che alcune persone – inclusi alcuni terapeuti – considerino ancora il transgender sempre come una patologia che dovrebbe essere affrontata e risolta attraverso il solo mezzo verbale, merita di essere messa in discussione. Ma questo non invalida l’importante prospettiva che un approccio psicoanalitico può portare alla comprensione dell’eterogeneità che sta alla base del transgender come gruppo di individui.
Se il terapeuta sostiene una curiosità equidistante – equidistante dal fatto che la modificazione del corpo possa essere espressione di angoscia o di un atto creativo o adattativo – e il corpo come simbolo può essere oggetto di riflessione, allora la modificazione del corpo è un fine perseguibile, perchè si baserà su una più solida integrazione tra realtà interne ed esterne.
Esistono differenze tra maschi e femmine nel trattamento, ma anche nelle richieste e nelle modalità di chiedere aiuto? Se si, quali?
C’è una significativa eterogeneità tra gli individui transgender a livello di presentazione e fenomenologia clinica. Questo fatto è accompagnato da un forte aumento degli invii e segnalazioni ai Servizi di identità di genere soprattutto per quanto riguarda i giovani. Ad oggi non abbiamo un resoconto soddisfacente di questo aumento. Ciò che è chiaro è che le ragazze (tali alla nascita) sono sovrarappresentate in questo incremento. Non abbiamo ancora una spiegazione per questo fenomeno, che merita un’attenta considerazione, anche perché c’è anche una sovrarappresentazione di giovani dallo spettro autistico. Riguardo all’aumento di richieste da parte delle ragazze c’è preoccupazione in quanto potrebbe derivare da un corrosivo impatto della misoginia e dalla difficoltà per le ragazze di dichiararsi lesbiche, cosa che continua a essere pericolosa, in particolare in alcuni paesi. Nel mio lavoro clinico non ho rilevato differenze significative tra ragazze e ragazzi.
La ricerca di spiegazioni è comprensibile ma poiché il transgender è ancora un fenomeno emergente, è impossibile poter trarre delle conclusioni rispetto a tante domande. La sfida è continuare a interrogarsi e resistere alla tentazione di voler trovare certezze in breve tempo.
In definitiva, in che modo incide la questione culturale, nel senso di percezione sociale del problema, sulle richieste e sulle risposte?
Dovremmo stare attenti al “panico morale” che attualmente circonda l’aumento dell’identificazione transgender. Allo stesso modo, se la transizione medica può potenzialmente migliorare il benessere dell’individuo transgender, dobbiamo distinguere gli obiettivi meritevoli di evitare pregiudizi e proteggere il diritto dell’individuo transgender all’autodeterminazione, dalle conseguenze non intenzionali di “cure affermative di genere”. Tra l'”accettazione” di un’identificazione transgender e la sua patologizzazione c’è un lavoro più sfumato che riguarda la ricerca di significato e la sua funzione per ciascun individuo, in modo che la decisione di transizione medica, o meno, possa dirsi autonoma. E’ la non verità ad essere lesiva dell’autonomia. Se un paziente ha una falsa convinzione sulla propria condizione, la sua decisione sul trattamento è compromessa.
Nell’attuale clima culturale, i gruppi di lobby “trans” online possono esercitare una pressione significativa sugli individui che sono vulnerabili e alla disperata ricerca di una soluzione al loro dolore mentale. L’accettazione della loro narrativa transgender può temporaneamente far sentire meglio la persona, ma questo non rende la narrazione vera né promuove necessariamente il benessere a lungo termine. Molte cose possono farci sentire meglio a breve termine, ad esempio l’assunzione di droghe, ma questo effetto a breve termine non ci porta necessariamente a concludere che l’assunzione di droghe sia quindi “buona” per noi a lungo termine.
L’accettazione si può basare su buone intenzioni ma un’accettazione non qualificata può ridurre le opzioni e l’autonomia dell’individuo, se priva la persona dell’opportunità di esplorare il possibile significato inconscio della sua identificazione transgender che, a sua volta, potrebbe portarla a considerare opzioni diverse dalla transizione medica.
Ritieni che la psicoterapia psicanalitica si sia rivelata utile a evitare un pentimento post-transizione?
Questa è una domanda molto difficile a cui rispondere. Sappiamo che il numero di persone in transizione medica che ora si rammaricano della transizione è in aumento. Stanno emergendo anche resoconti del lavoro terapeutico con coloro che vogliono tornare indietro rispetto alla transizione ( de-transitioners). Queste narrazioni indicano che alcuni giovani transgender sentivano di non essere stati incoraggiati a esplorare a sufficienza le ragioni della domanda di transizione e questo ha portato a un successivo rimpianto. Sostengono che avrebbe dovuto essere offerta loro l’opzione della psicoterapia per prevenire il loro rimpianto. Tuttavia, il rimpianto è un concetto psicologico e filosofico complesso. Basti dire che è evidente che tutti noi rimpiangiamo sempre alcune delle nostre decisioni, quindi il rimpianto successivo per la transizione non può essere interpretato come una prova che la transizione fosse necessariamente la decisione sbagliata nel momento in cui è stata presa. Tuttavia, le esperienze di rimpianto ci invitano a considerare come supportare al meglio le persone che affrontano decisioni difficili che comportano rischi e risultati incerti.
La mia esperienza clinica con questo gruppo di pazienti mi ha aiutato ad apprezzare il fatto che lo scopo primario del lavoro psicoanalitico risieda nel fornire e proteggere uno spazio analitico in modo da salvaguardare le condizioni necessarie affinché scoprano le motivazioni inconsce delle loro scelte. Questo è importante perché è questa esplorazione che migliora l’autonomia. È necessario uno spazio riflessivo per considerare i molti fattori che guidano una decisione di transizione medica, indipendentemente dall’età cronologica del paziente.
In un’epoca in cui la valorizzazione e la modificazione del corpo sono all’ordine del giorno, la nostra percezione dei limiti e delle capacità umane è problematizzata. Cambiamenti socioculturali inaugurano opportunità e rischi: trattare parti del corpo come semplici contingenze indesiderate o utilizzare la modifica del corpo come mezzo per reinventare noi stessi, ci invita a considerare le pulsioni( i driver) sottostanti, in modo da garantire l’immediato sollievo dal disagio emotivo attraverso una modificazione del corpo che alla fine non conduca a ulteriori sofferenze.
Comprendere le pulsioni inconsce dei nostri desideri dichiarati è un processo che richiede tempo poiché l’elaborazione del significato inconscio emerge frammentariamente nel tempo. Il tempo per l’auto riflessione non è quindi solo importante dal punto di vista psichico, ma è anche eticamente significativo perché supporta il processo decisionale autonomo.
Le aspettative di benessere sono generalmente confermate tra coloro che optano per una transizione farmacologica /chirurgica?
Ho lavorato clinicamente con individui transgender adolescenti e adulti per oltre dieci anni sia in Servizi pubblici che privati. Il mio lavoro con i pazienti transgender occupa una parte significativa della mia pratica attuale. Ho avuto l’opportunità di accompagnare diversi individui in psicoterapia psicoanalitica e psicoanalisi dal momento del “coming out” fino alla loro decisione di intraprendere vari gradi di modificazioni corporee, incluso, in un certo numero di casi, la SRS completa. Ho lavorato con alcune persone per molti anni dopo l’intervento chirurgico. Grazie a queste esperienze, ho potuto constatare esiti positivi ma anche dolorose delusioni e crolli a seguito della transizione sociale e/o medica. Sebbene alcuni crolli psichici non abbiano esitato necessariamente in un rimpianto, è però accaduto ad alcuni pazienti.
Ho anche lavorato con giovani che hanno abbracciato con fervore un’identificazione transgender ed erano alla disperata ricerca di interventi medici. Nel corso del tempo il lavoro terapeutico ha rivelato che si trattava di un’identificazione “transitoria”. Molto probabilmente, se questa identificazione fosse stata più radicale, avrebbe portato a risultati peggiori.
Gli studi di ricerca non forniscono conclusioni definitive perché nessuna ricerca può mai essere conclusiva in senso assoluto e perché la ricerca sul transgender pone in particolare molte sfide. Molti dei termini utilizzati, non ultimo lo stesso termine transgender, mancano di chiarezza epistemologica. Data la natura del cosiddetto problema in esame, i gruppi di controllo non possono essere facilmente impiegati.
Inoltre, sebbene gli studi di ricerca transgender stiano crescendo rapidamente, questo è un campo relativamente nuovo con pochissimi studi longitudinali. Questi ultimi sono essenziali. Solo studi di follow-up ci consentono di affrontare alcune delle domande chiave che mettono alla prova i medici: quali sono i percorsi per le identificazioni e le disidentificazioni transgender, quali sono gli esiti di salute fisica e mentale a lungo termine per coloro che perseguono la transizione sociale e/o medica, quale tipo di risposta terapeutica è più utile quando le persone riferiscono di essere transgender e come possiamo migliorare la precisione della diagnosi di disforia di genere in modo da poter identificare in modo più affidabile i bambini che sono falsi positivi.
C’è una carenza di buoni dati sui risultati a lungo termine dopo la transizione medica. Nel complesso, le carenze metodologiche degli studi precludono qualsiasi conclusione sicura sui benefici della transizione medica precoce. Più lungo è il periodo di follow-up, più emergono domande sul fatto che la SRS, ad esempio, riduca la morbilità psicologica, con alcuni studi che suggeriscono che per alcuni individui potrebbe effettivamente aumentarla.
Quando esaminiamo la ricerca disponibile, facciamo bene a tenere presente che le discipline cliniche e di ricerca sono strutture costruite per comprendere identità e azioni complesse. Rivelano invariabilmente i pregiudizi e gli investimenti degli individui che svolgono la ricerca. La scienza è suscettibile al funzionamento di pregiudizi inconsci come qualsiasi altra disciplina. Nonostante questi avvertimenti, quando la ricerca è condotta bene e può essere triangolata con altre fonti di informazione, fornisce un correttivo essenziale ai presupposti prevenuti invitandoci, come minimo, a fare una pausa prima di saltare a conclusioni a cui siamo implicitamente legati. I tassi di desistenza tra bambini e adolescenti, ad esempio, dovrebbero metterci in guardia contro il sostegno indiscusso del desiderio di un giovane di passare alla transizione medica, così come la ricerca sull’adattamento post-transizione dovrebbe invitare ad essere aperti alla possibilità che per alcune persone la transizione sociale e/o medica possa fornire benefici che compensano i rischi associati. È anche chiaro, tuttavia, che la transizione medica non si traduce in modo diretto in un maggiore benessere. La ricerca ci mette costantemente in allerta sul fatto di marcate comorbidità (pre e post diagnosi e/o transizione) e sui bisogni psichiatrici e psicoterapeutici a lungo termine degli individui transgender. La transizione può essere la scelta migliore per un determinato individuo, ma anche se la modificazione del corpo porta sollievo emotivo e coerenza identitaria, i costi psichici e fisici associati alla transizione medica comportano specifiche criticità.
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