La Cura

I volti del narcisismo. F. Sarracino intervista R. Musella

19/05/22
Bozza automatica 32

I volti del narcisismo

Floriana Sarracino intervista Roberto Musella

Parole chiave: Narcisismo; Congresso SPI; Intervista; Roberto Musella; Floriana Sarracino

1) Congresso SPI. È con grande piacere che sono qui con Roberto Musella, Psichiatra e Psicoanalista, Membro ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Segretario della SPI e Direttore di SpiWeb, a dialogare sul narcisismo.

A questo tema sarà dedicato il prossimo Congresso SPI: “Oltre Narciso e le solitudini: quale sogno per il futuro?” Mi soffermo subito proprio sul titolo, poiché sembra interrogare con immediatezza la contemporaneità, accostando, da un lato le figure del narcisismo, la fissità di queste “separazioni imperfette” (Gribinski, 2002), in cui la solitudine siderale prende il posto della “capacità di essere solo” (Winnicott, 1965) e, dall’altro lato, le possibilità di una creatività psichica e del riconoscimento di una temporalità/temporalizzazione. Cosa puoi dirci in merito?

Narciso è drammaticamente solo, il rapporto che intrattiene con il mondo circostante è informato solo da se stesso. Alla ninfa Eco è permesso esistere solo se, restituendo la voce di Narciso, annulla la sua soggettività per farsi specchio. Il risultato per Narciso è quello della drammatica perdita di contatto con il mondo, la rarefazione siderale della relazione con l’altro da sé. Il narcisista vive prigioniero di relazioni con oggetti che non sono altro che proiezioni del sé, quelli che H. Kohut definisce oggetti-sé. Solo quando la solitudine del narcisista incontra l’altro in uno spazio potenziale, che è quello della creatività e del sogno, si apre la possibilità di trasformare il narcisismo solipsistico e autoreferenziale in una potenzialità relazionale. In questo caso il sogno, fondamento della creatività, diventa il luogo dell’incontro, a metà strada, tra il creare e lo scoprire l’oggetto, come teorizza Winnicott.

2) Una “sfida” teorica. Si potrebbe dire che il Narcisismo continua a rappresentare una “sfida” per la psicoanalisi, sia sul versante teorico, che su quelli clinico e tecnico. Utilizzo il termine “sfida” pensando a quel clima transfero/controtransferale che non di rado caratterizza il lavoro con questi pazienti o certe fasi analitiche in cui la presa narcisistica si fa particolarmente intensa.

Sappiamo che nella stessa opera freudiana il concetto di narcisismo ha avuto vicissitudini complesse, ben prima e ben al di là di Introduzione al Narcisismo (Freud, 1914). Dopo Freud, numerosi autori hanno osservato gli altri volti di Narciso. In un tuo bel lavoro di qualche anno fa (Musella, 2017), ti sei occupato anche di questo. Quali secondo te gli snodi teorici più rilevanti?

Il narcisismo è un concetto chiave per la psicoanalisi per diversi motivi. Esso, collocato al centro della produzione teorica di Freud, lega la prima topica alla seconda e consente, pertanto, una chiave di lettura continuista della metapsicologia freudiana. Inoltre, la centralità del narcisismo dal punto di vista delle teorizzazioni psicoanalitiche postfreudiane, lo vede un concetto cardine che proprio a partire da Freud, lega Balint, Winnicott, Kohut, Grunberger, Green e altri autori che hanno lavorato il concetto implicitamente o esplicitamente sotto angolazioni diverse. Mi convince una stadiazione del narcisismo che prevede a) un narcisismo primitivo b) un narcisismo primario e c) un narcisismo secondario. Il primo è una condizione di indifferenziazione primitiva tra soggetto e oggetto, tra soggetto e mondo esterno; il secondo è il primo momento in cui si investono i nuclei autoerotici che saranno a fondamento dell’Io; il terzo vede il ripiegamento sull’Io, già formato, di libido ritirata dagli investimenti oggettuali. Se concepiamo il narcisismo in questa prospettiva diacronica, le differenze teoriche apparentemente insuperabili tra i diversi autori, che si sono occupati di narcisismo, e le differenze che si incontrano nello stesso Freud, che ne ha dato definizioni diverse nel corso della sua opera, si assottigliano, perché diverse prospettive teoriche affrontano angolazioni e momenti diversi del narcisismo e non diverse visioni dello stesso fenomeno. Quella che ancora manca, e di cui cominciamo a  sentire forte l’esigenza, è una teoria psicoanalitica unificata del narcisismo.

3) Una “sfida” clinica. Il narcisismo ci convoca su vari fronti simultaneamente: è forse una delle dimensioni che più spinge a ricordare la natura eterogenea dello psichico, le componenti metapsicologiche contemporaneamente in gioco, la continuità tra normalità e patologia, il “chiasma” (Green, 1997), i punti di intersezione tra differenti livelli psichici, i rapporti tra pulsione e oggetto, l’alterità. Il narcisismo, lungi dall’assumere una qualità esclusivamente negativa o dal manifestarsi soltanto in condizioni cliniche che si organizzano intorno ad una sofferenza narcisistico-identitaria, si caratterizza per una sorta di “polisemica ubiquitarietà”.Che ne pensi?

È proprio così, il narcisismo può essere la nuova frontiera teorico-clinica della psicoanalisi che raccorda la teoria e la clinica contemporanea. Condivido con Grunberger che la dimensione narcisistica si oppone a quella pulsionale. Per capirci: quanto più si è narcisisti, tanto meno si è capaci di ingaggiare una relazione erotica con l’altro. Il desiderio dell’altro è eroso dal ripiegamento antilibidico del soggetto. Il narcisismo si oppone, dunque, alla pulsione da un lato e alla relazione dall’altro. Il lavoro di analisi è innanzitutto un lavoro di apertura del soggetto alla pulsione, al desiderio e alla relazione erotica con l’altro. Attraverso il transfert si ingaggia un corpo a corpo che scalza il solipsismo ideale e le relazioni con oggetti sé e investe, se le cose vanno bene, progressivamente l’altro, che viene scoperto strada facendo, liberandosi dalle catene cui era stato costretto dalla sua condizione di oggetto soggettivo.

4) Narcisismo di morte. A proposito di clinica, merita forse una menzione di rilievo l’apporto di Andrè Green (1983) con il concetto di “narcisismo di morte” e quella particolare configurazione narcisistica che ha chiamato “complesso della madre morta”. Nella clinica contemporanea ci imbattiamo continuamente nei territori del “bianco”, zone di glaciazione psichica in cui s’impone il congelamento degli investimenti affettivi e della rappresentazione dell’esistenza indipendente dell’oggetto. Come poter amare ed essere amati quando nello sguardo dell’altro s’incontra sempre l’imago di quel primo sguardo, quello specchio opaco dell’oggetto originario?

Purtroppo, molto spesso, il narcisismo è caratterizzato dalla incapacità a contattare la vita. Gli investimenti in alcuni casi non solo non si rivolgono all’oggetto ma non riescono neanche a ripiegarsi sul soggetto. Questo narcisismo radicale è dominato dal disinvestimento e dalla pulsione di morte che si oppongono, a livello economico, al turbamento psicosomatico che deriva dall’essere vivi e abitati dal desiderio. La vita può essere sentita come una minaccia perché altera un equilibrio mortifero, caratterizzato da uno stato indifferenziato di quiete che denega l’esistenza dell’altro, la caducità del limite e in termini più tecnici, rinnega il complesso di castrazione che introduce il soggetto nell’universo simbolico che esita nel conflitto edipico. Il narcisista grave vive così in un equilibrio antierotico e glaciale dove sono bandite le pulsioni e le emozioni.

5) Sfida tecnica e narcisismo dell’analista. Le cose dette fin qui conducono alla necessità di un continuo ritorno, un’incessante messa al lavoro anche della tecnica psicoanalitica. Come avvicinare questi involucri psichici così delicati senza ripetere massivamente e in identico il trauma originario?  

In che modo introdurre l’alterità quando questa è puntualmente e radicalmente rigettata? Parte del prossimo Congresso SPI sarà dedicata anche a questo, e al narcisismo dell’analista. Immagino che l’implicito riguardi la possibilità per l’analista di cedere quote del proprio stesso equilibrio narcisistico, conservandosi disponibile a lasciarsi attraversare senza rimanere catturato, o farsi immobilizzare ma non devitalizzare, a tollerare forme e temperature di transfert mortiferi.   

L’analista dovrebbe essere disponibile a farsi usare dal paziente, rinunciando per lunghi tratti dell’analisi alle proprie convinzioni e alla propria soggettività. Dovrebbe lasciarsi inglobare nella geografia psichica del paziente ed essere usato al fine di riemergere, sul finire dell’analisi, come soggetto separato. Solo il rapporto con il lutto di un oggetto che si differenzia via via dal soggetto, può condurre ad un equilibrio nuovo e diverso della relazione con l’altro e consente la trasformazione profonda del narcisismo. Definire, viceversa subito, con forza, la propria soggettività limita la possibilità dell’analista di essere condotto a fondo nel mondo interno del paziente e di assumere le diverse forme del transfert narcisistico necessarie per differenziarsi. In fondo la tecnica psicoanalitica, che prevede nel setting la presenza ineffabile e “invisibile” dell’analista, ha una delle sue ragioni di essere proprio per questo motivo.

6) “Psicoanalisi ancora”. Per chiudere, ma non per finire, mi torna in mente quanto diceva Anzieu (2000, p. 253) alcuni anni fa a proposito della differenza, per la psicoanalisi, tra le origini e la sua situazione attuale: “Ieri gli psicoanalisti dovevano sfidare la resistenza del mondo nei confronti della psicoanalisi. Il loro compito oggi si è invertito: devono sostenere la resistenza della psicoanalisi nei confronti del mondo, […] resistenza della psicoanalisi verso tutto ciò che non fa che svuotarla di significato o corromperla”. Allora, ritornando al titolo del nostro Congresso, ne ribalto la parte finale: Quale futuro per il sogno? Quali le prospettive per la possibilità di sognare?

La psicoanalisi resterà viva fin quando sarà creativa. La teoria psicoanalitica ha bisogno di continue rielaborazioni che, a partire da Freud, consentano di esplorare aree via via più complesse dello psichismo. D’altro canto, la psicoanalisi clinica deve restituire ai nostri pazienti la capacità di sognare e di essere creativi. Una psicoanalisi normativa e comportamentale non fa che svuotare il suo potenziale euristico, rivoluzionario e trasformativo. Essa, per essere efficace, deve liberare desiderio e creatività, trasformando gli equilibri statici preesistenti e narcisistici, in equilibri dinamici ed erotici. Alla diade freudiana, amare e lavorare, posta a fondamento della buona riuscita di un’analisi e della salute psichica, possiamo sicuramente aggiungere il sogno, come indicatore elementare del buon funzionamento creativo della psiche. Un soggetto sano, sufficientemente analizzato, e non più ripiegato narcisisticamente, dovrà essere quindi capace di amare, lavorare e sognare.

Anzieu D. (2000), Psicoanalizzare, Borla, Roma, 2002

Freud S. (1914), Introduzione al narcisismo, O.S.F., 7

Green A. (1983), Narcisismo di vita. Narcisismo di morte, Borla, Roma, 2005

Green A. (1997), Il Chiasma: i casi limite visti dalla prospettiva dell’isteria, l’isteria vista

        retrospettivamente a partire dai casi limite, in Scalzone F. e Zontini G. Perché l’isteria, Liguori,    

        Napoli, 2011 

Gribinski M. (2002), Le separazioni imperfette, Borla, Roma, 2004

Musella R. (2017), Il problema economico del narcisismo, Rivista di Psicoanalisi vol.2017/2, Raffaello    

       Cortina Editore, Milano

Winnicott D.W. (1965), Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 1970

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