Aya Takano, 2008
COSA STA ACCADENDO?
Adolescenti e pandemia Covid 19
Ugo Sabatello
Thou hast nor youth nor age,
But, as it were, an after-dinner’s sleep,
Dreaming on both
(W. Shakespeare Measure for Measure – Act Three Scene I)*
La pandemia da COVID-19 è stata ed è un detonatore per il deflagrare della sofferenza psichica per una larga parte della popolazione giovanile. Gli adolescenti, in particolare, sembrano essere coloro che stanno pagando il prezzo più alto.
Nel Dipartimento di emergenza pediatrica del Policlinico Umberto I di Roma nel 2021, rispetto al 2019, il numero assoluto di ricoveri dei ragazzi di 10–18 anni con patologia psichica è aumentato del +88%. Inoltre, nel 2019, l’emergenza per la salute mentale rappresentava solo il 2.9% del totale dei ricoveri, nel 2020 questa proporzione è aumentata al 7.4% durante i mesi di blocco, ed é ulteriormente aumentata nel 2021 al 13.4%.
Abbiamo un’impennata di diagnosi importanti: gravi disturbi dell’umore, NSSI (non suicidal self-injury), tentativi di suicidio, stati dissociativi, disturbi del comportamento alimentare ecc. Le richieste di aiuto, di ricovero, di presa in carico sono nettamente aumentate, sproporzionate rispetto alla disponibilità di posti letto e alle valenze di cura dei Servizi Territoriali.
In ognuno di questi casi “post COVID” è percepibile una “diffusione identitaria” (Kernberg O.F., 1967; 1984) che non possiamo intendere come dato patologico, ma come caratteristica propria dello sviluppo, in un momento della crescita individuale e dell’ambiente sociale e culturale in cui i modelli identitari sono multipli e spesso contraddittori. Tale incertezza o dubbio su di sé riguarda spesso l’orientamento sessuale e la scelta oggettuale e apre il varco a fenomeni di contagio psichico in cui l’imitazione dell’altro si sostituisce a più complessi fenomeni identificativi mentre “….La paura del contagio fisico richiama la paura del coinvolgimento erotico affettivo e mentale con l’altro” (Thanopulos, 2020, 944). In questo contesto, in cui i confini individuali sembrano più labili e il rapporto oggettuale più immaginato che reale. anche il ricovero psichiatrico diviene rischioso e, a volte, dannoso in quanto l’identità più ambita ed imitata sembra essere quella patologica e le crisi irrelative, gli agiti auto ed etero (più rari) aggressivi, si trasferiscono da un paziente all’altro creando in reparto una comunità “incontenibile”
È oramai palese come la necessità di una definizione identitaria e di genere porti gli adolescenti ad incrementare, in tentativi che procedono per prove ed errori, lo sperimentare nella realtà, come nella fantasia, le diverse possibilità ed alternative dell’essere. Per questo ricorrono a fenomeni imitativi che riempiono un’incertezza identitaria che necessiterà di anni per essere colmata, in una continua contrattazione tra fantasia, aspettative e realtà. Ciò che siamo è un continuo processo di sviluppo in cui ogni livello raggiunto è la base di un livello successivo[1]. Alla nostra identità contribuiscono non solo le definizioni esterne, le aspettative di altri su di noi ma anche la nostra trasformazione fisica nel tempo, la percezione soggettiva della realtà che si confronta con le fantasie e i desideri[2].
Riflettevo con i colleghi su un dato perturbante, la straordinaria omologazione dei ricoveri: “…ragazzine, sempre più piccole, tutte con DCA e self-cutting, che vogliono morire e non sanno perché…Spesso senza alcuna angoscia”. Non possiamo che imputare il fenomeno ad un “effetto Werther” (o copycat suicide) di massa, ad una omologazione delle condotte non solo suicidarie ma anche autolesive non suicidarie (NSSI) in cui i social media sembra abbiano avuto un ruolo centrale. È improbabile che le connessioni causali siano così dirette e, nella valutazione del rischio, non è possibile non considerare le caratteristiche del soggetto e le sue preesistenti fragilità. Ma il fatto che l’effetto mediatico sia, comunque, un potente mezzo di suggestione e influenzamento è comunque evidente. Nei social osserviamo una proliferazione di gruppi dedicati a malattie o comportamenti patologici, in cui gli stessi vengono però descritti come caratteristiche eccezionali e motivo di trionfo narcisistico su se stessi e sugli altri. Attraverso i social gli adolescenti trovano possibilità imitative/identificatorie non con un oggetto reale quanto con la fantasia inconscia, primitiva e terrificante che la rarefazione dei rapporti sociali, la DAD, l’isolamento non hanno permesso di modulare attraverso un confronto con il reale. Quindi tutto – incluso il confronto mortificante con la perfezione artefatta della maggior parte delle immagini social – resta nel registro della fantasia e davanti l’Assise di istanze autogiudicanti, particolarmente estreme e intolleranti, proprie della fase evolutiva.
Da sempre andiamo ripetendo che gli adolescenti sono suggestionabili, ma di questa affermazione, peraltro solo parzialmente veritiera [3], risulta che si siano occupati più i pubblicitari che il mondo delle “professioni d’aiuto”. Da sempre affermiamo che nella progressiva costruzione della propria personalità (diventare la persona che pensa i propri pensieri e sente i propri sentimenti), la mancanza di realtà e di esperienza è sostituita dall’immaginare o dal costruire immaginando la propria identità. È necessario per i bambini e gli adolescenti di oggi, almeno nei nostri paesi a “vantaggio tecnologico” elevare uno schermo antistimolo (Freud S., 1920) contro il surplus di sollecitazioni a cui l’ambiente li espone, imitando l’altro o, ancor meglio, la sua immagine. Nel mondo della comunicazione attuale non vi è tempo per processi di introiezione lunghi e faticosi che si dipanano nella contrattazione tra aspettative e realtà mentre imitare é semplice e immediato, un calco dell’identità dell’altro. Gaddini (1968) scrive che “…l’imitazione è il tentativo di padroneggiare uno stimolo troppo intenso” (Gaddini, 1968, 187)- un processo che non permette alcuna progressione nella costruzione di un proprio sé e di uno spazio interno elaborativo. E il vuoto, spesso senza alcuna percepita sofferenza, viene così riempito non dalla costruzione progressiva e faticosa di una propria identità ma dall’imitazione sterile e onnipotente di una realtà solo virtuale.
Ugo Sabatello
BIBLIOGRAFIA
Cicchetti, D., Cohen, D. (2006). Development and Psychopathology, vol.1, Theory and Method (2nd ed.) Wiley & Sons Inc.
Freud S. (1920), Al di là del principio di piacere. Bollati Boringhieri, Torino, 1975.
Gaddini E. (1968), Sulla Imitazione in Gaddini E. (1989) Scritti (1953-1985) Bollati Boringhieri, Torino.
Kernberg, O.F. (1967), Borderline Personality Organization. In Journal of the American Psychoanalytic Association, 15, 3, pp. 641-685.
Kernberg, O.F. (1984), Disturbi gravi della personalità. Torino: tr. it. Bollati Boringhieri, Torino, 1987.
Jeammet P. (1992), Psicopatologia dell’adolescenza. Borla, Roma.
Thanopulos S. (2020), La psicoanalisi tra l’angoscia del contagio psichico e l’uomo “eremos”, desertificato. Rivista di Psicoanalisi, 2020/4. 941-951.
Wang Z. and Deater-Deckard K. (2013): Resilience in Gene–Environment Transactions. In: Handbook of Resilience in Children. Sam Goldstein • Robert B. Brooks Editors. Springer
*Non sei né giovane né vecchio, Ma è come se dormissi dopo pranzo Sognando di entrambe le età.
(W. Shakespeare Misura per misura – Atto III Scena I)
[1] Concetti di base della Psicopatologia dello Sviluppo (Cicchetti e Cohen, 2006)
[2] “Considering, assessing, and testing for protective mechanisms using objective measures of the environment is essential, but only tells half of the story. The other half requires venturing into the environment of the child’s mind—her or his subjective reality. Although the research on resilience and self-concept and other self-relevant social cognitions (described earlier) is relevant to this end, what is needed are studies examining gene–environment transactions underlying children’s interpretations of their environments and experiences, and how these subjective experiences influence developmental outcomes. Wang Z. and Deater-Deckard K. (2013
[3] La suggestione e la suggestionabilità sono fenomeni e caratteristiche che appartengono più al contesto che alla persona. In determinate situazioni tutti siamo suggestionabili. Lo dimostrano diversi esperimenti di psicologia sociale come quello di Milgram (1961) o quello di Standford (Zimbardo, 1971) ed anche fatti di cronaca, in cui il funzionamento del gruppo si dissocia da quello dei suoi componenti (Canetti, 1960) come nella strage dell’Heisel del 1985.