Proponenti: Gabriella Giustino e Giorgio Mattana
Report a cura di Gabriella Giustino
Nel corso del seminario abbiamo cercato di approfondire i concetti di bugia intesa come falsificazione difensiva tesa a proteggere il Sé e la menzogna delirante che domina la mente ed assume le caratteristiche di un’organizzazione patologica. I due casi d’analisi che abbiamo presentato erano particolarmente significativi per riflettere in gruppo su questi due concetti che si collocano in uno spettro più ampio di psicopatologia.
Il primo era un caso d’analisi durato dieci anni e riguardava una giovane donna studentessa di medicina.
La paziente era arrivata in analisi da me perché era talmente intrappolata dalle aspettative performative dei genitori su di lei da falsificare gli statini della metà degli esami del corso di laurea.
In preda ad uno stato dissociativo del Sé, Vera aveva operato in segreto questa grave falsificazione che poi fu smascherata platealmente solo durante la discussione della tesi.
Il secondo caso (Mattana) riguardava l’analisi, durata sei anni, di un ragazzo che mentiva sul rendimento e sulla frequenza scolastica, nonché su aspetti della vita privata.
La menzogna e l’omissione in senso classico, intenzionali e consapevoli, rivelatesi peraltro occasionali e non sistematiche, erano secondarie a una “bugia” inconscia relativa all’identità, a una credenza delirante inconscia che ne dominava la personalità. Durante la discussione successiva alla lettura di un’ampia letteratura teorica sulla bugia e dei casi clinici, il gruppo ha lavorato in modo libero e proficuo e la partecipazione è stata viva e ricca d’integrazioni. Andrea Marzi, ha arricchito l’inquadramento teorico citando il noto lavoro della Greenacre e soffermandosi sul narcisismo e sui meccanismi specifici d’identificazione introiettiva e proiettiva messi in atto da questi pazienti. Poi si è soffermato sulla concettualizzazione di Bion che tra l’altro accomuna bugia e delirio. Interessante la sua osservazione sul concetto di verità (così difficile da definire) e sull’ipotesi che in fondo siamo tutti “un po’ impostori”. Ho aggiunto che Bion colloca la bugia in –k ma poi fa un discorso complesso (che verrà ripreso da Meltzer ) su bugia mito e sogno. Da questo stimolo è partita un’ulteriore riflessione sulle varie categorie di bugie : la bugia conformista, la bugia pietosa, la bugia adattiva. Rispetto al concetto di verità inafferrabile ho proposto che il nostro punto fermo è la realtà psichica non la realtà/verità esterna. Molte osservazioni convergevano sull’importanza del controtransfert (Fausta Cuneo, Raffaella Pagano) per esaminare il tipo di comunicazione del paziente e cercare di entrare in contatto con aspetti autentici, soprattutto all’inizio del processo analitico. Le colleghe, con accenti diversi ma concordanti, hanno sottolineato l’uso distruttivo della bugia arricchendo con interessanti esempi clinici questa configurazione psicopatologica. Rispetto al caso di Vera, Stefania Nicasi ha indicato che il sollievo nel farsi scoprire e le macchie cieche della paziente nell’agire la falsificazione, avevano il significato di un vero e proprio atto mancato.
Giorgio Mattana ha brevemente ricordato Daniel Dennet col suo concetto di centro di gravità narrativo. Egli inoltre si è soffermato sull’importanza del corpo nella patologia del suo paziente.
Cesare Davalli ha proposto che nel caso presentato da me il trauma emotivo aveva le caratteristiche prevalenti di un impingment mentre nel caso presentato da Giorgio si trattava di una assenza emotiva, un disinvestimento. Olivia Castoldi si è soffermata sull’uso, in questo ultimo caso, della “bolla bugia” in senso gratificante autoeccitatorio alienato da un confronto con la realtà (come una droga). Infine, Andrea Marzi si è ricollegato al discorso dell’aziendalismo interno, del titanismo ipertrofico che può considerarsi oggi come una vera e propria sindrome psicosociale (Di Chiara).