Proponenti: Berlincioni V., Carnevali C., Cusin A., Vandi G.
Report a cura di Berlincioni V., Carnevali C., Cusin A., Vandi G.
Partecipanti: Fiorentino R., Maestro S., Masoni P., Medici T., Zanchi M.
Abbiamo proposto un seminario per discutere dell’esperienza analitica con i gruppi, cercando di capire come funzioni la mente dell’analista nel setting gruppale.
L’idea è nata da una riflessione comune: la grande cultura di alcuni soci della SPI e la loro approfondita esperienza con i gruppi in contrapposizione alla scarsa presenza di una formazione psicoanalitica di gruppo dei futuri psicoanalisti, durante e dopo il training.
Il seminario prende spunto dall’esigenza di tenere conto dei cambiamenti che stanno avvenendo nella società, relativi alla crisi economica e alle nuove emergenze sociali, rispetto alle quali la terapia analitica di gruppo e in gruppo, può offrire un prezioso contributo terapeutico.
Ha introdotto i lavori Gabriella Vandi mettendo in luce come lo psicoanalista possa essere interessato al lavoro psicoanalitico di/in gruppo sia per capire meglio i legami intersoggettivi che sono alla base della formazione dell’individuo, sia per rispondere alle nuove forme di sofferenza mentale, come la difficoltà a entrare in contatto con i propri sentimenti e la percezione, sempre più diffusa, di un doloroso sentimento di vuoto interiore. Il lavoro analitico di/in gruppo consente di accedere a tali sofferenze che non possono essere capite e analizzate, se non si comprendono i legami intersoggettivi che le sottendono.
Cinzia Carnevali, nella sua relazione dal titolo: “Identità e cambiamento. Lo spazio del soggetto e il gruppo”, ha cercato di far dialogare i diversi modelli nel tentativo di integrare alcune conoscenze del lavoro analitico di gruppo con quelle del lavoro analitico individuale. Ha messo in luce tre punti di riflessione: gruppalità-soggettività, non integrazione-integrazione e identificazione-empatia- rêverie. Attraverso un’ampia presentazione di materiale clinico ha cercato di evidenziare come funzioni la mente dell’analista nel setting gruppale, come si costituiscano, si ripetano e si trasformino le alleanze inconsce, come si formi la soggettività. Il bisogno di soggettivarsi all’interno del gruppo porta alla necessità di integrazione di due bisogni: quello del legame individuo/gruppo e quello di separazione /autonomia.
Sono nate alcune domande: cosa sia un gruppo e cosa accada nella mente del paziente e dell’analista nell’analisi di/in gruppo. E’ possibile un movimento di integrazione intrapsichico? Inoltre, esiste un transfert del gruppo nei confronti dell’analista? Il riconoscimento da parte del gruppo è fondamentale per comprendere e sollevare dalla sofferenza del mancato riconoscimento da parte di un ambiente familiare che si irrigidisce e si cronicizza su modalità deneganti e desoggettivanti.
Il contributo di Anzieu, Kaës, Bion e dei Baranger è stato di grande utilità per comprendere i gruppi. L’uso delle loro concezioni può essere aperto a ibridazioni fertili se facciamo dialogare i diversi vertici osservativi della psicoanalisi. Nell’esperienza con lo psicodramma analitico si presta ascolto e attenzione a tutti i giochi identificatori e a tutti i ruoli. Dal dialogo con i partecipanti si giunge a rappresentare, attraverso il gioco, la scena gruppale condivisa. La dimensione gruppale facilita la messa in scena dei diversi personaggi che il soggetto può rappresentare, attivando così il processo trasformativo.
Vanna Berlincioni, nella sua relazione dal titolo: “I disturbi del comportamento alimentare nella prospettiva terapeutica del gruppo” ha parlato del lavoro di gruppo nell’Istituzione, a partire da un’esperienza di psicoterapia di gruppo di pazienti affette da disturbi del comportamento alimentare. Il lavoro con piccoli gruppi omogenei, definiti “monosintomatici”, è caratterizzato dal riconoscimento di un problema che accomuna tutti. Il gruppo funziona qui come un contenitore delle difficoltà presenti in ciascuno.
In una prima fase le pazienti realizzano, attraverso la strategia sintomatica, una sorta di omogeneizzazione: l’elemento dell’appartenenza, denotato attraverso il sintomo, facilita l’accesso alla concezione di un bisogno o all’attenuazione dell’obbligo a negarlo, là dove l’affermazione della soggettività è sentita come irrealizzabile. Attraverso il dispositivo gruppale, le pazienti emergono dall’opacità, serialità ed omogeneità indifferenziata dei sintomi, mentre le storie individuali si delineano progressivamente. La solitudine provata all’interno delle proprie vicissitudini esistenziali e psicopatologiche viene ripercorsa insieme agli altri e condivisa attraverso una funzione di rispecchiamento “gruppo-specifica”. Nell’interazione gruppale, man mano che il processo terapeutico si sviluppa, non saranno più condivise solo le manifestazioni sintomatiche comportamentali, ma diventeranno comunicabili anche elementi intrapsichici più profondi (consci e inconsci). Nello stesso tempo l’esperienza e la storia del gruppo potranno essere individualmente e internamente rappresentate, in uno scambio di reciproca trasformazione: il lavoro del gruppo rompe così il destino di solitudine ed estraneità a cui le pazienti si sentono da sempre condannate.
Il piccolo gruppo sfrutta le potenzialità terapeutiche delle relazioni umane e facilita le reciproche identificazioni a vari livelli tra i partecipanti. Si attiva così e si sviluppa un processo collettivo insieme artificioso e autentico, dove si passa dai teatri privati corporei dell’anoressia-bulimia al riconoscimento della propria identità soggettiva e quindi al superamento della cogenza del sintomo.
I lavori del pomeriggio si sono aperti con la relazione di Ambra Cusin, dal titolo “Il gruppo ha una sua mente?”. Con un interessante lavoro clinico, è stato illustrato come il gruppo terapeutico di fatto sia un luogo peculiare per la trasformazione delle esperienze emotive in pensieri pensabili, tenendo anche conto di come nel gruppo si possano smuovere immediatamente e inaspettatamente contenuti molto violenti e distruttivi.
Si osserva infatti come un’angoscia di separazione possa produrre dei “mostri” che popolano la mente gruppale, saturando ogni spazio mentale, ostruendo a volte anche la mente dell’analista che fatica a ri-orientarsi.
Viene esplorato un breve passaggio di una situazione clinica per introdurre nell’atmosfera di quella che viene considerata la mente gruppale e la funzione gamma di Corrao.
Insieme ai colleghi si sono esplorate le modalità con cui il gruppo riesce a “sentire inconsciamente”, e rappresentare sulla scena gruppale, qualcosa di impensabile che viene agito nel macro gruppo sociale. Viene ipotizzato che l’immagine onirica di una “persona bisognosa e in povertà”, portata nel gruppo, possa esistere prima, forse come una paura che abbiamo tutti come italiani, e quindi anche come psicoanalisti.
Si è mostrato come il gruppo abbia voluto verificare, magari prima di aprire a tematiche più profonde, la capacità dell’analista di garantire la sopravvivenza del contenitore gruppale nonostante le tempeste messe in scena. Cusin ha dovuto abbandonare i bisogni difensivi scegliendo piuttosto di utilizzare la capacità negativa (Bion), mettendosi all’ascolto non dei singoli, ma della mentalità che il gruppo stava costruendo. E’ stato forse quel “ sostare nel dubbio” che ha fatto emergere prepotentemente tutta la persecutorietà che il gruppo, in un assunto omertoso, stava inconsciamente covando al proprio interno e che forse era espressione anche della persecutorietà nella quale viviamo attualmente.
Durante il Seminario è stata proposta un’esperienza di Psicodramma Analitico, (condotto da C.Carnevali e osservato da G. Vandi) dove si è potuto sperimentare come, attraverso il racconto e il “gioco”, circolino inevitabilmente nuclei fantasmatici e relazioni inconsce.
Il gruppo si interroga sulle relative provenienze. Il pensiero gruppale si coagula intorno alla “fantasia delle origini”. Il processo associativo che vi circola diventa uno straordinario vertice di osservazione, crocevia di movimenti intrapsichici, intersoggettivi e intergenerazionali, favorendo il passaggio da una soggettività all’altra e aprendo la strada al ritorno del rimosso.
Nella presentazione, all’inizio della mattinata, alcuni avevano espresso il desiderio, nello scegliere questo seminario, di ‘divertirsi’, ma inaspettatamente il ‘gioco’, nel ricordo, porta il gruppo anche a confrontarsi con vicende drammatiche che hanno così modo ti trovare un’ulteriore elaborazione.
L’esperienza ha permesso l’emergere di un vissuto di angoscia che scorre sotterraneamente in questo tempo di crisi, crisi che non è solo economica, ma anche crisi della capacità di vivere relazioni emotivamente intense e intime.
I partecipanti si sono interrogati sul rischio di eliminare la competenza relativa all’analisi di gruppo così come si eliminano, in certe situazioni storiche, le vestigia di una precedente cultura (è apparsa l’immagine, di stampo mafioso, di dissolvere nemici nell’acido).
Durante l’esperienza di psicodramma è affiorata l’immagine di un analista ancora vivente, anziano, ma capace di accoglienza verso il nuovo, lo ‘straniero’. Questo ‘grande vecchio’- messo in scena dalle libere associazioni, nei due aspetti passivo-materno-accogliente e attivo-materno-paterno-incoraggiante – ha permesso l’emergere di uno scongelamento emotivo tra i partecipanti.
Calde emozioni hanno ricordato che al lutto delle cose perdute si risponde con la vitalità delle lacrime.
I partecipanti hanno sperimentato così la potenza fantasmatica e la fecondità dell’esperienza gruppale.
Dal Seminario è nato il desiderio di continuare ad incontrarsi come gruppo SPI per consolidare l’identità raggiunta e per superare le “rigide” appartenenze che sembrano obbligare a scegliere tra analisi individuale e analisi di/in gruppo. Oggi forse per la SPI inizia la possibilità di dare un posto al lavoro di analisi con i Gruppi, come è avvenuto con l’analisi per l’Infanzia e Adolescenza. Tale apporto potrebbe fornire elementi nuovi alla teoria psicoanalitica vitalmente in continua costruzione.