Sala del Giardino d’Inverno
Istituto Montedomini
Via de’ Malcontenti, 6 – Firenze
13 Aprile 2013
Malessere sociale e malessere individuale: alleati o nemici?
Introduzione. Con il tema “Malessere sociale e malessere individuale: alleati o nemici?” si apre il ciclo dei Seminari interassociativi 2013 organizzati da AFPP, CSMH – AMHPPIA, SIPP e SPI.
Ospiti della mattinata sono René Kaës e Anna Ferruta che dialogheranno sulla tematica proposta affrontando la posizione attuale della psicoanalisi di fronte al disagio contemporaneo ed alla sofferenza psichica che ne deriva.
René Kaës, con la sua relazione “Di fronte al malessere psichico nelle civiltà ipermoderne, cosa può la psicoanalisi”, si soffermerà sul mutamento del percorso trasformativo psicoanalitico e sull’estensione del suo campo.
Seguirà la relazione di Anna Ferruta “Le angustie del narcisismo nella cura analitica” nella quale verrà affrontato il tema della sofferenza narcisistica che ostacola i processi di soggettivazione.
Di fronte al malessere psichico nelle civiltà ipermoderne, cosa può la psicoanalisi
René Kaës
“Che legittimità possiede il discorso psicoanalitico derivato dalla cura, per parlare del malessere nella cultura ipermoderna, o, secondo l’espressione di Freud, del “malessere nella cultura”?
La questione rinvia a quella dei limiti del suo ambito di pratica e dunque del metodo che vi si associa. Rimanda anche al tema delle sue estensioni, e delle sue frontiere con altre discipline, o più esattamente con altri oggetti epistemologici.
Si sa che questi limiti sono estensibili e che senza l’estensione del suo campo di applicazione, non si sarebbero potute inventare la psicoanalisi dei bebè, né quella dei bambini, degli adolescenti, delle persone psicotiche e degli stati limite. Perché si producessero queste estensioni, si è dovuto modificare il dispositivo della cura tipo, concepita per il trattamento degli adulti nevrotici. L’assetto interno dell’analista e i modelli di intelligibilità dello spazio psichico del soggetto singolo, si sono anch’essi dovuti trasformare. Si sono dovuti revisionare e riformulare i modelli teorici, che si sono rivelati provvisori e relativi alle condizioni di possibilità della pratica psicoanalitica. Queste estensioni si inscrivono all’interno del primo atto fondatore della psicoanalisi, quello che Freud ha dall’inizio aperto alla conoscenza dello spazio della realtà inconscia intrapsichica.
Il secondo atto dell’invenzione della psicoanalisi è apparso con la creazione dei dispositivi che hanno reso possibile un lavoro psicoanalitico con soggetti multipli riuniti con uno o più psicoanalisti seguendo la regola fondamentale. Con questo secondo atto e a partire dai dispositivi analitici applicati ai gruppi, alle famiglie e alle coppie, sono comparsi molteplici spazi di realtà psichica. Mentre la cura individuale fa lavorare lo spazio psichico del singolo soggetto nel campo transfero-controtransferale, il gruppo mette al lavoro tre spazi psichici : lo spazio intrapsichico del soggetto nel gruppo, lo spazio dei legami interpsichici e lo spazio trans psichico del gruppo stesso. Questi tre spazi non sono né incastrati né sovrapposti, bensì articolati tra loro, in correlazione e interferenza gli uni con gli altri.
Oggi la psicoanalisi non può limitarsi alla sola realtà psichica del singolo soggetto: non può neppure costituirsi come una visione del mondo di cui possiederebbe la chiave, una specie di scienza delle scienze che si costituirebbe a partire unicamente dall’esperienza dello spazio della realtà psichica del singolo soggetto.
Confrontata al malessere della e nella nostra cultura eteroclita e al trattamento della sofferenza psichica che ne deriva, la psicoanalisi deve adoperare tutte le risorse della conoscenza dell’inconscio di cui dispone, in tutti i dispositivi nei quali l’inconscio si manifesta e produce i suoi effetti.
Ciò che oggi può la psicoanalisi, è trattare certe forme del disagio contemporaneo e renderne conto, a condizione di esplorare i rapporti che intercorrono tra lo spazio psichico del soggetto, lo spazio dei legami intersoggettivi e lo spazio psichico che è proprio delle configurazioni psichiche dei gruppi, delle famiglie, delle istituzioni.” (Dalla relazione di René Kaës).
Le angustie del narcisismo nella cura analitica
Anna Ferruta
“Se e come sono cambiati i nostri pazienti fino ai giorni nostri”, affermava Eugenio Gaddini in un importante lavoro del 1984. Oggi possiamo aggiornare quella riflessione, a partire dall’analisi di casi clinici che chiedono una cura per una forma di sofferenza narcisistica.
Ci troviamo immersi in una sindrome psicosociale (Di Chiara) che sostiene forme di relazione nelle quali i processi di integrazione pretendono di oltrepassare i limiti del singolo, fino a riassorbire l’altro, senza sviluppare processi di soggettivazione.
Il soggetto, anche se cerca di alimentarsi di eccessi, si impoverisce, incontra ostacoli a divenire Io, a creare legami e a fare società. La dimensione del gruppo costituisce un’esperienza nella quale l’altro non sparisce nel funzionamento narcisistico individuale. L’altro è irriducibile alla sua interiorizzazione-soppressione come oggetto.
Si propongono alcuni esempi clinici che illustrano i limiti dei processi di integrazione, i modi della gruppalità interna come base necessaria di un sano narcisismo, le vicende relazionali in analisi che portano a nuove forme di soggettività (Dalla relazione di Anna Ferruta).
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