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Roma 18 settembre , “Le immagini e l’inconscio”

10/05/12

Sabato 18 Settembre 2010, nella sede di Via Panama a Roma, i Segretari del due Centri SPI della capitale hanno aperto con il loro saluto una affollatissima giornata organizzata congiuntamente, con ospiti di grande rilievo invitati ad una riflessione su: “Le immagini e l’inconscio”. L’occasione era la recente pubblicazione di Immaginando, il ricco e stimolante libro di Chianese e Fontana, e il frequente richiamo dei relatori alle sue pagine, e la partecipazione degli autori, hanno contribuito a farne circolare le tesi espresse come presenza viva, con cui intessere una fertile interlocuzione. Immaginando ha costituito una sorta di testo/pretesto per discutere sul ruolo del visivo nella teoria e nella pratica analitica, e per dare spazio ad una proposta implicita del libro – che definirei di un lavoro in doppio con l’arte – per una psicoanalisi che non si limiti a pensare “sopra” l’arte, ma voglia anche pensare “con” l’arte, insieme a coloro che esplorano senso e problemi della raffigurazione dal vertice del proprio lavoro di artisti o di studiosi delle immagini. In tal senso, affascinante e intenso l’intervento di Corrado Bologna – docente di Filologia Romanza – il quale con vertiginosi salti associativi sul filo delle immagini, ci ha portati da Calvino a Giordano Bruno, da Levi a Benjamin e a Warburg e tanti altri ancora, inanellando una serie di pensieri e citazioni dense di echi per noi psicoanalisti (riporto qualche frase dai miei appunti: “ … letteratura come azione immaginante in cui si libera l’utopico o il potenziale”, “ … germe di narrazione che ogni immagine porta con sé”, “… traccia dinamica dell’emozione connessa all’immagine da rianimare per aprirne le potenzialità narrative”). Lo sguardo di Giovanna Goretti ha invece percorso con sensibilità, competenza e profondità alcune immagini di De Chirico, suggerendo nel suo intervento che la creazione di un quadro possa ubbidire ad un’esigenza che non si allontana molto da quella che porta alla formazione dei sogni: non tanto l’appagamento di desiderio, quanto l’attività allucinatoria stessa, come esigenza e “necessità di raffigurare”, per capire, da come si raffigura un oggetto o un’esperienza, come sono stati vissuti soggettivamente.

I contribuiti di tutti gli psicoanalisti invitati – tra cui lo junghiano Paolo Aite, che ha parlato della capacità psichica di raffigurare attivata dalla tecnica del “gioco della sabbia” – muovevano comunque dalla tesi centrale di Immaginando, ossia la necessità di riconoscere spazio, valore e autonomia al campo dell’immagine in psicoanalisi, non subordinandola ma conferendole pari dignità della parola. Un “iconic turn” anche per la psicoanalisi, dunque, che tuttavia facendo propria la lezione warburghiana così cara a Chianese e Fontana, nella giornata romana tracciava l’immagine di una psicoanalisi futura che contiene in sé anche il proprio passato – mi piace qui ricordare come nell’immagine contemporanea di una giocatrice di golf, Warburg arditamente individuasse il riproporsi della formula espressiva antica del pathos dionisiaco!

Adamo Vergine, in particolare, ha espresso nel suo intervento l’auspicio e la fiducia che la teoria e la pratica analitica siano in grado, come già è avvenuto in passato, di accogliere integrativamente nuove formulazioni dell’esperienza psicoanalitica, capaci di contenere in sé il lascito della tradizione freudiana senza rinchiuderla in gabbie dogmatiche e scientificamente sterili. Di fronte ad ospiti internazionali come la coppia dei Botella, Vergine ha ricordato l’acquisizione progressiva, da parte della psicoanalisi italiana, di una propria personale identità, fondata sull’elaborazione originale del pensiero di Freud, Winnicot, Bion, Baranger (con la più recente attenzione a Bollas e Ogden), nella direzione dello sviluppo della nozione di “relazione analitica” e di “campo analitico”, due filoni di indagine e di riflessione – leggermente differenti e originati da pionieristico lavoro negli anni ’80 di un gruppo romano e di uno milanese – caratterizzanti oggi la maggior parte della psicoanalisi italiana.

“Proposte per un ampliamento del metodo freudiano”, recava come sottotitolo l’intervento dei Botella, che articolando il tema dell’immagine e della relazione nella specifica declinazione del loro pensiero – il lavoro di raffigurabilità “in doppio” – sembravano esprimere in questo modo la consapevolezza della portata innovativa delle loro formulazioni, che tuttavia si inseriscono nel solco della tradizione freudiana, riaprendo il pensiero sulla psicoanalisi senza ripudiare il già detto. Il lavoro che hanno presentato parte da una disamina sulle differenze tra il modello dell’inconscio della prima topica e quello dell’Es della seconda, di cui a loro avviso Freud non avrebbe colto le implicite conseguenze per operare un ripensamento nel metodo e nella pratica clinica, che è per l’appunto quanto i Botella si propongono di fare. La proposta è di affiancare a ciò che essi definiscono il classico approccio archeologico freudiano – governato dalla regola fondamentale della libera associazione e dall’equivalente nell’analista della attenzione fluttuante – un approccio complementare, a cui danno il nome di approccio trasformazionale regrediente, attraverso cui il pensiero regrediente dell’analista in seduta – in uno stato dominato dal sensoriale, da un quasi-allucinatorio endopsichico, visivo o uditivo – diventi lo strumento per facilitare processi trasformazionali indispensabili a rendere rappresentabili aree psichiche del paziente altrimenti inaccessibili.

L’intervento di Ferro, con linguaggio diverso dai Botella ma in sintonia con la loro proposta, ha brevemente ripercorso i punti essenziali della sua altrettanto innovativa teorizzazione, ribadendo l’importanza tecnica di allargare l’onirico in seduta.

Il pubblico ha seguito con grande interesse e apprezzamento i lavori della giornata. Nel dibattito (i tempi purtroppo sono sempre troppo stretti!) da alcuni è stata sollevata la richiesta di una riflessione più ampia e puntuale sui concetti di regressione e di dimensione allucinatoria, insistendo sulla necessaria complementarietà di un’oscillazione controllata tra regredienza e progredienza per contrastare il rischio di scivolare verso la disorganizzazione. E una domanda è stata posta ai Botella: cosa ne deve fare l’analista dell’immagine che “vede” in seduta: la comunica al paziente? La tiene per sé ascoltando, da quel momento, in modo diverso le comunicazioni del paziente? (Russo).

Le immagini, comunque, hanno volteggiato come farfalle. È stato Chianese a ricordare che nel passaggio dalla crisalide all’insetto maturo, con il termine “imago” si va ad indicare la farfalla appena dischiusa: a volte, ha aggiunto, gli psicoanalisti possono diventare iconoclasti, distruggere l’immagine per catturarne il senso; si può infatti individuare l’immagine/farfalla appena dischiusa e seguirne con lo sguardo il libero dispiegarsi in volo, oppure ci si può munire di spilloni, infilzarla, metterla sotto una lente per osservarla minuziosamente, senza rendersi conto che così la si uccide, privandola di ogni potenzialità di vita e di movimento. Ferro ha suggerito, invece che di uno spillone, di munirsi di un acchiappafarfalle, un retino come la vispa Teresa, perché una qualche farfalla – ha detto – bisogna pur acchiapparla!

Concludo provando ad “acchiappare” e restituirvi il senso della giornata con una frase di Chianese: nel movimento, e nel pensiero in divenire, risiede il futuro, anche quello della psicoanalisi.

Maria Grazia Vassallo Torrigiani

Riportiamo qui di seguito un commento alla giornata, che abbiamo ricevuto da Donatella Lisciotto.

Le Immagini e l’Inconscio

Attorno alla presentazione del libro “Immaginando” (Chianese-Fontana ed. Franco Angeli) si sviluppa la tesi dei Botella, ospiti francesi di fama internazionale, accompagnata dagli interventi, altrettanto stimolanti di esponenti della cultura psicoanalitica anche di differenti indirizzi.

La carrellata delle relazioni, nonostante tutte siano state impegnative e di grande spessore, non è riuscita ad affaticare l’assemblea, anzi si è realizzato un crescendo di interesse che ha trovato la sua espressione nel dibattito, anch’esso ricco e considerevole.

La commistione tra il contenuto del libro e gli interventi dei diversi relatori appare di grande effetto e apre a possibili sviluppi della teoria psicoanalitica verso i quali dovrebbe defluire l’attenzione di tutti coloro che hanno a cuore la cura psicoanalitica.

La chiarezza, la semplicità, la linearità e la creatività che si apprezza in “Immaginando”, oltre ad essere una dote degli autori è, a mio avviso, l’elemento di cui la condizione psicoanalitica dovrebbe caratterizzarsi, aldilà di linguaggi a volte nebbiosi che oscurano il vero significato psicoanalitico.

Leggere Immaginando “apre” la mente all’antico e al nuovo nello stesso tempo, spinge a pensieri associativi che rimandano ai propri pazienti e alla tecnica., lo fa con una leggerezza che solleva e incoraggia a scoprire angolature originali, a percorrere una visione ampia dell’individuo nella sua interezza e nella sua profondità, senza timore di spingersi nell’immaginazione, troppo poco frequentata.

Tutto ciò conferisce alla psicoanalisi un modernismo che non svilisce, bensì arricchisce.

L’Immagine è alla ribalda, non solo e non tanto le parole.

Finalmente, si può dire, l’Immagine acquista una sua rilevanza, un primo piano che porta il pensiero molto lontano, spingendosi al dilà dell’interpretazione, nell’inimmaginabile che prende forma dall’immaginare.

Si può parlare di un’inimmaginabile immaginato nel senso di dare raffigurabilità a ciò che non ha storia.

La psicoanalisi da “L’Arte dell’Interpretazione” diventa “L’Arte del libero ascolto”.

L’analista può alleggerirsi dal compito a volte ingombrante, di funzionare per interpretazione e può scivolare in un’assetto mentale, più naturale, che segua l’immagine, la forma o anche l’informe, l’allucinatorio, realizzando una simbolizzazione che parta dalla sensorialità.

Senza voler sintetizzare, qui, la tesi dei Botella, colpisce subito il titolo del lavoro proposto (“Il ‘Visto’ nel Sogno, il ‘Sentito’ nella Seduta”) e ancora di più il sottotitolo (“Proposte per un ampliamento del metodo freudiano”).

I Botella distinguono un ”approccio psicoanalitico archeologico” dove predomina “il meccanismo dello spostamento e la ricerca di un rimosso sul modello di uno scavo del passato” da un “approccio trasformazionale regrediente”.

E’ questo approccio che – affermano – può comportare un ampliamento del metodo freudiano.

La regredienza dell’analista durante lo “stato di seduta”, comporta una sorta di endo-regressione (che può alternarsi all’attenzione fluttuante), che aiuta l’analista a cogliere elementi non rappresentati della storia del paziente. La storia astorica necessita di una raffigurabilità che può avvenire attraverso un’ascolto regrediente dell’analista.

In questo, che pare essere un processo e non solo una funzione della mente dell’analista, le immagini, il sensoriale, hanno una centralità, sono come “segni”, alla stregua di geroglifici, vanno presi in considerazione, ascoltati, raccolti, custoditi, compresi e poi interpretati (ma anche no).

“Il ‘Visto’ del geroglifico rimase incomprensibile finchè non venne collegato al ‘Sentito’ .“ (Botella)

In questo approccio “il pensiero dell’analista, immerso nello “stato di seduta”, effettua un lavoro di raffigurabilità sensoriale, visiva o acustica(…) diventa capace di legare e trasformare i diversi elementi eterogenei del paziente (…)portando un’intellegibilità che incorporerà tracce infantili che il paziente non ha potuto pensare, né rappresentare. (…) Ne scaturisce ogni volta una creazione nuova, di un’originalità più o meno spiccata, più o meno assurda come il sogno notturno”.

Si realizza in questo modo un “Attualizzazione quasi-allucinatoria” costituita con elementi che provengono in parte dal paziente e in parte dall’analista che serve a rendere rappresentabili zone psichiche “altrimenti inacessibili”.

In conclusione dei lavori seminariali colpiscono le parole spontanee di Domenico Chianese che rivela che prima di iniziare a scrivere “Immaginando” stava sviluppando degli interrogativi sul futuro.

“Come nasce il futuro nel bambino? E nell’adolescente?…”

Poiché sappiamo che esiste un senso inconscio nella forma, c’è da chiedersi se il suo pensare al futuro, in relazione alla psicoanalisi, contenga già una significazione in attesa di raffigurabilità, e che, nel connubio con il pensiero dei Botella, sembra cercare una rappresentazione o una rivelazione.

Andare oltre il ricordare significa immaginare, in una psicoanalisi dove ricordo e “idee incidentali” si alternano, farsi sorprendere dalle sensazioni sviluppando coraggiosamente un percorso invisibile che aspetta di essere raffigurato attraverso la mente analitica può essere il futuro della psicoanalisi? O lo è già?

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