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“Le Frontiere della Psicoanalisi” Lavarone (TN), 28/6-1/7/2024. Report di D. Federici e E. Marchiori

8/07/24
Le frontiere della psicoanalisi: "In gioco" Lavarone 2022 Report di D. Federici ed E. Marchiori

Parole chiave: rispetto, risonanza, Lavarone, Gradiva, riparazione

LE FRONTIERE DELLA PSICOANALISI. RISPETTO E RISONANZA”

Convegno del Centro Studi Gradiva Lavarone (TN), 28 giugno – 1° luglio 2024

Report a cura di Daniela Federici ed Elisabetta Marchiori

“Rispetto” e “risonanza”, le due parole che hanno dato il titolo all’edizione 2024 dello storico convegno di Lavarone “Le frontiere della psicoanalisi”, sono riecheggiate dal 28 Giugno al 1° Luglio nella natura dell’Alpe Cimbra, tra le vette e il lago amati da Freud, durante giornate fortunatamente serene. Un pubblico eterogeneo, numeroso e attento ha seguito con partecipazione il programma particolarmente ricco e polifonico, dimostrando un grande desiderio ritrovarsi dal vivo per discutere insieme. Gli ospiti hanno accettato la sfida lanciata dai membri del Comitato Scientifico – Simona Argentieri, Daniela Federici, Elisabetta Marchiori, Antonio Scaglia, Alberto Schön, Manuela Trinci e Geni Valle – di cimentarsi nel mettere in relazione le diverse accezioni di questi due termini e lo hanno fatto con grande sensibilità e competenza, non solo attraverso le parole, ma anche attraverso la musica e le immagini filmiche. Hanno saputo valorizzare il concetto di “rispetto” nel suo implicare il riconoscimento dei diritti, della dignità, della libertà e dei sentimenti dell’altro attraverso quel pathos della distanza che ne consente il riconoscimento come Soggetto in relazione reciproca. Sono riusciti ad intrecciarlo con quello di “risonanza”, preso in prestito dalla fisica, inteso metaforicamente come comunicazione dell’informazione emotiva tra esseri umani e tra questi ultimi e la natura, oggi esposta a molteplici interferenze determinate dall’uomo, ma anche concretamente come “risonanza” degli strumenti musicali.

Il Convegno si è aperto il venerdì pomeriggio con la presentazione del libro di Daniele Schön Quattro. Stagioni, voci, quarti, mani (Il Mulino, 2023), “un tuffo in mondi molteplici musicali, psicologici e sociali”, condotta da Geni Valle e da Alberto Schön (padre a ragione molto fiero del figlio!). L’autore, come co-direttore di Ricerca CNRS all’Istituto di Neuroscienze dei Sistemi di Marsiglia, studia i legami tra musica, linguaggio e dinamiche cerebrali e, come violoncellista, la musica la suona. Nel suo discorso ha raccontato la genesi e il contenuto dei quattro capitoli di questo libro di eccezionale fruibilità, soffermandosi sull’importanza, non solo nell’atto musicale, ma anche in quello della comunicazione verbale, dell’accordarsi e dell’allinearsi, del poter quindi dissentire, ovvero essere in disaccordo senza opporsi. Diventa così possibile “fare umanità insieme”, e lo ha voluto dimostrare: è riuscito a far cantare il pubblico, creando un coro a quattro voci sulle note della prima strofa del canto-preghiera di ispirazione popolare “Signore delle Cime”.

La sera, con animo già preparato a sintonizzarsi su frequenze musicali oltre che umane, nella sala gremita del Cinema Teatro Dolomiti, i congressisti hanno potuto assistere ad un evento eccezionale, presentato con comprensibile orgoglio dalla Vice Sindaca Adriana Fellin: il violino solista Matteo Marzaro con Gli Archi Italiani (Mattia Tonon violino, Matteo Zanatto violino, Michele Sguotti viola, Giovanni Costantini violoncello, Michele Gallo contrabbasso, Marco Vincenzi clavicembalo) hanno eseguito Quattro Stagioni, quattro anime. I concerti per violino di Vivaldi eseguiti con gli strumenti di ANIMA.

Il violocellista e Direttore d’Orchestra Giovanni Costantini, tra l’esecuzione di una Stagione e l’altra, ha illustrato il Progetto Anima di cui è tra i fautori: si tratta della realizzazione di quattro strumenti (due violini, una viola e un violoncello) con tavole armoniche e anima fatte con il legno dell’abete bianco dell’Avez del Prinzep, il più alto e longevo d’Europa, che cresceva sull’Altipiano e si è schiantato nel 2017 a circa 250 anni di vita e 52 metri di altezza. Questi strumenti unici, dall’inconsueto colore bianco, opera del liutaio Gianmaria Stelzer, hanno suonato insieme in questa occasione per la prima volta. L’idea è quella di restituire sotto forma di suono “l’anima” dell’albero negli anni che verranno, “affinché quello schianto non segni la fine, ma un nuovo inizio”.

Dopo i saluti delle Autorità portati dalla Vice Sindaca Adriana Fellin, la sessione del sabato mattina, moderata da Geni Valle, è stata aperta dallo stesso Costantini, che ha ripreso il filo dei discorsi aperti durante il concerto nella sua relazioneIl rispetto per l’ecosistema e la risonanza dell’Avez del Prinzep”. Oratore estremamente efficace, capace di trasmettere l’amore per la musica, la voce, il canto, nel suo intervento ha sottolineato l’importanza di rendere desiderabile la conversione ecologica con messaggi capaci di stimolare il senso della bellezza e della creatività. Ha ricordato come in questo progetto siano stati fondamentali i fondi raccolti dalla vendita di oggettistica e dalle donazioni di tante persone, a dimostrazione che c’è sensibilità e desiderio di partecipazione verso questo tipo di iniziative.

È seguita la relazione “Le dinamiche del rispetto nella giustizia dell’incontro” di Adolfo Ceretti, Professore Ordinario di Criminologia, segretario del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, collaboratore della Giurisdizione speciale per la pace istituita in Colombia. È autore di diversi testi fra cui il fondamentale Il libro dell’incontro (il Saggiatore, 2015) curato con Claudia Mazzucato e Guido Bertagna, che descrive il lungo lavoro di mediazione tra le vittime e i responsabili della lotta armata in Italia tra gli anni ’70 e ’80. Figura di riferimento nella formazione alla giustizia riparativa in Italia, nel suo intervento ne ha spiegato i fondamenti e il compito di cura dei conflitti distruttivi e delle vite offese da crimini violenti, attentati o guerre. È stato un toccante racconto di cosa significhi fare incontrare vittime e responsabili che spontaneamente scelgono di confrontarsi in presenza dei mediatori, equidistanti e non giudicanti, che accolgono e sostengono entrambe le parti nella gestione dei propri sentimenti distruttivi. Dalla mendicità delle vittime, che hanno perso il ‘prima’ di una fiducia nell’umano e la speranza di ottenere ciò di cui avevano bisogno, ai soliloqui dei responsabili, ha esplorato come si inscriva nella propria storia ciò che si subisce o si commette. Ha inoltre evidenziato l’importanza del riconoscersi reciproco e dell’essere ascoltati per contrastare l’oggettificazione implicata nella violenza, il fondamento della responsabilità verso qualcuno oltre che per qualcosa, la possibilità di reagire al male senza crearne altro. La giustizia riparativa, fuori da ogni intento giuridico o sanzionatorio, è alla ricerca di una verità dell’incontro, di riportare il “suono del senso” (Frost) nell’indicibile, laddove l’unica forma di giustizia che rimane è quella del racconto, per costruire il percorso da un’etica del danno a un’etica della riparazione. 

“Nello specchio dello straniero. A proposito di rispetto, risonanza, riconoscimenti possibili e impossibili”è il titolo della successiva relazione di Virginia De Micco, psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e dell’International Psychoanalytical Association (IPA), con una formazione medico-psichiatrica ed antropologica. Si occupa da più di vent’anni delle dinamiche psicoculturali e della clinica legate alle migrazioni ed è Coordinatrice Nazionale del Gruppo PER (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati) della SPI, membro dell’IPA Committee on Humanitarian e del Forum della European Psychoanalytical Federation Psychoanalysis, Migration and Cultural Identities. I suoi numerosi scritti sono ora raccolti nel volume L’inquietante intimità. Legami e fratture nei transiti migratori (2024, Alpes). Citando in incipit un verso di una poesia della poetessa polacca Wislawa Szymborska — “solo ciò che ci è straniero può svelarci la realtà dell’umano” — il suo discorso, di grande intensità e a tratti commovente, ha mostrato come il modo in cui costruiamo ciò che ci è straniero riveli i meccanismi più profondi e spesso irriconoscibili del modo in cui costruiamo il “noi”, ciò in cui possiamo identificarci e riconoscerci. I migranti, gli stranieri per eccellenza della nostra contemporaneità, funzionano come un vero e proprio specchio rovesciato, oscillando tra la percezione di un’alterità insondabile e quella di un doppio deformato, in cui vengono proiettate le nostre stesse parti più disumane, sia quelle inermi e bisognose sia quelle feroci e sanguinarie. Il lavoro psicoanalitico può consentire di ritrovare quella giusta distanza che permette contemporaneamente di re-spectare — di saper cioè anche distogliere lo sguardo — il dolore e la diversità dell’altro senza perdere la capacità di risonanza con quelle parti mute e sommerse che rappresentano aree profonde del nostro Sé, spesso denegate e misconosciute. Mostrando due sole fotografie e citando “Lo straniero” di Camus, De Micco è riuscita a far comprendere come l’umano e il disumano siano le due facce della stessa medaglia che tendono a scindersi, provocando violente reazioni di rigetto nel tentativo di eliminare qualcosa di intollerabile dentro di noi. È necessario quindi un incessante, duro lavoro di continua riumanizzazione, che non si può mai dare per scontata.

La sessione del pomeriggio, moderata da Manuela Trinci, si è aperta con la relazione “Conforme alla legge e autogoverno: due forme di rispetto”, in cui il giornalista e sociologo Alberto Faustini, già direttore del quotidiano Alto Adige e direttore editoriale del quotidiano Adige, voce storica di Prima pagina, popolare rassegna stampa di Rairadiotre, e commentatore di Raistoria, legandosi agli interventi della mattinata, ha riprenso il tema del conflitto etnico proprio della Regione Alto Adige. Dalla difesa dell’identità tirolese di Andreas Hofer contro i bavaresi, fino all’italianizzazione del 1919, che comportò la cancellazione del Tirolo e di tutti i toponimi tedeschi, ha spiegato come la difesa della propria cultura durante il periodo fascista si spostò clandestinamente nelle cantine (le katacombenchulen), dove i bambini trovavano maestre che insegnavano in tedesco dopo aver frequentato la scuola italiana. Dal 1939, quando Mussolini, in accordo con Hitler, offrì ai tedeschi altoatesini l’opzione fra restare o tornare nel Reich, fino alla “guerra dei tralicci” del ’61 (che fu terrorismo per gli uni ed eroica rivendicazione del territorio per gli altri), Faustini ha tratteggiato il conflitto silenzioso che ancora cova sotto la rappresentazione bucolica di questa terra. Ha descritto il modello altoatesino di una proporzionale etnica, mostrando con sapienza ció che la Storia ha insegnato sull’identità e l’importanza della possibilità, per le nuove generazioni, di crescere conoscendo le tre lingue del territorio (tedesco, italiano, ladino) e la comprensione della cultura dell’altro. 

È seguito l’intervento “Sull’’esperimento silenzioso’ di Jung. Il Club Psicologico di Zurigo” di Giuseppe Zanda, psicoterapeuta analitico, che ha lavorato per anni nei servizi psichiatrici ospedalieri e territoriali di Varese, Vicenza e Lucca, dove ha diretto il servizio per le dipendenze patologiche, autore di Luci e ombre. Protagonisti (noti e meno noti) della psicoanalisi (Ed. ETS) e Lontano da Vienna (Boston, Londra, Berlino, Edimburgo). Un viaggio nella psicoanalisi e nei suoi contesti (Ed. ETS). Ha raccontato un capitolo poco conosciuto delle prime fasi della storia della psicologia analitica, quello del Club Psicologico di Zurigo. Esso fu fondato nel 1916 grazie al finanziamento della figlia di Rockfeller che, con la famiglia, si era trasferita in Svizzera per fare un’analisi con Jung. Il prestigioso edificio fu destinato a ospitare, oltre alle attività formative e ricreative dei Soci, i pazienti stranieri venuti per le analisi personali o per l’interesse verso la psicologia analitica, offrendo uno spazio di socializzazione che permetteva di conoscersi al di fuori del setting delle sedute. Jung, che si è sempre dichiarato contrario all’analisi di gruppo, lo ha considerato un “esperimento silenzioso” sull’analisi della funzione collettiva e dello studio delle dinamiche inconsce all’interno dei gruppi: il bisogno di adattamento, i conflitti, la responsabilità sociale, i tipi psicologici. Il Club ha costituito un particolare osservatorio per l’esplorazione della psicologia del rapporto tra individui e collettività.

Sabato sera, dopo aver risuonato con la musica, il Cinema Teatro Dolomiti ha risuonato con le immagini, la parola poetica, i suoni e rumori della natura con la proiezione del film Logos Zanzotto (Italia, 2021) del regista Denis Brotto, presente in sala per discutere con il pubblico. Brotto, come Schön, è un esempio raro di come si possa conciliare l’anima artistica con quella accademica, essendo sia docente presso l’Università degli Studi di Padova di Cinema e cultura visuale e Presidente del corso di Laurea Magistrale in Strategie di comunicazione sia film-maker. Ha realizzato documentari e video installazioni, tra cui Esedra (2015), presente al Museo della Padova ebraica, In Bloom (2020), trasmesso da Rai5 e La forma della memoria (2022), una video installazione dedicata agli 800 anni dell’Università di Padova. Logos Zanzotto (Italia, 2021) è il suo ultimo lavoro, uscito in occasione del centenario della nascita del poeta veneto Andrea Zanzotto (1921-2011), presentato alla 78esima Mostra internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia come evento speciale delle Giornate degli Autori/Edipo Re; è stato proiettato in diverse occasioni in Italia ma anche in Europa, come a Parigi e a Bruxelles[1].

Brotto, con questo film, è riuscito a trovare immagini in grado di dare corpo alla “parola” (λόγος) del Poeta così come si articola nella paradossalmente semplice complessità dei suoi versi, del suo discorso, del suo pensiero, che si rivolge alla natura e al paesaggio. Natura e paesaggio che sono Soggetti, interlocutori necessari, con cui Zanzotto entra in relazione con continua meraviglia e rispetto, in completa sintonia con essi. Brotto ha spiegato la genesi del progetto e come si è avvicinato alla poesia di Zanzotto, al fascino che su di lui ha avuto quando, giovanissimo, ha incontrato Filò (1976), composizioni in dialetto composte per il film di Fellini Il Casanova (1976). Durante la discussione è stato possibile riprendere, o meglio far “risuonare”, diversi temi trattati durante la giornata evocati dalla visione del film. Il pubblico è rimasto affascinato e incuriosito da questo Poeta “ecologista”, che ha partecipato alla Resistenza disarmato, mostrando come sia necessario re-spectare, mantenere la “giusta distanza” — come ha detto Virginia De Micco — isolarsi per vedere meglio — stare nelle “catacombe” citate da Faustini — per sopravvivere a quel “progresso scorsoio” che rischia di travolgere l’umanità in un tempo in cui “tutto viene addosso”.

La sessione della domenica mattina, presentata e coordinata da Daniela Federici, è iniziata con l’intervento “Natura come un mondo di vite” di Andrea Staid, docente di Antropologia culturale e visuale presso la Naba e di Antropologia culturale presso l’Università degli studi di Genova, autore di numerose pubblicazioni di cui le due più recenti La casa vivente (ADD 2021) e Essere natura (UTET 2022). Con un discorso estremamente limpido ed efficace ha spiegato come le origini dell’attuale crisi ambientale affondino nel colonialismo che non solo ha sterminato intere popolazioni, ma ha anche indotto le persone a cambiare il proprio modo di rapportarsi con l’ecosistema: la natura da Soggetto con cui relazionarsi in varie forme si è trasformata in oggetto di sfruttamento e di dominio. Il periodo geologico in cui viviamo, noto come Antropocene, definisce il sostanziale impatto umano distruttivo sugli ecosistemi e sulla geologia della Terra. Staid ha proposto di introdurre una nuova possibile via, il Simbiocene — termine coniato dal filosofo e ambientalista australiano Glenn Albrecht — che presenta una visione del futuro caratterizzata da una relazione di collaborazione tra gli esseri umani e il mondo naturale che ci ospita, riconoscendo l’interdipendenza e sforzandosi di rigenerare l’ambiente naturale per creare un mondo più armonioso e sostenibile. Per salvarci dal “disastro” è necessario relativizzare il nostro sguardo antropocentrico e pensare alla natura come a “un’opera d’arte vivente”, un bene comune da condividere con gli altri animali e con le piante. L’ecoansia, la profonda sensazione di disagio e di paura che si prova al pensiero ricorrente di possibili disastri legati al riscaldamento globale e ai suoi effetti ambientali, affligge soprattutto le giovani generazioni inascoltate e, come ha detto Greta Thunberg, derubate del futuro. Lo ha sottolineato Staid, ricordando un suo giovane studente che, alla fine di una sua lezione, ha detto: “Tanto il mondo è finito!”. A questo lui è deciso a rispondere creando “laboratori di utopia”, dove sia possibile immaginare un futuro partendo da se stessi ed educando all’ecologia.

L’ultima relazione “E se Enea è una donna” è stata presentata dalla psicoanalista Jona Kozdine, membro ordinario dell’IPA e dell’Associazione Italiana di Psicoanalisi (AIPsi), di cui è tesoriera e per cui coordina anche il corso annuale in clinica psicoanalitica, psicoterapeuta per l’adolescenza ARPAD. Kozdine ha raccontato la delicata presa in carico di un’adolescente albanese giunta in Italia attraverso la rotta dei Balcani e ospitata in una struttura protetta che, non conoscendo l’italiano, ha reso difficile agli operatori il percorso di inserimento. La lingua madre condivisa e le comuni origini con la terapeuta hanno aperto alla giovane paziente la possibilità di dare voce ai propri vissuti, ma quel che è stato evidenziato in particolare è anche come questa condizione sia stata necessaria, ma non sufficiente, nel lavoro insieme. È occorsa la capacità di risuonare con una giusta vicinanza-distanza a questo sfondo comune — “guardare il fiore senza afferrarlo”, come recita un detto albanese — in un misurato rispetto per l’intreccio di identificazioni e disidentificazioni dal suo spazio psichico, mentre si monitorava nel controtransfert le risonanze con la propria storia. Kozdine ha mostrato la tessitura dell’avvicinamento che ha permesso alla giovane paziente  una lenta ricomposizione nella propria identità, l’uso delle lingue implicate nel loro scambio e l’approdo al passaggio doloroso, ma strutturante, da clandestina a straniera.

In conclusione si è fatto spazio alla Cerimonia per l’attribuzione del Premio Gradiva-Lavarone 2024, presenziata da Adriana Fellin e dalla Presidente della Giuria Daniela Federici, che la Giuria ha assegnato al libro “La riparazione dentro e fuori la stanza d’analisi”, curato dagli psicoanalisti Maria Adelaide Lupinacci, Nicolino Rossi e Irene Ruggiero per le Edizioni Astrolabio, con la seguente motivazione: “Un libro che dà valore e rilievo a un importante concetto di Melanie Klein entrato a far parte del patrimonio universale della psicoanalisi; concetto che qui viene riaffermato nella sua rilevanza basilare nel processo di sviluppo normale e patologico e nella dimensione clinica. Grazie ai saggi di apertura degli Autori ed ai contributi di altri psicoanalisti che sono stati invitati ad esplorare gli aspetti teorici, terapeutici e sociali della riparazione, l’opera si apre così a più vasto raggio all’attiva speranza di poter promuovere i processi riparativi delle forze libidiche contro la distruttività umana”. Nicolino Rossi, ordinario SPI e IPA con funzioni di training e attuale vicepresidente della SPI ha ritirato il Premio, raccontando il lavoro di raccolta dei contributi, a partire da un congresso sul tema che si tenne a Bologna, che ha comportato un creativo lavoro di gruppo. Ha sottolineato come l’attualità dell’opera sia stata valorizzata dalla presenza, più o meno esplicita, del concetto di riparazione in pressoché tutte le relazioni ascoltate durante questo Convegno, e come tale concetto sia risultato correlato a quelli di rispetto e di risonanza.

Per “Il piacere di leggere”, il lunedì mattina, Manuela Trinci e Morena Bertoldi hanno incontrato con il pubblico Vinicio Ongini, autore di saggi e libri per bambini ed esperto per il Ministero della Pubblica Istruzione sui temi dell’integrazione degli alunni stranieri e dell’educazione interculturale. Nel suo intervento i temi del rispetto e della risonanza hanno trovato numerosissime connessioni anche nella letteratura per ragazzi. Ongini ha parlato di nativi multiculturali, di personaggi e di sentimenti ponte, di pregiudizio e di identità, incantando il pubblico con il racconto di fiabe provenienti da varie parti del mondo (e di copricapi e scarpe di varie fogge che vi ricorrono), mostrando punti di vista diversi e osservando come ricorrano più le similitudini che le differenze, perché appunto, “gli altri” siamo noi!

Vi invitiamo a consultare e seguire la nostra pagina facebook@lefrontieredellapsicoanalisi, dove si possono trovare notizie e foto di questa e delle scorse edizioni, aspettando la prossima edizione del Convegno di Lavarone.


[1] Recensione del film https://www.centrovenetodipsicoanalisi.it/logos-zanzotto/ e

Intervista a Denis Brotto https://www.centrovenetodipsicoanalisi.it/inter/ a cura di Elisabetta Marchiori

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