Convegno LE FRONTIERE DELLA PSICOANALISI: INTERMEZZO ON-LINE
Lavarone 27 giugno 2021
Report a cura di Daniela Federici e Elisabetta Marchiori
L’edizione 2021 dello storico Convegno di Lavarone, organizzato dal Centro Studi Gradiva, si è svolta domenica 21 giugno on-line, “a distanza”, pensata dai membri del Comitato Scientifico Simona Argentieri, Daniela Federici, Elisabetta Marchiori, Alberto Schön, Manuela Trinci e Geni Valle per mantenere una presenza vitale, seppur virtuale, con il pubblico che segue da anni questo evento, in attesa di incontrarsi di nuovo di persona tra le montagne di Lavarone.
Dopo i saluti delle autorità e del presidente del Centro Studi Gradiva Antonio Scaglia, Alberto Schön ha aperto i lavori della mattinata, moderata da Manuela Trinci e Geni Valle. Schön ha ricordato che il termine “Intermezzo” rimanda all’intervallo tra un prima e un dopo, alla pausa tra un atto e l’altro, al passaggio fra due testi, e anche il piatto di mezzo tra due portate. È una parola che connette e separa, come molti dispositivi che usiamo oggi per comunicare; ha a che fare anche con l’interpretazione, il mediare tra due parti ed è quello che facciamo nel nostro lavoro di psicoanalisti. Stiamo in mezzo tra passato e presente, tra mondo esterno e interno e lavoriamo tra parti interne del paziente e nostre.
Il primo ospite è stato Vittorio Lingiardi, psichiatra e psicoanalista, ordinario di Psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma e Presidente dell’Italian Chapter della Society for Psychotherapy Research (SPR-IAG), che ha al suo attivo molte pubblicazioni e collabora con quotidiani e settimanali.
Con la sua relazione “Il paesaggio è dentro di noi”, ha articolato l’intreccio fra landscapes e mindscapes, fra le forze psichiche del paesaggio e gli stati della mente, a partire da un tempo di lockdown che ci ha molto riportati sui paesaggi interiori. Attraverso una riflessione per immagini, che costruisce un percorso fra arte, poesia, storia, cultura, dagli studi di neuro-estetica alle letture psicoanalitiche, ha mostrato la nostra psiche come una geografia, con le sue archeologie e stratificazioni, i luoghi della memoria e gli oggetti evocativi come strutture e funzioni psichiche. Come l’incontro del neonato con il paesaggio del volto della madre, rapinoso ed enigmatico, il suo impatto estetico e il gemmarsi dell’evento psichico e affettivo dalle cui sorti dipenderà in buona misura il nostro modo di rapportarci al mondo.
Un viaggio suggestivo nella dialettica fra luoghi reali e immaginari, nei continui rimandi fra dentro e fuori e gli spazi liminari di soglia, il sottosuolo dell’inconscio e l’officina onirica, la scoperta e l’invenzione, gli aspetti contemplativi e la qualità immersiva dell’esperienza, fino ai processi della costruzione del senso. Il paesaggio come cultura e come cura, dalla sua dimensione poetica a quella politica, l’incontro con ogni nuovo paziente come viaggio dentro un nuovo paesaggio da conoscere. La necessità, per ognuno di noi, dei molti luoghi dentro di sé per poter essere se stessi, come scrive Pontalis, del rifornimento emotivo che ne attingiamo, dell’importanza di coltivare il proprio giardino, perché un analista, come un buon giardiniere dev’essere guardiano dell’imprevedibile e del delicato territorio mentale della speranza, custodendo con impegno varietà e pazienza.
È quindi intervenuto Telmo Pievani, filosofo della biologia ed esperto di teoria dell’evoluzione, Ordinario presso il Dipartimento di Biologia dell’Università degli studi di Padova, dove ricopre la prima cattedra italiana di Filosofia delle Scienze Biologiche e titolare degli insegnamenti di Bioetica e di Divulgazione naturalistica, autore di numerose pubblicazioni.
Con la sua relazione “L’impronta dell’inutilità. Breve storia dell’imperfezione”, Pievani ha ripreso il Darwin di “L’origine delle specie” che guarda alla natura come pura impronta di inutilità e richiama al bisogno di guardare le strutture imperfette per comprendere l’evoluzione, perché lì sta la promessa di evolvibilità. I processi selettivi conducono a un perfezionamento funzionale che può partire solo dall’esistente, in un continuo compromesso fra funzioni con cui ci adattiamo e strutture che si portano dietro i propri vincoli costitutivi, ed è nella ridondanza che la selezione converte le strutture da una funzione a un’altra. Il gioco evolutivo è un adattamento che si da come compromesso fra pressioni evolutive diverse e spesso antagoniste, un bricolage di riusi opportunistici che nella sua imperfezione custodisce le potenzialità capaci di creare innovazione.
Darwin, influenzato dal pensiero di Hume, sottolinea anche come la natura non sia un agente intenzionale, che in essa non vadano cercati il bene, il male o giudizi morali, si tratta solo di un insieme di meccanismi e leggi che esplorano compromessi nel possibile, così il presente che viviamo non è predestinato come le nostre propensioni teleologiche ci fanno pensare, ma solo uno dei tanti scenari alternativi possibili. La pandemia ha riportato in auge questo vecchio vizio attraverso l’idea del virus come castigo della natura, invece di considerare che siamo noi stessi parte del sistema natura e casomai stiamo pagando le conseguenze di certi comportamenti irresponsabili. Tracciare l’elogio dell’imperfezione non è esaltarla, le imperfezioni implicano disagio e sofferenza, ma significa immunizzarsi dalle sirene di un’illusione di perfezione che ci fa scadere in una visione gerarchica dove le differenze sono considerate scarti dall’ideale piuttosto che riconosciute come motore e combustibile del cambiamento. Il tema centrale è piuttosto quello della responsabilità della nostra specie imperfetta, che ha nelle sue radicali diversità individuali la sua forza e che abita il sempre più visibile paradosso di poteri crescenti a fronte di limiti persistenti.
C’è stato spazio per il commenti e domande da parte di diversi partecipanti – eravamo quasi duecento “connessi” – che hanno mostrato vivo interesse per i temi trattati.
Dopo le conclusioni di Daniela Federici, si è svolta la premiazione dei vincitori del Premio Gradiva 2020 e 2021, che sono tutti intervenuti con parole di ringraziamento, apprezzando in particolare l’interdisciplinarietà che ha da sempre caratterizzato il Convegno. Infatti il Premio riconosce l’opera di autori che abbiano approfondito i rapporti tra la psicoanalisi e vari ambiti del sapere e dell’arte. La Giuria, composta dai membri del Comitato Scientifico, lo ha attribuito per l’Edizione 2020 a Nadia Fina e Gabriella Mariotti per “Il disagio dell’inciviltà. La psicoanalisi di fronte ai nuovi scenari sociali” (Mimesis) e ha conferito una menzione speciale a Stefano Bolognini per “Flussi vitali fra Sé e non-Sé. L’interpsichico” (Cortina); per l’Edizione 2021 ha vinto Giuseppe Civitarese con “L’ora della nascita – Psicoanalisi del sublime e arte contemporanea” (Jacabook), mentre la menzione speciale è andata a Claudio Widmann con “La Divina Commedia come percorso di vita” (Magi).
Nel pomeriggio è stato presentato il libro “Federico Fellini: la vita è sogno, il sogno è vita” (Pendragon, 2020). Simona Argentieri ne ha discusso con i curatori Angelo Battistini, Cinzia Carnevali, Gabriella Vandi e con Simona Lucantoni, che ha preparato per l’occasione due brevi video, affermando che “la creatività di Fellini è contagiosa”.
La vivace conversazione che si è svolta a partire dai lavori raccolti nel libro, scritti da psicoanalisti freudiani (Simona Argentieri, Angelo Battistini, Cinzia Carnevali, Glauco Carloni, Massimo De Mari, Antonino Ferro, Alberto Spadoni, Gabriella Vandi, Gino Zucchini) e junghiani (Lella Ravasi Bellocchio, Christian Gaillard), ha evidenziato un approccio all’opera del grande Maestro del Cinema caratterizzato da curiosità e rispetto. Astenendosi da “ipotesi imprigionanti e vischiose” o da interpretazioni inevitabilmente riduttive, che Fellini dichiaratamente aborriva, hanno esplorato con creatività il fantasmagorico universo felliniano, dove si manifesta la potenza dell’inconscio e dove, nel contempo, si rispecchia il mondo. Ciascuno dei curatori ha approfondito aspetti diversi dei “topoi” fondamentali dell’opera di Fellini, tra cui il rapporto con le origini, con l’universo femminile, con la cura psicoanalitica, con la creatività e l’immaginazione, fino a quello con la magia e la spiritualità.
La giornata si è conclusa con “Cinema e tempo: tra elaborazione e percezione”, un incontro, condotto da Elisabetta Marchiori, con Denis Brotto, docente presso l’Università degli Studi di Padova di “Cinema e nuove tecnologie” e Presidente del corso di Laurea Magistrale in “Strategie di comunicazione”. Autore di numerose pubblicazioni è anche film-maker, ha realizzato documentari e video installazioni, tra cui Esedra (2015), presente al Museo della Padova ebraica, In Bloom (2020), trasmesso da Rai5. Attualmente sta lavorando su un documentario dedicato ad Andrea Zanzotto.
Brotto ha approfondito il tema proposto attraverso l’opera di Agnès Vardà, una grandissima artista scomparsa nel 2019 all’età di novant’anni, il cui percorso creativo si snoda attraverso tre parole chiave “ispirazione, creazione e condivisione”. Il Cinema si lega al tempo in molte modalità, come il tempo della narrazione e del ritmo di montaggio, ma anche come revisione del passato. Negli ultimi decenni autori anche di grande valore hanno raccontato storie partendo dall’osservazione della propria vita con l’intento di riarrangiare, risemantizzare il loro vissuto, evocando intense suggestioni psicoanalitiche. Per Vardà, la contemplazione del presente la porta spesso a rievocare il passato o a volgere lo sguardo all’incertezza del futuro attraverso l’associazione di immagini legate alla propria storia e alla propria opera, lavorando sulla memoria e sulla ricostruzione. Spesso Vardà fa riferimento all’immagine del granchio che cammina all’indietro e così in Les plages d’Agnès (2008), il suo film più auto-ritrattistico, rievoca vita e creazione come percorsi mescolati, ritraendosi appunto davanti alla camera, ma sempre guardando di fronte a sé, verso il futuro. Dopo avere introdotto l’opera della Vardà, Brotto ha approfondito alcuni temi attraverso la visone di tre frammenti tratti dal film “Vardà par Agnès” (2019), evidenziando come elementi fondamentali del suo cinema siano presenti anche nella psicoanalisi: la libera associazione, lo spirito ludico e la rêverie, il rapporto tra se stessa e l’altro, la narrazione, da lei chiamata cinescriture.
Sono emersi anche diversi collegamenti con le relazioni della mattinata: i paesaggi interni, l’imperfezione, la possibilità di donare nuova vita a cose inutilizzabili, di trasformarle attraverso la creazione e l’immaginazione.
Il pubblico ha potuto cogliere come la cifra primaria di questa artista sia la libertà, la propria e quella dello spettatore: con il suo stile infatti riesce a suscitare in ciascuno spettatore emozioni diverse, gli consente di “inventare le proprie risposte”, come ha affermato lei stessa, di sperimentare che condividere con gli altri la propria storia può significare darle nuova vita.
Luglio 2021