Exploring the Self – Report dal convegno di Roma organizzato da IPD (International Psychoanalitic Dialogues) e NPSA (International Neuropsychoanalysis Society),
9-10 febbraio 2019
Report di Rocco de Filippis
Si è svolta in febbraio la quarta edizione del convegno annuale organizzato da IPD (International Psychoanalitic Dialogues) e NPSA (International Neuropsychoanalysis Society), quest’anno dedicata alla “Esplorazione del Sé”, che ha richiamato un ingente numero di partecipanti grazie all’alto profilo scientifico e intellettuale dei relatori. Tre i nomi di spicco: Vilayanur Ramachandran (Università di S. Diego, USA), neuroscienziato famoso per le sue ricerche sul dolore dell’arto fantasma e il suo trattamento, i neuroni specchio nella riabilitazione neuropsicologica dell’autismo e la costruzione percettiva del Sé. Georg Northoff (Università di Ottawa, Canada), conosciuto per i suoi studi sulla percezione dello spazio e del tempo relativi al senso del Sé, che ha portato allo sviluppo di un nuovo concetto di psicopatologia neuropsicodinamica e ad alcune importanti teorie sulle basi psico-neurali del Sé indagate attraverso gli studi di neuroimaging. Mario Rossi Monti (Università di Urbino, Italia), psicoanalista SPI/IPA che, seguendo un approccio psicoanalitico e fenomenologico, ha trattato i temi del Sé connessi alle trasformazioni culturali della postmodernità.
Secondo consuetudine, l’apertura del convegno è stata fatta da Rosa Spagnolo, presidente e fondatore di Psychoanalytic International Dialogues, che ha proposto una riflessione sul Sé sottolineandone la grande complessità e la molteplicità di variabili da cui ne dipende la stabilità. Facendo riferimento all’attuale tema dei migranti e a diversi autori scientifici, tra cui Northoff (2015) e Ramachandran (2011), Spagnolo giunge alla conclusione che “l’esplorazione del Sé debba considerare sia il contenuto che si trasforma, sia la modalità con cui il contenuto giunge a noi trasformandoci”; che sia necessaria un’ enorme attenzione alle sue trasformazioni individuali e culturali, per dare “continuità e stabilità ad un Sé dai confini sempre più deboli”, per evitare di scambiare “Brandelli del Sé” per l’insieme.
Vilayanur Ramachandran, fisicamente assente, ha inviato per l’occasione un intervento via web, nel quale pur definendo la psicoanalisi come la terza rivoluzione scientifica dopo quelle copernicana e darwiniana, ha dichiaratamente manifestato i suoi vissuti di ambivalenza nei confronti di Sigmund Freud, che considera reo di interpretazioni fantasiose (complesso di Edipo, rimozione, angoscia di castrazione, mancato riconoscimento) riguardo a una serie di manifestazioni psicopatologiche. Ha quindi preso in considerazione tre o quattro casi clinici che Freud, a suo dire, avrebbe interpretato attraverso le teorie suddette. Ramachandran ha inteso dimostrare come tutto in realtà possa trovare spiegazione in alcuni specifici danni anatomo-fisiologici. Ipotesi affascinanti, sebbene tuttora in attesa di convalida, le ipotesi correlate ai disturbi del giro fusiforme e del lobulo supero-parietale, dell’amigdala e dei vari “omuncoli” presenti nel cervello. L’interessante discussione avviatasi tra il pubblico alla fine del video ha rimarcato una certa pretestuosità dei casi scelti, l’ingenerosità verso teorie formulate un secolo prima in assenza di adeguati mezzi neuroscientifici e l’ignoranza dei progressi compiuti dalla psicoanalisi dei decenni successivi fino ad oggi. L’assenza dello studioso non ha permesso l’approfondimento di quello che sarebbe stato un entusiasmante dibattito sul rapporto tra connettività sinaptica, funzionale e anatomica e psicoanalisi.
Mario Rossi Monti ha regalato al pubblico un interessante excursus psico-antropologico sul concetto di Sé, per aiutare a osservarne la nascita e l’evoluzione, muovendosi attraverso autori quali Richard Sennet e il suo concetto di “flessibilità” (1999), Zygmunt Bauman e il concetto di “liquidità” (2000), René Kaes e il suo concetto di “mal-essere” (2012). Egli ha, inoltre, passato in rassegna i diversi punti di vista sul Sé presenti in letteratura, suddividendoli in cinque temi principali (decostruzione, flessibilità, accelerazione, insicurezza, transitorietà). Per ognuno di essi è stata evidenziata una tendenza all’uso di descrizioni che spesso tendono a “togliere”, nel descrivere la psicopatologia, rischiando di dare un “giudizio per difetto” a ciò che si osserva: un “fenomeno” che rappresenta una forma di adattamento, probabilmente diverso dal passato, quindi in evoluzione.
Ciò ha permesso di mettere in risalto la stretta relazione tra le diverse antropologie della post-modernità, le rappresentazioni del Sé, gli oggetti simbolo e quindi la clinica, lasciando aperto il campo a questioni aperte come il dramma borderline, la de-soggettivizzazione, la relazione causale, la visione moralistica, il difficile rapporto tra persone, definizione e rispondenza di ruolo sul piano clinico etc.
Infine, l’intervento di Georg Northoff, neuroscienziato noto per i suoi studi sulla percezione dello spazio e del tempo considerati come pre-condizioni al senso di Sé. Molto interessante la proposta di una concezione neuroscientifica della mente, attraverso gli studi di frequenza temporale di risposta in presenza di stimoli indotti. Ricerche che tentano di rispondere a domande quali: “Cosa rende possibile trasformare la connessione neurale in un processo mentale?”. Northoff ha evidenziato il rapporto spazio-tempo come base della consapevolezza del senso Sé. Detto in altri termini, le alterazioni cognitive presenti in un disturbo psichico implicante un danno del Sé, non sarebbero tanto legate al contenuto alterato, quanto all’anomala organizzazione spazio-temporale nel cui contesto il contenuto viene calato, e indicherebbero come l’alterazione del contenuto, in realtà, ne rappresenti il segno.
Northoff propone quindi una visione del Sé che non lo individua più come “contenuto”, bensì, rammentando Freud e il suo concetto di dinamiche mentali, ma soprattutto la psicoanalisi degli ultimi vent’anni (esempio paradigmatico di come rappresentare la soggettività), come una struttura “formale” complessa, confermata dalle tecnologie attuali come la neuroimaging e altri metodi di misurazione. Il rapporto fra la potenza dello stimolo e la frequenza temporale permetterebbe di delineare il gap tra normale e non-normale nella psicopatologia.
Interessante il paragone di Northoff con l’Ultima Cena di Leonardo da Vinci riguardo alla capacità del cervello di creare una tridimensionalità a livello delle dinamiche spazio-temporali, cosa che si evidenzia ad esempio nella struttura di personalità narcisistica: una minor risposta agli stimoli esterni sociali nell’insula di destra (a questo deputata) a favore di una percezione che si concentra verso il Sé “interno”. Egli ha inoltre ricordato come il trauma precoce nel bambino sia in grado di creare disordine e caos nell’attività di resting state, sottolineando quindi l’importanza dell’ambiente.
Compito della ricerca futura – secondo Northoff – sarà determinare quali strutture neurali realizzino l’interazione fra il Sé conscio (basato essenzialmente sulle Cortical Midline Structures) e il Sé inconscio, che almeno in parte coincide con il Sé incarnato fondato sulle regioni sensomotorie. In linea con le affermazioni dei filosofi che si occupano dell’intersoggettività, il Sé incarnato, attraverso il radicamento nel corpo, è collocato nell’ambiente e concepito come ab initio intrinsecamente sociale. In sintesi, un intervento davvero innovativo e ricco di osservazioni sperimentali che supera il concetto di diagnosi e sempre più si rivolge all’individuo nella sua specificità.
Il convegno ha poi dato ampio spazio all’ascolto di due casi clinici, commentati da diversi punti di vista, come quelli di M. Zellner (psicoanalista e presidente della fondazione NPSA), M. Fraire (psicoanalista, analista di training SPI), A. De Coro (presidente società Junghiana AIPA), M. Genta (psicoanalista, analista di training, Società Svizzera), B. Farina (psicoterapeuta, didatta CBT, SITCC), A. Bruni (psicoanalista, analista di training SPI) e C. Mucci (psicoterapeuta, SIPPNET), che hanno arricchito l’approfondimento attraverso la lente dei vari approcci.
Di particolare interesse è stata la riflessione clinica sul paziente con “blocco del sistema emozionale del seeking”, fatta da Margaret Zellner richiamandosi apertamente ai sistemi emozionali di Panksepp nel valutare e dare vita a un approccio aperto nell’incontro tra neuroscienze affettive e clinica, mostrando la possibilità di una proficua integrazione fra la tradizione psicoanalitica e questo tipo di approccio neuroscientifico. Altri interventi hanno messo in risalto la tipica forma di inquadramento kohutiano del paziente e altri ancora, come quello profondo e suggestivo di Alessandro Bruni sui sogni del paziente, si sono dispiegati dentro una cornice bioniana. In piena rispondenza con il suo modello neuroscientifico, lo stesso Northoff ha sviluppato una lettura in senso edipico del rapporto tra il tempo/spazio della madre e quello del padre del paziente.
Il convegno ha messo in luce i rapporti tra psicoanalisi e neuroscienze, allargando gli orizzonti, alla ricerca di una possibile riposta univoca, su un tema che evoca le grandi domande di sempre – Chi sono? Chi ero? Chi sarò? – a cui da secoli l’essere umano cerca di rispondere.