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8/10 giugno 2012 TRIESTE Neuropsicoanalisi 2012

25/06/12

 LA CURA ATTRAVERSO IL DIALOGO

“psicoanalisi e Scienze Mediche a confronto”

Il titolo lo preannuncia: cura e dialogo fra scienze mediche e psicoanalisi, non un Congresso per specialisti della “talking cure”, ma un dialogo fra tutte le discipline che hanno in cura il corpo e la mente dell’essere umano. Una sfida (challenge è stato un termine molto usato) a tenere insieme due versanti di una stessa entità, mente/cervello, laddove spesso sono visti (indagati e curati) separatamente. La sfida è stata ben accolta da quel gruppo di neuro scienziati che da anni indagano i fenomeni mentali partendo dal loro radicamento nel corpo e, tutti loro, hanno profuso con generosità riflessioni e commenti legati alle ultime ricerche scientifiche sui legami fra sogno, affetti, memorie, i circuiti che li sottendono, da un lato e la teorizzazione Freudiana dall’altro.

La terminologia, a volte squisitamente psicoanalitica a volta specificatamente neurologica, è stata passata in rassegna per “stressare” i concetti e farli lavorare all’interno della fenomenologia clinica. L’alternanza degli oratori, uno psicoanalista seguito o preceduto da un neuro scienziato, ha facilitato l’ascolto. Concetti in uso nel vocabolario psicoanalitico come Inconscio (nelle sue accezioni di non conscio e inconsapevole), Coscienza (come cosciente e consapevole), oppure Affetto (come emozione o sentimento), Memorie del trauma ed anche Attività Onirica (di tipo Rem e non Rem) si articolavano e si intersecavano con concetti legati alle strutture appetitive emozionali primarie mutuati sia dalla ricerca sugli animali, che dal comportamento (normale e patologico) degli esseri umani. Il rischio di sottovalutare la complessità della mente umana ricoducendola a pochi meccanismi di funzionamento subcorticale / corticale è stato percepito da entrambe le parti come una nuova forma di riduttivismo neurofisiologico dei processi mentali quando si passa dal lettino al laboratorio.

Le riflessioni oggetto di discussione meriterebbero di essere riportate integralmente vista la risonanza internazionale dei nomi presenti, fra i quali: J. Panksepp, Mark Solms, O. Turnbull, A. Lemma; non meno interessante è stata la tavola rotonda animata da un gruppo di giovanissimi ricercatori italiani (Alcaro, Pellizzoni, Colonello) i quali hanno proposto argomentazioni valide per creare un ponte fra neuropeptidi e relazione; quella che segue è una breve sintesi articolata su quegli argomenti che hanno maggiormente attratto l’ascolto dei presenti.

Mark Solms dà il via al Congresso partendo direttamente da S. Freud: possiamo sostenere la tesi che i sogni sono soddisfacimenti allucinatori del desiderio? Egli smonta tale assunto in tre parti: soddisfacimento, allucinatorio, desiderio, mostra i circuiti neuronali su cui viaggiano sia attraverso la loro riproduzione in laboratorio sia attraverso la clinica dei pazienti cerebrolesi. Così procedendo incontra Juvet, siamo negli anni 50: con l’uso dell’EEG arriva il sonno REM. Juvet sezionò il cervello separando il prosencefalo dai centri superiori e vide che l’attività onirica proseguiva come attività ciclica e ripetitiva, casuale. Poi incontra A. Hobson negli anni 70, il quale provò ad affossare definitivamente la teoria freudiana sul sogno sostenendo che l’attività onirica era solo frutto di meccanismi di attivazione /sintesi subcorticali del tutto casuali e privi di legami con il desiderio. Infine giunge a Popper, alla pseduscientificità di tutto ciò che non sia testabile e predicibile. Può questo postulato applicarsi alla psicoanalisi? Egli si era chiesto negli anni 90, quando attraverso un suo ricco lavoro su lesioni cerebrali in aree diverse, in pazienti affetti da diversi tipi di patologie, iniziò a studiare gli effetti di queste lesioni sul sonno e sul sogno e scoprì un dato interessante: per esserci perdita contemporanea di sogno e sonno REM è necessaria la contemporanea lesione dei nuclei pontini e delle cortecce visive, altrimenti vi è dissociazione delle due funzioni. Solms dà così una sua prima risposta agli autori citati: il sonno REM è ciò che accade fuori, che studiamo in laboratorio ed è riproducibile, il sogno è tutt’altra cosa, è ciò che accade dentro, alla sua produzione concorrono aree legate alle funzioni cognitive, visive, emozionali e allucinatorie, il tutto avviene sotto forma di narrazione a cui non partecipano le aree di controllo delle funzioni esecutive. Mentre, durante il sonno, tutte le altre aree sono attive, queste ultime sono costantemente inibite. Pazienti con lesioni frontali ( “ nella leucotomia prefrontale per combattere l’allucinosi c’è sia perdita dell’attività onirica che della motivazione: questo prova la correlazione fra attività onirica e allucinosi, i farmaci anti DOPA hanno lo stesso effetto, reversibile” ) perdono lo stato allucinatorio, ma perdono anche le strutture motivazionali. La motivazione, per Solms, è il positivo di un desiderio: se si perde il desiderio, si perde il sogno. I circuiti del seeking ( sistema di ricerca, di cui parlerà ampiamente J. Panksepp) sono in parte sovrapponibili a quelli del sogno con la sola differenza che il seeking è legato all’azione, alla muscolatura, mentre il sogno all’agito allucinatorio. In altre parole nel sogno vi è il soddisfacimento (la ricompensa) allucinatorio (inibizione dell’agito) del desiderio (lust, seeking). “L’equilibrio dinamico tra Io e Es nel sogno si inverte e così scopriamo aspetti della mente di solito nascosti. Nel sogno agiamo qualcosa di istinti e pulsioni. La liberazione di questi istinti minaccia il sonno e per non svegliarci sogniamo. Soddisfiamo per via allucinatoria questo desiderio. Noi camuffiamo la natura di questi desideri e così camuffati li soddisfiamo attraverso i sogni”.

Gli viene chiesto se considerando il sogno come uno stato psicotico, è vero che il paziente psicotico non riesce a sognare? “No – è la sua risposta – non riesce a raccontarlo non ha gli strumenti comunicativi per tornare ai processi secondari e ricordare e raccontare ”.

J. Panksepp riprende da qui il suo intervento esplicitando come la comprensione dei processi mentali passi attraverso il punto di vista evolutivo. Ciò che è più semplice, più immediatamente comprensibile è più primitivo sia nella scala evolutiva che nella gerarchia delle funzioni mentali. Tutti possediamo, animali compresi, le funzioni basali del sistema emozionale (7 in tutto) è la loro gerarchizzazione in strutture e funzioni superiori che ci rende evolutivamente differenti dagli altri animali. Egli parla a lungo (con un ricco corredo fotografico) di processi primari (stati affettivi grezzi), processi secondari (memorie e ricordi) e processi terziari (funzioni superiori). Tutti i processi iniziano come primari a livello istintivo, poi c’è il secondario con le emozioni e le memorie e infine il terziario a cui contribuisce il pensiero e lo sviluppo cognitivo sociale (l’utilizzo del linguaggio, la lettura e la scrittura). La formazione del Sé inizia come struttura subcorticale, inconscia, legata ai processi primari e secondari. È il “Subcortical core self” che guida i processi cognitivi attraverso un rinforzo costante: “casualità circolare attraverso il rafforzamento”, su questo punto ( e sui successivi) si differenzia da Damasio e lo cita : “ il controllo per Damasio va sul corticale io sul subcorticale: il sistema degli affetti non genera sentimenti è al servizio delle funzioni cognitive… il rinforzo è il modo in cui i processi affettivi controllano il cognitivo”. Affermazione non da poco verso un autore che ha appena scritto un ricco volume su questo argomento. E ancora, oltre Damasio: il meccanismo di controllo top down regola i processi cognitivi, mentre il meccanismo bottom up è necessario per l’apprendimento e lo sviluppo, il primo modula, il secondo differenzia. Riserva una sorpresa alla psicoanalisi presentando un lavoro sulla depressione/maniacalità che conclude con una nota negativa: possiamo modulare la ricerca del piacere del maniacale inibendo il seeking/desire con i farmaci, non possiamo in alcun modo restituire il piacere/desire al depresso perché non esiste un modo per riprodurlo con i farmaci, o almeno, in laboratorio non è stato possibile, possiamo solo tentare di ridurre la forza delle memorie negative attraverso il lavoro analitico.

Concludo con una nota di O. Turnbull sull’isomorfismo della rappresentazione del corpo nel cervello (il cosiddetto omuncolo cerebrale), sembra che gli omuncoli siano almeno tre, non necessariamente simili e situati in aree topografiche diverse. In essi è assente la rappresentazione degli organi, cuore compreso ed inoltre, aree non stimolate, quindi colonizzate da altre rappresentazioni percettive, continuano ad essere attive, ma non vi è più corrispondenza con la fonte, da qui sono sorte alcune importanti riflessioni su feticismo, negazione e dismorfofobie. Questo l’argomento di A. Lemma (il disturbo da dimorfismo corporeo) che, attraverso la presentazione clinica ha dato modo a tutti noi di rivedere il concetto di madre-specchio presentando il bambino attraverso lo sguardo paterno che guarda gli occhi della madre mentre guardano il bambino, così egli separa il corpo del bambino da quello della madre, in quanto nel rispecchiamento la distinzione non è mai netta e lo specchio potrebbe respingere o distorcere. L’identificazione con il proprio corpo ne verrebbe quindi alterata e il ricorso alla chirurgia estetica, per alcuni pazienti, è l’unica modalità per aggredire il corpo odiato che non potrà mai essere integrato nel Sé perché appartenente all’altro.

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