Autority, Boundaries and Creativity
Montegrotto Terme (Padova)
Nei giorni 26-29 marzo 2015 si è svolta a Montegrotto Terme, nei pressi di Padova, la Group Relation Conference ALI (Autorità, Leadership e Innovazione), organizzata annualmente, dal 1998, da Il NODO GROUP (www.ilnodogroup.it), in collaborazione con Tavistock Consulting (www.tavistockconsulting.co.uk) e OFEK (Israel Association for the Study of Group and Organizational Processes, www.ofek-groups.org).
Il tema della Conference di quest’anno era “Autority, Boundaries and Creativity”, Autorità, Confini e Creatività.
Nei quattro giorni ci siamo occupati di rilevare le dinamiche gruppali che si realizzano in piccoli e grandi gruppi, conseguenti ai ruoli che inevitabilmente vengono assegnati o assunti, relativi all’esercizio dell’autorità e del consenso o dissenso verso di essa.
Tutto questo ha comportato la definizione e l’approfondimento di situazioni, consciamente o inconsciamente determinate nella formazione di gruppi, con la conseguente possibilità di modificare i confini dei ruoli predeterminati, grazie all’esercizio della creatività del singolo e della mente del gruppo.
La struttura.
L’organizzazione della Conference è apparsa subito molto ben definita.
La prima evidenza organizzativa è stata riconoscibile nell’aspetto residenziale dell’evento: staff e partecipanti hanno condiviso per quattro giorni gli stessi spazi, pur rimanendo in un contatto distaccato e formale gli uni con gli altri.
Lo staff dirigente era costituito da due coppie di professionisti, accompagnate, nel loro lavoro, da un gruppo di consulenti a disposizione per la conduzione dei piccoli gruppi. Tra questi professionisti c’erano psicoterapeuti, psicoanalisti, educatori e consulenti organizzativi, italiani e di altre nazionalità, nel cui lavoro s’intuiva un riferimento psicoanalitico implicitamente e variamente condiviso.
I partecipanti comprendevano psicoterapeuti, psicoanalisti, psicologi e psichiatri, ma anche dirigenti di aziende pubbliche o private, e imprenditori o professionisti di altri ambiti.
La struttura del lavoro, scandita da orari rigorosi che intervallavano i numerosi incontri con piccoli break, vedeva l’alternarsi di plenarie, sia di tutti i partecipanti (una sessantina), sia di questi divisi in tre singoli grandi gruppi, secondo il livello di esperienza precedente delle Conference stesse.
A queste plenarie si alternavano tre tipi di piccolo gruppo: il primo più libero nella sua struttura, il secondo organizzato intorno a un evento/programma condiviso, e un terzo di revisione del lavoro e applicazione ai singoli contesti dei partecipanti.
A conclusione di ogni giornata erano poi proposte delle sedute plenarie di Social Dreaming, incontri in cui i sogni costituivano una matrice di lavoro associativo e condiviso dell’inconscio gruppale.
La dimensione internazionale.
Nella Conference si parlavano ufficialmente due lingue. I partecipanti erano in maggioranza di lingua italiana ma la presenza, sia tra i membri dello staff che tra i partecipanti, di persone provenienti da altri paesi, ha comportato l’uso dell’inglese come lingua condivisa. L’incontro e la mediazione di lingue così diverse come l’inglese, il francese, l’italiano, il serbo, il bosniaco, il polacco, l’olandese e l’israeliano, è stata in sé un’esperienza di contaminazione importante, dove il contatto e l’incontro hanno comportato una spinta creativa necessaria e ineludibile, ma anche la consapevolezza di una fatica emotiva e del rischio di mimetizzare barriere interne con quelle linguistiche.
La presenza, non esplicitata in precedenza ma emersa negli incontri, di due partecipanti appartenenti a popolazioni attualmente in profondo conflitto nel mondo esterno, ha arricchito il nostro spazio chiuso di un respiro più grande, emotivamente molto impegnativo e perturbante.
Le esperienze personali.
La prima
Posso dire di avere fatto un’esperienza molto significativa per la mia persona, come individuo e come professionista.
La durezza dell’esperienza si è accompagnata, credo in misura direttamente proporzionale, all’intensità della mia partecipazione ma dell’una e dell’altra ho riconosciuto la significativa utilità.
Si potrebbe pensare all’esperienza di ALI come a un sogno in cui, di fronte alla necessità di raggiungere una meta insieme ad altri sconosciuti, con cui si deve fare un’alleanza, ci si rifugi momentaneamente in fantasie autoerotiche, di nutrimento onnipotente. Ma queste stesse immagini vengono tempestivamente messe da parte per proseguire il percorso comune.
In questa scena onirica risulta evidente come sia faticosa l’interazione che si deve creare con l’Altro nel raggiungimento di un obbiettivo comune, dove diversità, necessità di rispetto ed equilibrio di relazione, aggressività ed affetti reciproci, comportano fatiche e rallentamenti. Mi sembra anche riconoscibile che la “tentazione” d’isolamento e autonutrimento onnipotente, seppure avvertita, venga riconosciuta come illusoria e inefficace e pertanto messa da parte.
Questa rappresentazione mi sembra ben definisca ciò che quotidianamente viviamo nelle nostre vite e che nel corso di ALI è stato condensato in una situazione temporanea ma veramente rappresentativa del reale. In essa ciascuno ha potuto sperimentare il suo spontaneo collocarsi all’interno di un gruppo e nel rapporto con l’autorità; dal riconoscimento dei ruoli automatici e inconsci si è partiti per pensare a qualcosa di nuovo, perseguendo con creatività il desiderio dell’Albero del Bene e del Male o della Torre di Babele, allegorie del rapporto con un’autorità/Dio, cui ci si vuole sostituire e con cui è difficile interagire collaborando.
Anche la recente visita alla mostra attualmente in corso a Bologna dell’intellettuale e artista Escher mi pare fornire una possibile narrazione di parte dell’esperienza di ALI. Del lavoro di Escher mi ha particolarmente colpito l’attenzione all’alternanza vuoto/pieno, bianco/nero, sfondo/figura, nonché alle trasformazioni progressive del soggetto, talvolta poco percepibili se non dagli estremi del processo stesso di creazione/metamorfosi. Dice Escher “sono curioso dei contrasti e di come sia importante metterli insieme per avere una visione più ricca”.
Metto questo in parallelo con la progressiva esperienza che nella Conference ho fatto dell’ineludibile intreccio degli individui e delle loro potenzialità nella consapevolezza e creazione di uno spazio condiviso.
L’autorità con cui i partecipanti si sono confrontati si è presentata assai dura e, talvolta, anche incomprensibile. Questo ha suscitato polemiche e ribellioni, che in molte persone hanno però subito una trasformazione creativa, conducendo alla scoperta di soluzioni e modi di agire inizialmente impensabili. Credo sia stato importante anche il riconoscimento conclusivo da parte dello staff della Conference, di propri limiti, quelli che un leader inevitabilmente ha e che richiedono l’aiuto e l’integrazione da parte dei suoi sostenitori.
Ritengo che l’esperienza di ALI possa essere importante per rendersi sempre più consapevoli della complessità del funzionamento di ciascun individuo all’interno di un gruppo, istituzionale o ricreativo che sia. Solo da questa consapevolezza, mantenuta viva con un’accurata e continua manutenzione, può nascere un lavoro collaborativo realistico e creativo.
La seconda
La tempesta di sollecitazioni cui ci si sente esposti dal fluire delle situazioni gruppali differenti, scandite dal ritmo serrato previsto dalla scaletta quotidiana, mi ha prodotto fin dall’inizio una sensazione di lieve stordimento, quasi un senso di nausea leggera.
Qualcosa di simile a ciò che si prova navigando col mare mosso, o ai “vuoti d’aria” in un viaggio aereo, quasi che l’alternarsi tra gli incontri di Grande gruppo e Plenarie, con quelli di Piccolo gruppo, mi sballottassero mio malgrado tra emozioni contrastanti.
Nello spazio largo del grande gruppo, sapientemente organizzato dalla disposizione delle sedie che potevano essere ordinate per consentire spazi soggettivi sufficienti, o affastellate obbligando a stretti contatti reciproci, o ancora distanziate disordinatamente, potevano prendere corpo angosce di vuoto, perdita, esclusione, anonimato.
I contatti ravvicinati delle situazioni di piccolo gruppo potevano indurre claustrofobia, o angosce di contaminazione o di sopraffazione. O ancora, per converso, potevano indurre forti e irrealistici sentimenti d’intimità e condivisione.
La conduzione dei gruppi da parte dello staff che si attestava su modalità di ascolto silenzioso e di osservazione, sembrava orientata a fare emergere quanto più possibile il funzionamento secondo assunti di base, ponendo così i partecipanti nella necessità di compiere uno sforzo collaborativo e creativo per contrastarlo.
Il carattere prioritariamente esperienziale della Conference mi ha consentito pertanto di osservarmi funzionare nei variabili contesti gruppali proposti.
E costatare in vivo quanto potenti e magnetiche possano essere le dinamiche inconsce che s’instaurano tra i membri del gruppo, di come esse siano così spesso profondamente orientate verso funzionamenti primitivi, e di quale salda presa di responsabilità richieda la possibilità di cooperare in modo creativo per uno scopo condiviso.
In particolare nel corso del cosiddetto Evento Organizzativo, che costituisce la sperimentazione più ardua della Conference, mi sono ritrovata catturata in dinamiche chiaramente riferibili a un gruppo in assunto di base.
In quest’attività vengono date dallo staff indicazioni per la formazione spontanea di gruppi ai quali viene affidato un compito comune. Essere in grado di affrontare il compito richiede da parte di ciascun partecipante un’attivazione diretta, all’interno di una realtà complessa e in gran parte sconosciuta, in un tempo troppo breve perché sia possibile, prima di prendere posizione o formulare scelte, arrivare a conoscere quanto si va esplorando.
La situazione emotiva somiglia al clima di molte realtà aziendali e istituzionali, pubbliche o private, dove la necessità di prendere decisioni e di avviare processi può comprimere lo spazio del pensiero ed esercitare una pressione intollerabile.
Ci sono stati momenti di tensione, più spesso di confusione, poi qualche ipotesi interpretativa e la creazione di qualche immagine evocativa dei contenuti inconsci presenti nel gruppo.
Occorre molta pazienza, pensavo durante la Conference.
Ci vuole anche la possibilità di uno sguardo d’insieme, che consenta di valutare se possiamo giocare la partita, consapevoli della complessità degli intrecci.
E non c’è altro modo di giocare che quello di conoscere e attraversare i confini, di confrontarsi con l’autorità, di individuare una leadership che sia funzionale al progetto.
Aprile 2015
In Dossier 1° maggio 2013:
EGOLATRIA. Lavoro, non-lavoro, coscienza di sé
In Approfondimenti:
Il contributo della psicoanalisi al problema della guerra
In Spipedia: