Intervento di G. Civitarese e S. Boffito.
“Le case dell’uomo. Abitare il mondo” è il tema della sesta edizione dei Dialoghi sull’Uomo di Pistoia, incontri sapientemente orchestrata da Giulia Cogoli in una polifonia di voci dai vari campi del sapere. In una molteplicità di declinazioni, antropologi ed architetti, filosofi e scienziati, scrittori ed artisti, con i loro interventi hanno delineato un’antropologia contemporanea del senso e del significato della casa e dell’abitare.
A Giuseppe Civitarese e Sara Boffito – due colleghi della SPI – il compito di aprire al pubblico “la casa della psicoanalisi”, e da bravi padroni di casa lo hanno fatto con cura, garbo e amabilità, animando il discorso con brevissime vignette cliniche, rimandi cinematografici e letterari, alternandosi nell’esposizione in una vivace “sonata a quattro mani”. Peraltro Civitarese – attuale direttore della Rivista di Psicoanalisi – nel 2007 ha pubblicato L’intima stanza. Teoria e tecnica del campo analitico, dove tracciava gli sviluppi del pensiero psicoanalitico post-bioniano valorizzando i concetti di campo e pensiero onirico della veglia, e in cui già nell’immagine evocata dal titolo del libro apriva al tema dell’“ospitare” il paziente nella propria mente, e a quello dell’accogliere la molteplicità di Sé che costituiscono la soggettività non solo del paziente ma anche dell’analista.
La visita guidata nella casa della psicoanalisi non poteva non prendere avvio da due significative citazioni di Sigmund Freud, ossia di colui che di questa casa ha gettato le fondamenta – anche se poi molti altri hanno continuato ad edificarla, a viverla ed animarla aggiungendoci stanze ed arredi. La prima citazione ci ricorda quanto l’immagine della casa, così centrale nei sogni e nelle rappresentazioni delle nostre esistenze, ad una lettura psicoanalitica ben si presta ad esprimere fondamentali bisogni primari di radicamento, contenimento e appartenenza, in quanto «la casa è una sostituzione del ventre materno, della prima dimora cui on ogni probabilità l’uomo non cessa di anelare, giacché in essa egli si sentiva al sicuro e a proprio agio». Poi l’altra citazione, celeberrima: «l’Io non è padrone in casa propria»: la consapevolezza dell’alterità dell’inconscio mina l’arrogante pretesa del totale, consapevole dominio sul nostro mondo interiore, e fa della conoscenza di sé un percorso sempre aperto all’ignoto.
La riflessione di Civitarese e di Boffito intreccia due percorsi di senso: c’è il “sentirsi a casa” come esperienza affettivamente confortevole, che nella relazione analitica si traduce in un clima emotivo respirabile, in un sentimento di sicurezza e riconoscimento favorito dalla mente ospitale dell’analista, grazie al quale ci si può avventurare anche in aree dell’esperienza psichica intollerabili per angoscia o dolore. Lo stesso obiettivo del lavoro analitico può essere definito attraverso l’immagine di un luogo interiore da edificare insieme, dove abitare con maggiore agio e libertà, spazio psichico di crescita mentale che può continuare ad espandersi avendo appreso a costruire “mattoncini emotivi” che lo rendano stabile e percorribile. Nei giochi e nei disegni dei bambini, così come negli scenari virtuali dei giochi al computer di molti adolescenti, l’analista s’imbatte spesso nel bisogno di costruire case, tane, spazi protetti, espressione dell’esigenza evolutiva dei suoi piccoli pazienti di sviluppare un’architettura interna in grado di contenere il Sé. A volte tuttavia, quando vi sono stati traumi, carenze o disfunzioni nello sviluppo, ciò che è stato costruito è un “rifugio della mente” in cui arroccarsi difensivamente, una cripta silenziosa che impedisce scambi di emozioni vitali con l’esterno.
Anche dello slittamento dell’heimlich nell’’unheimlich hanno parlato Civitarese e Boffito, dell’esperienza perturbante di avvertire il non-familiare nel familiare, quando la casa della mente viene percepita come abitata da presenze minacciose che trasformano il dimorare nel proprio Sé in un incubo inquietante, simile ad un film dell’orrore.
Attraverso incisivi flash clinici, viene mostrato come nel campo analitico della stanza d’analisi episodi di vita fattuale – relativi magari ad oggetti quotidiani o animali domestici – possono far irrompere emozioni o stati mentali non ancora pensati dalla coppia a lavoro, offrendosi come pretesti per sviluppare impreviste e possibili narrative che vanno a drammatizzare, metaforicamente, quanto aleggiava di invisibile non ancora messo in parola.
I due colleghi concludono sostenendo che il percorso che analista e paziente fanno insieme li deve poter portare a trasgredire il monito “Non aprite quella porta!”, penetrando nelle soffitte polverose e nelle cantine oscure della mente non tanto per scoprirvi chissà quali contenuti rimossi o segregati, ma per bonificare quegli spazi e vivervi nuove esperienze psichiche mai sperimentate.
Per entrare in casa Freud si può guardare il video in SPIWEB
Leggi in SPIWEB la recensione al libro di G. Civitarese, L’intima Stanza. Teoria e tecnica del campo analitico e la recensione al libro di C. Schinaia, Il dentro e il fuori. Architettura e Psicoanalisi.