Cinzia Carnevali, Gabriella Vandi
Il 19 e 20 Marzo si è tenuto a Venezia, il primo Colloquio Italo-Spagnolo.
Nella mattina di sabato, dopo i saluti dei presidenti Stefano Bolognini per la SPI – Luis Martin Cabrè per l’ APM) sono state lette e discusse le relazioni della collega spagnola Adriana Cinello, dal titolo "Laio, una passione figlicida" e di Eugenio Gaburri, intitolata "Mito, passione, tenerezza", chairman, Franco Borgogno. Le relazioni particolarmente apprezzate per la loro originalità e ricchezza di riferimenti mitologici, hanno reso possibili interessanti riflessioni e liberi scambi associativi.
La Cinello, attraverso un’attenta rilettura del mito di Edipo, sottolinea una curiosa "dimenticanza" psicoanalitica: la passione figlicida di Laio sembra essere stata trascurata, potremmo dire negata, a favore di una lettura che mette in risalto il desiderio patricida di Edipo. Tutto il conflitto generazionale si incentra sulle tendenze distruttive di Edipo, trascurando di tenere conto dei sentimenti di odio di Laio (suscitati dalla paura della paternità) e di invidia, legati alla perduta giovinezza che la nascita del figlio comporta.
Freud, suggerisce la Cinello, colloca al centro del Complesso edipico i desideri incestuosi del bambino, mentre Ferenczi, con la sua teoria della "confusione delle lingue", pone il bambino dalla parte della tenerezza, travolta dal mondo passionale dell’adulto. Assassinio del padre, da una parte, padre invidioso della capacità materna di procreare, dall’altra.
Quando l’Io si trova indifeso e soccombente di fronte ad un trauma costituito dal montare di pulsioni, sentimenti e mette in atto difese per evitare la catastrofe, può prodursi una sottomissione all’autorità ed un prevalere della concretezza sui processi simbolici che vengono interrotti (Gabbard 1996).
Il fraintendimento della domanda di tenerezza del bambino produce una violazione, attraverso l’intrusione di elementi inquinanti non corrispondenti al bisogno.
Anche l’analista, nel suo lavoro col paziente, può produrre una violazione: è auspicabile, per la Cinello, un analista che sappia rinunciare alla seduzione di un potere patriarcale che trasforma il lavoro analitico in una specie di indottrinamento forzato, corrispondente ai propri bisogni inconsci. Questo implica una vera libertà di ascolto e la disponibilità ad accettare, da parte dell’analista, le proprie passioni e tendenze figlicide, per poter passare da un regno dominato dalle passioni ad una democrazia degli affetti.
Gaburri, attraverso il controverso mito di Achille, ha preso in esame la versione meno "ufficiale" della sua morte, in cui si narra che l’eroe, uccisa Pentesilea in duello, rimane turbato dalla sua bellezza, se ne innamora e la stupra. E, in un’altra versione, Pentesilea fa altrettanto con lui.
Interessante il collegamento proposto tra questa incoercibile passione di Achille e le privazioni infantili dell’eroe che non era stato accudito dalla madre con tenerezza.
Achille, il cui nome significa "colui che non avvicinò le labbra alle mammelle", non aveva infatti potuto assaggiare, nella sua infanzia, quel latte indispensabile a nutrire la vita psichica e relazionale del bambino.
La madre, incapace di rinunciare alla fantasia di accoppiarsi all’onnipotente Zeus, per dare alla luce un figlio immortale, aveva procurato al bimbo indescrivibili abusi e violenze, nel tentativo di eliminare la sua parte mortale.
Gaburri suggerisce l’idea che Achille e Pentesilea, privati del seno e traumaticamente esposti ad un accudimento iperattivo ed intrusivo, avessero realizzato la fantasia che l’unica maniera di amare fosse relazionandosi con un oggetto inerme e dunque meno "pericoloso".
L’incontinenza della passione della madre Teti si era trasformata inesorabilmente nell’incontinenza della passione di Achille e Pentesilea. Questa incontinenza produce un’ impossibilità a provare il dolore depressivo legato alla perdita della propria completezza e dell’immortalità, suscita odio, genera un’anomala elaborazione paranoica del lutto e mancanza di integrazione tra tenerezza e sessualità.
E’ nell’incontro del qui ed ora che si ripete il trauma del lì e allora.
Il collegamento alla clinica, proposto dall’autore, è apparso particolarmente efficace perché ci ha ricordato l’"incontinenza della passione" di alcuni genitori, e purtroppo, a volte anche di alcuni analisti, incapaci di affrancarsi dai loro bisogni: padri e madri impossibilitati a separarsi dal loro ambiente primario e inadeguati ad elaborare una persistente angoscia di morte che rischia di essere evacuata nei figli e trasformata nel suo contrario, una incoercibile passione. Le storie cliniche di molti pazienti traumatizzati evidenziano nell’infanzia atteggiamenti materni e paterni intrusivi, alla stregua di stupri che invadono il delicato confine corporeo e psichico del bambino. Sono abusi che possono esporre queste persone ad un destino di ripetizione di traumi, proprio come Achille.
Questi bambini, che non hanno potuto sperimentare l’intimità desiderata che nasce dallo scambio primitivo con la madre, in un clima di totale accoglimento e dedizione, non hanno potuto fare esperienza della tenerezza, ma sono stati travolti dal linguaggio della passione che scompagina i desideri del bambino in una terribile "confusione delle lingue".
Nel pomeriggio si sono formati quattro gruppi di discussione sulle relazioni presentate, condotti in coppia da un analista italiano ed uno spagnolo (Carnevali-Alvarez, Izzo-Cabrè, Montagnini-Nicolussi, Vandi-Diez Rubio).
Abbiamo sinteticamente raccolto le riflessioni in 5 parti.
1) Impotenza psichica, impotenza sessuale.
Quando si produce una scissione tra tenerezza e sessualità, la vita amorosa si impoverisce, generando un’angoscia di morte, la cui conseguenza è la reazione passionale violenta, una passione figlicida.
La corrente di tenerezza, nel pensiero freudiano, è una "mitigazione della corrente sessuale" (Freud, 1912) che resta fissata ai primi oggetti parentali.
Se per Freud la tenerezza ostacola l’unione della corrente sessuale e causa quella "impotenza psichica" che rovina e degrada una vita amorosa ricca e matura, il vuoto di tenerezza, peraltro, non rende possibile la costruzione di un contenitore che possa avviare esperienze di separazione-individuazione, favorendo il riconoscimento dell’oggetto separato da Sé.
Gaburri rifacendosi a Bion parla di preconcezione dell’oggetto (intesa come ricerca e bisogno dell’esperienza con l’oggetto) che precede l’Edipo.
Si è tentato di rispondere all’interrogativo se sia possibile considerare tutto quello che dice il paziente come fantasia e si è cercato di distinguere tra: Vero /Realistico e Irrealistico / Reale.
Il discorso del paziente contiene elementi della sua realtà, mescolati sempre a contenuti di fantasia e dunque la coppia analitica costruisce insieme ipotesi che possono essere accettate da entrambi allo scopo di dare rappresentabilità a contenuti che ancora non ce l’hanno, come propone Freud in "Costruzioni in analisi".
Questo è possibile perché il concetto freudiano di pulsione include la prefigurazione dell’oggetto il quale rende possibile l’incontro là dove prima era il vuoto.
2) Revisione del concetto di Edipo
I gruppi pomeridiani hanno individuato, nelle due relazioni, una sostanza di base comune, legata alla necessità di una revisione del concetto di Edipo, a partire dall’ incontro con i nostri pazienti in analisi. Come ascoltiamo l’Edipo oggi?
Dai tempi di Freud siamo cambiati ed anche le nostre teorie cambiano con noi. Basti pensare alle nuove famiglie: le famiglie ricostituite, le diverse forme delle famiglie monoparentali, le coppie omosessuali con figli o le nuove forme di maternità che impongono una revisione dei modelli.
L’abuso di potere porta alla perversione, come possono essere modelli genitoriali Laio e Giocasta?
Sono funzioni patologiche? Nel tentativo di ripensare in termini più ampi il concetto di Edipo i gruppi hanno colto la proposta di Adriana Cinello di vedere nel paziente non solo Edipo parricida, ma anche un figlio vittima della preesistente sessualità (patologica) dei genitori
3) Importanza del Setting
I gruppi hanno sottolineato l’importanza del setting, come strumento che tutela tutto il processo psicoanalitico. Esso funziona da terzo separante, indispensabile nella relazione, per evitare il rischio di incesto: in questo senso il setting interno dell’analista può dare il giusto spazio sia alla tenerezza che alla passione, propria e del paziente. Un setting inteso non come una struttura rigida, ma come dinamica rappresentazione del vincolo necessario con ogni paziente.
Si è convenuto che si possono fare eccezioni, per non ripetere limiti troppo rigidi che riattiverebbero il trauma, o per non ripetere il trauma per la mancanza di limiti. In tal senso queste eccezioni possono essere pensate come "azioni psicoanalitiche" e non come acting-in.
Come Ulisse, l’analista non rinuncia a fare l’esperienza di sentire, ma cerca di rimanere legato all’albero maestro delle regole del setting, anche quando gli aspetti primari e arcaici del paziente possono essere sentiti come un attacco parricida. Tali sensazioni insopportabili, risvegliando l’angoscia di morte e di inutilità, porterebbero a reagire e a rispondere controtransferalmente con un atteggiamento figlicida. Il setting analitico interiorizzato può impedire all’analista di "tuffarsi nell’acqua" e di cedere al transfert erotico. Non farà nulla di concreto, ma sentirà tutto, anche il dolore per l’assenza dell’elemento di tenerezza nella storia del paziente.
In sostanza l’analista cerca di non perdere il suo assetto interno, di mantenere la sua funzione.
4) Interrogarsi sulle funzioni dell’analista
Nell’ incontro tra l’analista ed il paziente che ha subito traumi precoci legati all’esperienza di abuso si instaura una particolare qualità del legame che richiede un analista disponibile ad accogliere i messaggi consci ed inconsci del paziente, capace di condividere e sopportare sulla sua pelle emozioni profonde. Spesso il vincolo perverso che si ricrea ripropone il vuoto di tenerezza, vissuto dal paziente, e subito dall’analista il quale sperimenta una dolorosa impotenza psichica che può sfociare in una pericolosa violazione del setting. L’analista è indotto ad "ammalarsi" un po’ della malattia del paziente, per poterla condividere, ed in questo modo si lascia coinvolgere e soffre, ma rivive, e forse risana, insieme al paziente, la sua ferità del Sé.
Quali funzioni genitoriali sane possono essere interiorizzate dai pazienti? E’ necessario aprire un altro registro, quello della tenerezza che permette di accogliere gli aspetti più primitivi: la tenerezza diviene dunque strumento per ammorbidire e contenere le risposte più arcaiche e brutali dei pazienti.
Ci si è chiesti: " che cosa può rendere l’analista capace di coltivare questo aspetto di tenerezza e che cosa glielo può rendere difficile? Quali aspetti dell’analista sono in gioco?"
Un buon padre, un analista sufficientemente buono, dovrebbe avere una passione di vita aperta alla esogamia, aperta alle nuove realtà, alle nuove idee. Una libertà di ascolto che, per se stessa, implica un riconoscimento dell’altro ed anche delle proprie, ineludibili passioni, incluse quelle figlicide.
Questo permette di passare da un regime dominato dalle passioni (un regime narcisista) alla creazione di uno spazio psichico e relazionale, dove la tenerezza sia al servizio della cura per l’altro.
5) Rifessione sugli strumenti teorici e sulla tecnica analitica
I gruppi si sono soffermati in particolare sull’articolo di Ferenczi, esemplare per onestà intellettuale, che è sembrato anticipare molte concezioni attuali (per esempio l’utilizzo della self disclosure; l’attenzione ai bisogni dei bambini, degli allievi e dei pazienti).
E’ stata suggerita l’ipotesi che la "confusione delle lingue" di cui parlò Ferenczi, potesse riguardare anche l’allievo (Ferenczi) e il maestro (Freud).
In una società in mutamento è necessario ripensare ai nostri strumenti teorici, ma questo richiede la nostra capacità di elaborare il lutto rispetto alle teorie precedenti: i modelli teorici devono essere vivi, così come i nostri pazienti in trasformazione.
Come analisti dobbiamo diventare capaci di cogliere le quote di infertilità delle nostre teorie, lontani da un atteggiamento di presunto sapere, in un clima di ascolto che non avviene una volta per tutte, ma è una triangolazione continua.
La discussione plenaria di domenica mattina è stata coordinata da Laura Ambrosiano (SPI) e Teresa Olmos(APM).
Dopo la lettura delle sintesi dei lavori dei gruppi, vi sono stati numerosi ed interessanti interventi (tra cui Battistini, Borgogno, Bolognini, Cabrè, Egidi Morpurgo, Granieri, Izzo, Olmos, Padron) che hanno arricchito le riflessioni del giorno precedente ed hanno aperto ulteriori domande e considerazioni:
1) In quale modo la psicoanalisi può interrogare i Miti, senza cadere nell’errore di un eccesso di astrazioni o di concretizzazioni? I miti sono narrazioni letterarie che aiutano il pensiero, ma non possono essere usati per operare distinzioni nette: ogni padre è anche a sua volta un figlio e vi sono infiniti intrecci di proiezioni.
2) Quali strumenti possiede l’analista per contenere le sue eccitazioni? Dove risiede la capacità di paraeccitazione?
3) Per capire lo sviluppo delle teorie è importante riportare le teorie ai loro creatori e questo significa, nel caso del rapporto tra Freud a Ferenczi, conoscere meglio i loro punti di conflitto, ma anche le loro complementarietà.
Dopo i ringraziamenti a quanti hanno speso le loro energie per la perfetta organizzazione del Convegno, (tra gli altri Paola Marion e Paola Molina) nelle conclusioni i Presidenti hanno rinnovato la soddisfazione reciproca per lo scambio ricco e "passionale" tra le due società, "sorelle" nel pluralismo delle idee, ed hanno anticipato la realizzazione di un prossimo Colloquio Italo-Spagnolo, tra due anni, a Madrid.