L.Ghirri,1986
REALITIES
34° Congresso della European Psychoanalytical Federation
Report a cura di Ludovica Grassi
Dal 26 al 28 marzo si è tenuto online il congresso annuale della EPF. È il 34° Congresso della federazione, previsto nel 2020 a Vienna ma, a causa della pandemia da Covid 19, cancellato e rinviato al 2021. Malgrado siano state decisioni molto sofferte, si è ritenuto prioritario conservare la possibilità di scambio scientifico sia pur a distanza.
Il tema REALITIES scelto per questo congresso sembra essersi crudelmente intrecciato con la realtà della pandemia, che ha totalmente cambiato la nostra vita personale, sociale e professionale: la realtà su cui ci interroghiamo oggi, per ironia della sorte, non è più quella su cui pensavamo di confrontarci poco più di un anno fa.
Heribert Blass, presidente della EPF, mi ha raccontato di aver pensato a questo argomento già dal 2018, vista l’importanza crescente della realtà virtuale, in particolare fra gli adolescenti e i giovani adulti, e l’aspettativa che anche la pratica psicoanalitica ne sarebbe stata influenzata e forse trasformata. Così, insieme con Jorge Canestri, aveva previsto per il Congresso delle relazioni sui diversi concetti di realtà interna ed esterna, sui loro aspetti evolutivi sia nell’infanzia sia nell’età avanzata, e sull’impatto della realtà virtuale, compreso l’uso di dispositivi tecnici, nella nostra vita di tutti i giorni. Sarebbe stata un’incursione in un mondo ancora distante e poco conosciuto per la maggioranza degli psicoanalisti.
L’irruzione della pandemia ha rivoluzionato questa prospettiva, oltre a mettere a repentaglio tutto il lavoro fatto: il congresso di Vienna è stato cancellato, poi riprogrammato a Nizza nel 2021, infine la realtà della situazione mondiale ha imposto ancora una volta l’impossibilità di realizzare questo progetto. “Ecco uno dei paradossi del nostro lavoro preparatorio: mentre organizzavamo e affrontavamo gli incontri preliminari con tutti i relatori, mi sentivo più distante e al tempo stesso più vicino. Sia io sia Jan Abram abbiamo lavorato molto di più per la preparazione di questo congresso che per i precedenti, anche per il timore che il congresso virtuale non avrebbe funzionato”. Il congresso stesso si è rivelato un paradosso: da una parte un’affluenza dimezzata rispetto agli anni precedenti, dall’altra una riuscita complementarietà fra le diverse relazioni e un attivo coinvolgimento dei partecipanti.
Il 34° Congresso EPF si è concentrato in due giorni e mezzo, rinunciando a molte delle attività che caratterizzavano di solito il pre-congresso: tavole rotonde, workshop, gruppi clinici e di lavoro. Alcune sono state rinviate al prossimo Congresso, altre saranno oggetto di Seminari Scientifici EPF che si terranno durante l’estate e l’autunno 2021.
Si sono tenute tre sessioni plenarie in ognuno dei tre giorni e sessioni di tavole rotonde parallele nei giorni di venerdì e sabato.
Dopo l’introduzione di Heribert Blass e Jan Abram, che tanto hanno lavorato per rendere “reale” questo progetto, i lavori sono cominciati con la relazione di Werner Bohleber, che ha articolato i concetti di realtà interna ed esterna con l’esperienza traumatica. Malgrado Freud avesse individuato la realtà psichica come un regno intermedio fra la realtà esterna e la fantasia inconscia, successivamente essa è arrivata a descrivere la totalità dell’esperienza soggettiva, anche se autori come Ogden hanno sottolineato il fatto che anche la realtà esterna viene continuamente ricostruita, e quindi non è un dato di fatto esterno all’individuo. Su queste premesse, il trauma è trattato come una ferita sociale, una perdita della fiducia di base in un mondo sicuro (concetto analogo alle idee sviluppate da Yolanda Gampel, che ha lavorato con i sopravvissuti a traumi estremi quali la Shoah).
Judy Gammelgaard ha proposto invece di distinguere livelli qualitativamente diversi della realtà psichica, da quello inconscio al preconscio e al conscio, e le trasformazioni dall’uno all’altro. A tal fine utilizza il concetto laplanchiano di realismo dell’inconscio, che non si riferisce a un significato latente sotteso a quello manifesto, ma a un fallimento traduttivo che può essere parziale o radicale. Si tratta di un livello non-simbolico della realtà psichica, quello che Lacan ha individuato come un nocciolo resistente alla interpretazione, la cosa, l’oggetto a e, infine, lalangue, linguaggio senza significato che nell’incontro del bambino con la madre lascia un’impronta sul suo corpo, che diventa corpo erogeno.
Nella seconda sessione plenaria, il sabato mattina, abbiamo ascoltato Mary Hepworth sulle modalità regressive che assume la realtà psichica nel processo della cura psicoanalitica. In tale contesto, le forme non mentalizzate di funzionamento psichico non si limitano a caratterizzare le diverse declinazioni della psicopatologia, ma costituiscono essenziali fonti di arricchimento della vita psichica. Vissute inizialmente in forma scissa e poi elaborate, simbolizzate e integrate, evitano l’impoverimento di una sterile intellettualizzazione.
La relazione di Stephan Doering si è imperniata, attraverso l’analisi del film di Almodovar “Matador”, sulla relazione perversa con la realtà e sull’ambiente di cui la perversione si nutre. La presenza dei personaggi creati dal regista rende l’ascolto molto avvincente e drammatico. Come il bambino di Freud (1919) può contemporaneamente accettare e rifiutare la realtà della castrazione femminile, il perverso persegue un piacere estremo in cui tutto diventa possibile. Nel film come nella clinica, la perversione è strettamente intrecciata alla morte considerata come un eccesso non rappresentabile e dunque erotizzata all’estremo. Questa alleanza fra morte e piacere, nel suicidio sessualizzato diventa l’unica possibiltà di trionfo sulla morte ma è caratterizzata da una distruttività che non conosce oggetto ed emozioni.
La terza sessione plenaria ci ha offerto tre relazioni estrememente interessanti sul virtuale e la sua pregnanza nella vita psichica, nella relazione analitica e alle origini dell’esperienza umana.
Andrea Marzi ha sottolineato come in fondo la realtà virtuale, al pari della mente, è un luogo/non-luogo, che pur avendo una base fisica e materiale è dematerializzata dalla digitalizzazione, così come il corpo come oggetto psicoanalitico è un corpo dematerializzato. Sviluppando i concetti bioniani degli stati proto-mentali e degli elementi beta, Marzi ci mostra come elementi proto-informatici che circolano nello spazio virtuale possano assumere vita, diventare esperienza, essere elaborati. Due interessanti esempi clinici mostrano lo sforzo dell’analista di usare la presenza della tecnologia nelle sedute analitiche come derivato psichico capace di aprirsi alla simbolizzazione e la centralità della dimensione digitale quando l’analisi è svolta in remoto. In quest’ultimo caso, se egli ne rivendica la validità, tiene a sottolineare l’importanza di includere fra gli elementi da elaborare analiticamente anche quelli derivati dal mezzo tecnologico e dai suoi disturbi, in quello che potrebbe definirsi un campo analitico-digitale.
Giuseppina Antinucci parte dell’idea che gli oggetti tecnologici non siano semplici strumenti ma oggetti evocativi, che richiedono una teoria che li inquadri metapsicologicamente, cioè topograficamente, economicamente e dinamicamente. In particolare, propone di osservarli dal punto di vista del luogo che occupano nel rapporto lattante-genitore, come terzo oggetto, significante che richiede di essere decostruito e rappresentato. Attraverso un esempio di relazione nutritiva in cui la madre si rivolge attraverso l’iphone a un gruppo virtuale, la relatrice si è chiesta se lo strumento possa funzionare come puntello di un sé precario, o forma autistica che rafforza la chiusura al mondo esterno e relazionale, suggerendo una connessione con l’attuale elevata frequenza di diagnosi di disturbi dello spettro autistico. Anche dal punto di vista del bambino, sarebbe necessario indagare psicoanaliticamente sullo spazio e la funzione di questi strumenti nella strutturazione del mondo interno.
Infine Sylvain Missonnier presenta un caso clinico focalizzato sull’immersione del paziente nei videogiochi, sul suo passaggio dall’uno all’altro e sull’inclusione da parte dell’analista di queste attività nel funzionamento psichico della coppia analitica, dimostrando in maniera convincente l’opportunità di superare le diffidenze del mondo psicoanalitico verso gli usi quotidiani della realtà virtuale e di sviluppare una psicopatologia psicoanalitica del rapporto con la realtà virtuale.
Nell’impossibilità di rendere conto del lavoro di tutti i relatori, vorrei accennare all’interesse di panel quali quello sulle conseguenze del Covid sulla tecnica psicoanalitica, in cui fra gli altri (A. Lecoq e M. Vezmar) abbiamo ascoltato Anna Nicolò con una articolata relazione che ha analizzato l’esperienza dell’ascolto psicoanalitico, o ascolto elaborativo, portata avanti da quasi 400 psicoanalisti italiani nei primi mesi della pandemia; e quello sulla crisi climatica e ambientale, presieduto da Sally Weintrobe, cui ha contribuito Alfredo Lombardozzi proponendo delle riflessioni psicoanalitiche per un’ecologia antropologica.
Abbiamo anche avuto il piacere di ascoltare Haydée Faimberg che ha offerto spunti originali a partire dal metodo dell’Ascolto dell’ascolto, e siamo stati arricchiti da originali contributi sulla impossibile distinzione fra realtà interna ed esterna nell’”era della post-verità”, sulla necessaria articolazione fra processo psicoanalitico e realtà politica, sulla rivelazione di realtà nascoste da autorità corrotte o perverse, sul fondamentalismo, sul terrorismo, sulle disforie di genere nei bambini e adolescenti, sulla confusione fra realtà esterna e interna nella relazione fra madri sopravvissute all’olocausto e i loro figli, sul sesso virtuale e sui cambiamenti sociali e individuali nell’epoca digitale, solo per citarne alcuni.
Il panel IPSO è stato dedicato alle dimensioni dell’irrealtà e del tempo a partire da una toccante esperienza di lavoro all’interno di un reparto ospedaliero Covid.
Vorrei infine dedicare un po’ di spazio al panel dell’IPA Migration and Refugee Committee dedicato alle amare realtà del trauma, della fuga e della migrazione. Marianne Leuzhinger-Boehleber ha presentato l’esperienza maturata nell’ambito dell’accoglienza ai rifugiati, soprattutto siriani, affluiti nel territorio tedesco a partire dal 2015, mentre Vladimir Jovic ha descritto l’esperienza più complessa e sfaccettata della realtà balcanica, divenuta, dopo la dissoluzione traumatica della ex-Jugoslavia, terminal fondamentale della cosiddetta rotta balcanica, evidenziando tutte le ambiguità e le ambivalenze delle politiche migratorie europee e i limiti della effettiva capacità di accoglienza all’interno del tessuto sociale. Fabio Castriota, chair del Panel, ha sottolineato quanto tutto ciò richieda e cimenti una profonda riflessione teorica e clinica sull’estensione del metodo psicoanalitico, mentre Virginia De Micco, riportando l’esperienza del gruppo PER (Psicoanalisti Europei per i Rifugiati) della SPI, ha evidenziato il compito spesso impossibile affidato agli operatori dell’accoglienza di distinguere il rifugiato dal ‘semplice’ migrante, col rischio di drammatici effetti ritraumatizzanti non solo su chi è accolto ma anche su chi accoglie e la necessità di ‘curare’ anche le menti accoglienti.
Malgrado i sentimenti di perdita e di rinuncia che hanno caratterizzato la storia di questo congresso, Heribert Blass ha concluso che gli psicoanalisti, riconoscendo le difficoltà poste della realtà, si sono dimostrati in grado di superarle. Il congresso si è chiuso con l’auspicio di potersi ritrovare a Vienna nel 2022, numerosi e “reali”, per partecipare e contribuire al 35° Congresso EPF sul tema IDEALS.