“Pensiero Psicoanalitico ed esperienze di Guerra”. Report del Convegno Internazionale.
Di Anna Cordioli
1° ottobre 2022
Il meeting internazionale dal titolo “Pensiero Psicoanalitico ed esperienze di Guerra” è stato organizzato a Padova dal Centro Veneto di Psicoanalisi assieme alla Fondazione Libero e Zora Polojaz (https://fondazione-polojaz.org/ )e con il patrocinio della Società Psicoanalitica Italiana.
Roberto Musella, a nome della S.P.I., nel saluto introduttivo ha sottolineato l’importanza della solidarietà nei confronti delle popolazioni e dei colleghi colpiti dalla guerra: “In un momento buio per la storia della nostra Europa, sin dall’inizio del conflitto, la SPI si è posta al fianco dell’Ucraina e della Società psicoanalitica ucraina fornendo supporto terapeutico, scientifico, logistico e nei limiti delle sue possibilità, economico.” (Musella, Padova, 1/10/2022)
Il convegno ha avuto due enti promotori (il Centro Veneto di Psicoanalisi e la Fondazione Libero e Zora Polojaz), si è interessato a due territori colpiti dalla guerra (Ucraina e Ex-Jugoslavia), ha ragionato su due tempi (la guerra presente e quella di 30 anni fa), si è svolto in due luoghi (in presenza e su zoom) e si è interessato a grandi contesti psicoanalitici (L’individuo nella propria dimensione intrapsichica e l’individuo di fronte ai fenomeni sociali e storici). La capacità di creare uno fondo ellittico di pensiero, avente sempre almeno due poli di interesse, ha permesso di mettere in dialogo più esperienze e più pensieri emergenti.
“Come si sanano i disastri che la guerra produce?” Con questa domanda, Patrizio Campanile, ha iniziato il suo intervento e ha dato avvio al meeting internazionale a cui hanno partecipato analisti italiani ed internazionali, in particolare dell’area dell’est Europa.
Nel suo lavoro introduttivo, Campanile ha parlato di distruttività, pulsione di morte e disimpasto pulsionale, ricordando anche un passaggio di Freud in “Il disagio della civiltà”: “L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata; è vero invece che occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può magari sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo ed ucciderlo” (Freud, 1929, 599).
Questo, in effetti, non è stato un convegno dai toni depressivamente rassicuranti o evacuativamente riparativi, ma si è posto in ascolto vivo degli squarci che si aprono a causa della guerra. Gli ospiti sono stati molti, sia tra gli speakers sia tra il pubblico, e le riflessioni sono giunte da varie parti d’europa.
La prima Ospite è stata la Presidente della Società Psicoanalitica Ucraina, Alexandra Mirza, che ha portato una riflessione su ciò che accade ai legami, una volta familiari e amicali, tra ucraini e russi e sul ruolo della propaganda sulla disumanizzazione dell’altro in stato di guerra. Mirza era a Padova, in presenza, e cerca di andare, ogni volta che può, di persona nei convegni in cui si parla della guerra. Va per dare testimonianza della reale situazione ma anche per ringraziare dell’aiuto ricevuto. “Nel febbraio 2022, avendo affrontato direttamente la guerra, abbiamo ricevuto il sostegno immediato di amici, colleghi e ogni tipo di assistenza da parte dell’EPF e dell’IPA – emotiva, legale, finanziaria. Abbiamo sperimentato tutta la potenza di connessioni emotive che erano in grado di contenere anche l’ansia catastrofica.” Per Mirza, dunque sono i legami – attaccati, pervertiti o invece rinsaldati- un tema da mettere al centro delle riflessioni psicoanalitiche circa la Guerra.
Alberto Luchetti, riprendendo “Perché la guerra” e “il Disagio della civiltà” ha poi portato un lavoro sulle questioni pulsionali sottostanti alla Guerra. Preferendo una lettura laplanchiana sostiene: “Ma è proprio questo il Kulturarbeit, l’impossibile ma indispensabile lavoro culturale e di civiltà che Freud affida alla psicoanalisi, un compito infinito e precario, sempre da riprendere come il prosciugamento dello Zuiderzee, afferma in quelle stesse settimane del 1932: “curarci della nostra umanità, di cui la guerra sembra essere un tragico «corollario»”. In fondo ci si può domandare se Freud, spingendo nella sua teoria la pulsione di morte appena introdotta su un piano biologico o metabiologico, lì dove ci sono solo istinti e forze fisiche, non finisca con il portare «il ferro e il fuoco» del sessuale nelle basi stesse della vita, proprio come, nel corpo del cucciolo d’uomo, è la sovversione generalizzata introdotta dalla sessualità a portare la guerra umana nella vita (Laplanche)” (Luchetti, Padova 1/10/2022). L’autore, continua la sua riflessione su pulsione e guerra, analizzando le riflessioni di Money-Kyrle e Fornari.
Paolo Fonda, già Direttore dell’Istituto Psicoanalitico per l’Est Europa, sposta il punto di osservazione sulla mente gruppale: “La guerra ci accompagna dall’età della pietra e non si intravede ancora come ci si potrà liberare da questa piaga. Da sempre si svolge con un incremento del funzionamento mentale del gruppo in una posizione SP. E questo già da quando lo scontro si prepara o lo si teme, fino a raggiungere il suo apice durante la guerra, per poi persistere per molti decenni dopo il conflitto incrementato dai traumi non elaborati.
La posizione SP sembra pertanto uno schema mentale primordiale, indispensabile a chi si deve difendere, così come a chi aggredisce.” (Fonda, Padova 1/10/2022)A causa di questo funzionamento, per Fonda non si può analizzare il trauma individuale senza vederlo in relazione al trauma collettivo così come la più profonda cura del trauma non si verifica nell’arco della vita di una sola persona (o generazione) ma va affrontato vendo in mente il grave deposito transgenerazionale che va creando.
Sembra fargli eco Maja Dobranić, collega di Sarajevo, che visse l’assedio e che oggi si occupa sia delle persone che allora vissero la guerra, sia delle generazioni nate dopo. Il suo è un lavoro profondo e universale in cui condivide anche un pensiero privato: “27 anni dopo la fine della guerra, ho represso la mia esperienza di guerra. Sono dissociata, perché i ricordi sono numerosi e con l’allentamento della “diga” vengo travolta da intensi sentimenti che accompagnano le mie memorie. La scomparsa di persone vicine e di coetanei, la perdita della sicurezza e della tranquillità, il freddo, l’incertezza, la fame, la miseria, il suono indescrivibile del silenzio, il tuono delle granate: tutto questo mi scuote e mi rende triste. Il più delle volte ho preferito la solitudine e l’isolamento; ciò mi viene in qualche modo spontaneo, perché voglio proteggere le persone a me care dai miei ricordi di guerra, dal loro senso di colpa e dalla loro tristezza; voglio proteggere me stessa dal dolore dei ricordi quando iniziano ad affiorare e le persone che potrebbero essere ri-traumatizzate dalla mia storia. I ricordi mi rendono fragile, indifesa, inutile, incompetente, perché la guerra sembra una cosa enorme, terrificante, spietata, inarrestabile, incomprensibile; eppure gli antichi Romani e Greci la consideravano una delle divinità. La rabbia mi aiuta a non cadere in uno stato di disperazione e mi dà la possibilità di sentire ancora il desiderio di una lotta che porti alla “vittoria”. Credo che ora il popolo Ucraino abbia urgentemente bisogno di provare rabbia.” (Dobranić, Padova, 1/10/2022)
Stanislav Matačić, collega di Zagabria e attuale Direttore dell’istituto di Training della Società Croata di Psicoanalisi ha portato dei casi di terapia con bambini e adulti gravemente traumatizzati durante la guerra dei Balcani. “Mi sembra che l’ambiente di guerra nell’infanzia possa aver influito sullo sviluppo: A. a livello pregenitale, cioè il rapporto con la madre, che nel tumulto della guerra potrebbe avere difficoltà a contenere ed elaborare le paure del bambino e quindi permettere una buona mentalizzazione. In una situazione in cui le paure dell’infanzia pregenitale si fondono con l’orrore della realtà, quando la guerra è la madre ambientale per tutti, il bambino può sviluppare il fragile senso di sé, che in una situazione di rottura narcisistica come nell’adolescenza, agirà male per difendersi da un senso di vergogna o di colpa schiacciante.
B. a livello genitale, cioè attraverso la risoluzione del complesso di Edipo, che porta all’identificazione con il padre violento-guerriero-aggressore e all’assunzione del suo modello di risoluzione dei conflitti esterni – violenza e armi da fuoco. Con l’impossibilità di risolvere il complesso di Edipo con un padre assente, morto o cambiato, l’adolescenza e il suo attacco normativo all’ambiente potrebbero avere, in combinazione con le suddette difficoltà a livello pregenitale, una dimensione psicotica regressiva“. (Matačić, Padova, 1/10/2022)
Igor Romanov, collega Ucraino e Direttore dell’istituto di training della Società Psicoanalitica Ucraina ha portato un intenso lavoro diviso in due parti. Nell prima ha ragionato su come il funzionamento psichico durante la guerra risulti scisso in territori occupati dall’angoscia e altri almeno in parte liberi e vocati all’attaccamento alla vita. In una seconda parte ha portato dirette testimonianze e pensieri raccolti tra gli analisti e i candidati ucraini sia sul lor stesso funzionamento in analisi sia sul funzionamento psichico de loro pazienti. “Quanta negazione c’è nei nostri sforzi per mantenere l’attività psicoanalitica nella situazione attuale?” (Romanov, Padova, 1/10/2022)
Nel pomeriggio i lavori sono continuati per i partecipanti in presenza, con la formazione di tre gruppi di discussione. Due gruppi si sono svolti in lingua inglese e uno in italiano e hanno permesso ai convenuti di ragionare e discutere sui temi proposti la mattina. Il lavoro è stato umanamente intenso e molto stimolante.
Tornati in plenaria, il commento è stato affidato ad Andrea Braun e Maria Ceolin che hanno messo in rilievo i vari e complessi temi sollevati durante la giornata.
Per la conclusione dei lavori, la parola è passata a Vlasta Polojaz, collega del Centro Veneto di Psicoanalisi e presidente della Fondazione Libero e Zora Polojaz, che ha tracciato l’impegno che la Fondazione ha profuso negli anni, per far dialogare i colleghi dell’est Europa sui temi della guerra e del trauma.
“La psicoanalisi è uno strumento principe per studiare e aiutare il genere umano: allevia il disagio mentale e stimola nel tessuto sociale la consapevolezza di quanto sta accadendo. Una società consapevole può farsi garante delle misure necessarie per affrontare il problema e promuovere una convivenza fruttuosa.” (Polojaz, Padova 1/10/2022) Negli auspici e nei progetti della Fondazione c’è infatti quello di infittire il dialogo su questi temi, creando gruppi di analisti di diverse aree geografiche d’Europa, per non far limitare gli scambi internazionali ai soli convegni.
I materiali del convegno verranno raccolti in un numero monografico della rivista oline “KnotGarden”, e nei primi mesi del 2023 verranno resi scaricabili gratuitamente sul sito web del Centro Veneto di Psicoanalisi.