GRADIVA OVVERO PROVE DI SOGGETTIVAZIONE
DIVENTARE SOGGETTO: LE IDENTIFICAZIONI
Franca Munari
La novella e il saggio freudiano
Gradiva, “colei che avanza”, così, un giovane archeologo, Norbert Hanold, nel racconto di Wilhelm Jensen Gradiva. Fantasia pompeiana (1903) denomina la giovane raffigurata in un bassorilievo di età ellenistica, colpito dalla particolarità del suo incedere. Scopriremo, nel corso del racconto che una andatura simile era stata quella di una sua amica di infanzia, Zoe Bertgang, cui si era particolarmente legato. Si tratta, così recita l’Avvertenza editoriale dell’OSF al saggio di Freud su questo racconto, della “storia di un individuo dalla mente conturbata, che per l’azione psicologica su di lui esercitata da una ragazza rinsavisce e si normalizza. I disturbi del protagonista, la loro origine chiaramente collegata ad una rimozione della sessualità, i sogni che egli fa, e le trasformazioni che attraverso i colloqui con la fanciulla subisce, sembrano vicende ideate da chi avesse una assai precisa conoscenza dei punti di vista di Freud. (259)”
Norbert spinto dal suo “delirio”, convintosi, sulla base di un sogno angoscioso, che Gradiva sia stata una giovane perita nel corso dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C., decide improvvisamente di fare un viaggio primaverile in Italia. Questo viaggio, disturbato dalla costante presenza di giovani coppie in luna di miele, lo condurrà a Pompei, dove reincontrerà proprio quell’amica d’infanzia, che, da sempre innamorata di lui, riuscirà a curarlo.
La novella fu segnalata a Freud da Jung e il saggio fu da lui scritto in un periodo di vacanza a Lavarone. Freud poté così prendersi tutto l’agio di dedicarsi a questa ricognizione del testo e lo fece letteralmente appropriandosi della novella, riscrivendola, abitandola e riraccontandola come dal suo interno. Potremmo dire con Assoun (1996) che “La lettura analitica non è forse nient’altro che ri-scrittura del testo o piuttosto la presa alla lettera del racconto. (72)”. Questo tipo di saggi, ma anche in genere le riflessioni indotte dalla lettura, sempre procedono da una cattura su di noi operata dal testo, per fascinazione, condivisibile evidenza o intuizione e identificazione, vuoi con l’autore, vuoi con il protagonista. Una condizione piacevolmente e passionalmente eccitata in cerca di acquietamento, che tende a risolversi tramite l’identico mezzo, la narrazione.
Quello che stiamo anche ora facendo e quello che da questo, nell’identico modo ne procederà.
Freud sapeva da Jung che il “vecchio scrittore” non conosceva la, allora recente, teoria della psicoanalisi e proprio questa conferma di virginale ignoranza gli permette di affermare la sostanziale identicità del funzionamento della psiche in ogni sua forma e la bontà del processo psicoanalitico per conoscere questo funzionamento, ripercorrerlo a ritroso ed intervenire su di esso. Questione questa che molto gli sta a cuore per più scopi, dalla conferma della consistenza della teoria psicoanalitica alle sue ipotesi sulla produzione poetica, alle quali molto contribuirà proprio lo scambio epistolare con Jensen.
La Gradiva di Freud è una vera e propria immersione dell’autore nell’opera, al di là delle interpretazioni e delle convergenze con la teoria psicoanalitica che egli, felicemente, vi trovò. Nella lettera del 26 maggio 1907, ringraziando Jung per il suo apprezzamento per il saggio, Freud così si esprime relativamente ad esso: “Esso è nato in giornate luminose e anche a me aveva procurato molta gioia. Certo non porta nulla di nuovo per noi, ma credo ci permetta di rallegrarci della nostra ricchezza” (Freud, Jung 1906-1913, 55).
Ma vi è ancora un altro intento di Freud quando nel suo saggio accomuna sapere letterario e “scienza” psicoanalitica, e cioè, come sottolinea Contardi (2003), contrapporre il valore e la specifica funzione della psicoanalisi alla limitatezza e alle scotomizzazioni della scienza psichiatrica e del sapere positivo.
In-gredienti
Gradiva, derivando come radice da gradior (ingredior, aggredior) non definisce solamente ‘colei che avanza’, ma sarebbe anche ‘colei che entra, che penetra’, ‘colei che dà inizio’, addirittura in uno dei significati di ingredior nella sua forma transitiva ‘colei che inizia a parlare, a dire’. E ancora attaccare aggredire: gradivus – l’unica forma in realtà in cui veniva utilizzato questo aggettivo – è l’appellativo di Marte, il dio della guerra. Un rimando importante all’aggressività quindi, alla paura desiderio della penetrazione e della sessualità, così come anche alla violenza necessaria della parola, dell’interpretazione.
‘Colei che inizia a parlare, a dire’, cioè alle origini la madre. Zoe, non parla, come Norbert si aspetta, latino o greco, le lingue della sua difesa intellettualizzante, ma tedesco, la sua lingua materna; l’analista non parla, come il paziente può aspettarsi, la lingua della teoria, ma quella degli affetti delle origini, realizzando così i suoi timori e i suoi desideri: essere penetrato, sondato, essere parlato, essere inteso.
Anche ingrediente partecipa del medesimo etimo, e molti sono gli ingredienti che entrano a comporre la complessa sostanza di questo saggio freudiano e della novella da cui esso origina e in essi si fondono e fra di loro si amalgamano.
Ne esamineremo alcuni in dettaglio, qui con lo scopo di lavorare sulla linea della soggettivazione: diventare soggetto innanzitutto, nelle complesse declinazioni di questo, peraltro sempre transitorio e mutevole, compiersi in una forma. E poi alcune delle vie di questo compiersi: le identificazioni, la cura, la solitudine, la fantasia, i sogni.
Diventare soggetto: le identificazioni
Possiamo pensare il diventare soggetto, alle origini, all’interno di vari modelli teorici, il processo di separazione individuazione ad esempio, ma questa soggettivazione, proprio nel separarsi dall’altro, di esso dovrà nutrirsi tramite le identificazioni. Anche per questo processo possiamo fare riferimento a vari modelli teorici e a varie sfaccettature di questa complessa questione. Qui vorrei però utilizzare una generalizzazione: il soggetto per ciò che concerne le identificazioni si fa sulla base dell’altro, di ciò che l’altro è e della relazione che è in grado di fornire, di ciò che dell’altro può creativamente percepire assumere o che, dell’altro dell’ambiente, deve compiacentemente riconoscere – precisando così con Winnicott (1971) le serie complementari di Freud.
E di questa promiscuità soggettuale nel tempo ci sarà sempre bisogno, di conseguenza anche l’Io non sarà unitario, ma diviso, come appunto lo descrive Freud (1921) in Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Il soggetto, per restare tale, dovrà continuare a nutrirsi dell’altro. I mezzi dei quali si servirà a questo scopo saranno oltre ai soddisfacimenti pulsionali (Dejours 2002) tutti quei processi che consentono di portare l’oggetto, o parti, o qualità di esso, all’interno: la pulsione di impossessamento (Bemächtigungstrieb) (Freud 1905, 1932, Denis 1997, Munari 2012), l’identificazione isterica (Sacerdoti 1989, Semi1995, Munari 2004) l’immedesimazione (Einfülung). (Bolognini 2002, Munari 2012).
Siamo abituati, per nostra convenzione, a pensare all’identificazione unicamente nei termini di quei complessi processi che conducono al diventare soggetto, ad esempio in Freud quel percorso che va dall’identificazione primaria alla secondaria, via incorporazione e introiezione. In realtà, questo è solamente uno dei due significati coperti dal termine, l’altro è quello di ‘riconoscere’, ‘farsi riconoscere’, il nome, i dati, le sembianze. E’ interessante notare come Freud non si sia mai preoccupato di differenziare i due differenti usi del termine identificazione, cioè riconoscimento di sé o dell’altro, e processo del divenire identico ad un altro, totalmente o in parte, pur utilizzandoli entrambi. (Donnet, Pinel 2002)
Per ciò che concerne la novella, i due diversi percorsi dei significati dell’identificazione procedono in parallelo con la via dell’identificazione come riconoscimento del protagonista di Zoe Gradiva e la via della identificazione come processo di Norbert con la funzione, il pensiero “analitico”, a doppio senso, utilizzato da Zoe per “curarlo”. E’ infatti Norbert che alla fine diviene capace di sciogliere definitivamente l’enigma della sua scelta dell’appellativo Gradiva – di quello che esso nella sua funzione di rimovente diceva e occultava – : si trattava del cognome di lei, Bertgang, che significa ‘colei che risplende nel camminare’.
L’arte è uno dei grandi serbatoi cui possiamo attingere per restare soggetti.
Il saggio freudiano sulla Gradiva è uno straordinario esempio di quei processi cui prima facevo riferimento che lo permettono.
L’identificazione di Freud con Jensen è palese, sia per il suo riraccontare la storia dettagliatamente, sia per il frequente uso del ‘noi’, come se vi fosse stata una vera collaborazione di lui e Jensen nel racconto (Slochower 1971). Ma soprattutto è interessante pensare ad una identificazione di Freud con il protagonista della novella, Norbert Hanold. (Slochower 1971) Li accomuna innanzitutto il tema dell’archeologia, duttile analogia da sempre cara a Freud nelle sue varie declinazioni: Saxa loquuntur! E come lui che, con un viaggio deciso d’impulso all’ultimo momento, ‘per caso’ si ritrova a Pompei, Freud due anni prima, nel 1904, si era ‘per caso’ ritrovato ad Atene, in un viaggio con il fratello programmato all’ultimo momento, e lì, sull’Acropoli, aveva provato quel “sentimento di estraniazione” (Entfremdungsgefühl) che 32 anni dopo avrebbe descritto nella lettera aperta a Romain Rolland, Un disturbo della memoria sull’Acropoli (1936). Non si può non concordare con l’ipotesi di Slochower di una fascinazione ed immedesimazione di Freud nei confronti dello stralunato Norbert Hanold, il quale in una inconsapevole, necessaria, ricerca del proprio passato, “contro ogni sua attesa e ogni sua intenzione” (Jensen 1903, 45) intraprende un viaggio verso sud e dopo aver attraversato l’Italia finisce per raggiungere Pompei.
E’ il nord che segna la bussola per chi voglia solamente avanzare, ma per sapere di sé, sembra sia però previamente necessario, come si suole dire, ‘perdere la bussola’, o meglio, sostituirla con la bussola del desiderio.
Identificazione, quella di Freud con Norbert, ravvisabile anche nell’esperienza italiana del giovane Freud a Trieste nell’impatto con l’altrui sessualità, come nelle notazioni nella lettera a Silberstein del 23 aprile 1876, a proposito delle donne di Muggia, giovani bellezze incinte e circondate da bambini che come delle dee sprezzanti gli sembrava ridessero dei suoi sguardi indagatori. (Rudnytsky 1994, Bergstein 2003)
La cura e la soggettivazione
Ma c’è ancora un altro aspetto importante nella novella di Jensen in termini di soggettivazione. Particolarmente importante dalla prospettiva del nostro lavoro, mi riferisco al divenire soggetto come paziente e soggetto come curante, analista.
La nostra novella narra infatti proprio di un processo di cura. La questione potrebbe sembrare addirittura banale, la solita donna che vuole salvare un uomo, perché di lui innamorata per qualche particolare ragione, o che di lui si innamora proprio perché potrebbe salvarlo. La questione si fa però qui per noi interessante, perché si tratta di una talking cure, come ebbe a definirla Anna O. (Breuer e Freud 1892-95) che vede la terapeuta Zoe sempre attenta all’altro senso del discorso del suo paziente e capace di intervenire delicatamente ed efficacemente su di esso, e si tratta di una cura applicata con un setting rigoroso: un incontro al giorno, sempre della medesima durata, sempre nel medesimo luogo, sempre alla medesima ora.
Tutto è così simile da indurre Freud a precisare le differenze.
Il processo di soggettivazione nell’assunzione di ruolo, del paziente Hanold come della terapeuta Zoe è qui sostenuto dal desiderio, come prodotto del sessuale infantile, della costellazione edipica e delle conseguenti identificazioni, qui esplicitamente convocati.
Si tratta dell’affrontarsi del transfert di entrambi, motore necessario del desiderio di divenire paziente, di divenire analista, della coazione ad esserlo.
Così come del transfert dell’autore sulla sua storia e sui suoi personaggi e del transfert del lettore della storia, di Freud lettore di Jensen in questo caso, che abbiamo visto catturato dalla storia, dallo scrittore della storia e felice ostaggio dei personaggi del racconto. E transfert di noi lettori sulla novella, e sul saggio freudiano, nelle loro varie declinazioni, fra l’altro anche quella del loro reciproco rapporto.
Forse cura e soggettivazione procedono sempre in parallelo. L’opera è sempre un buon posto per entrambi.
Ognuno ricerca l’altro, se ne appropria, ognuno vuole dire la sua.
Processi complessi, non sempre decifrabili, perché collocati nelle pieghe del preconscio e dell’inconscio. Processi necessari alla continua ridefinizione di noi stessi, indispensabili alla nostra percezione di essere soggetti, percezione che, per esserci, deve essere continuamente integrata e arricchita, in alternanza con la necessità di essere continuamente anche sospesa nel nostro consegnarci all’esterno, all’altro. Processi che rendono possibile il transitorio installarsi nell’opera, dell’autore come del lettore, i quali come uscendo da se stessi la abitano, così come di essa selettivamente si appropriano, la consumano e se ne disfano. Processi che, proprio nel caso dell’opera, della sua costruzione, come della sua fruizione, consentono al massimo quella necessaria alternanza di coscienza incoscienza di sé. I medesimi processi che presiedono al lavoro analitico, per il paziente, come per l’analista. Potremmo definirle anche “prove di soggettivazione”.
Bibliografia
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Contardi R. (2003) La “Gradiva” di Freud rediviva “Delirio e sogni” nel sapere scientifico. Riv. Italiana di Psicoanal. XLIX, 3, 479-506
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Freud S. (1906) Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen. OSF 5.
Freud S. (1921) Psicologia delle masse e analisi dell’Io. OSF 9
Freud S. (1932) Perché la guerra? OSF 10
Freud S. (1936) Un disturbo della memoria sull’Acropoli: lettera aperta a Romain Rolland. OSF 11
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