Eventi

Masina L., Rosso C.

23/06/14

LIVIO E PIETRO: INCRINATURE NEL PROCESSO DI SOGGETTIVAZIONE E CONTROTRANSFERT DELL’ANALISTA.

MASINA L. ROSSO C. (CPB )

Il concetto di soggettivazione compare sullo scenario psicoanalitico negli anni novanta. Sia che esso venga considerato nella sua dimensione processuale come nel caso degli Autori francesi che nei suoi aspetti intersoggettivi come sottolinea la scuola americana, si è concordi nel ritenere che alla base della sua formulazione vi sia un complesso ed articolato sviluppo teorico. In altre parole si è passati da un modello pulsionale in cui la pulsione cerca l’appagamento a quello relazionale in cui la pulsione cerca l’oggetto per approdare infine alla dimensione intersoggettiva in cui c’è un soggetto che ricerca un altro soggetto.

La soggettivazione punteggia tutto l’arco dell’esistenza di un individuo, attraversando i momenti fondanti della fase edipica e dell’epoca adolescenziale. Lo sguardo materno rispecchiante descritto da Winnicott esprime la necessaria funzione soggettivante nei confronti del bambino, il quale, nutritosi di un adeguato scambio diadico potrà accedere alla triangolazione edipica. In seguito, nell’epoca adolescenziale, l’appropriazione soggettiva dell’attività rappresentativa del corpo e delle pulsioni che vi affondano le radici, raggiunge un livello più evoluto.

Le distorsioni del processo di soggettivazione si declinano in quadri patologici diversi, dalle forme più gravi a quelle più sfumate. Attraverso uno scritto a quattro mani riflettiamo sulle similitudini di due situazioni cliniche appartenenti alla nostra pratica professionale e il cui paragone è emerso in una occasione seminariale. Due giovani pazienti che afferiscono all’area dei disturbi borderline di personalità, condividono un funzionamento psichico alla base del quale campeggiano il disinvestimento affettivo e l’uso di meccanismi proiettivi e scissionali. Essi presentano tratti di personalità di tipo falso Sé ed un adattamento caratteriale meccanico ed operativo; sembrano aver sofferto di una carenza di soggettivazione, seppure con modalità diverse. Precocemente sfuggiti alla relazione diadica troppo intrusiva e controllante da parte della madre, hanno dovuto privilegiare la figura del terzo, anticipando la triangolazione edipica con finalità difensiva. Per essi infatti, la figura del terzo, più che esprimere la conquista di un livello maturativo più evoluto, pare coincidere con la parte buona (e scissa) dell’oggetto primario con la quale mantenere un legame idealizzato (Rossi 2013). E d’altra parte, se la riappropriazione soggettiva della realtà psichica ha da estendersi anche alle aree scisse, ciò non ci sembra avvenuto in modo soddisfacente per Pietro e Livio, per i quali le tracce dell’incompletezza del processo di soggettivazione si esprimono a livello corporeo oltre che nel sopravvivere di identificazioni alienanti tiranniche. Riguardo a questo ultimo aspetto, entrambi i pazienti devono confrontarsi con lo strapotere di un oggetto interno, come si può desumere dalla nostra esposizione. Forse, più marcatamente che in altri contesti terapeutici, la soggettività dell’analista è stata ripetutamente chiamata in causa nel corso del trattamento e la sua risposta controtransferale , si è iscritta in un vero e proprio divenire soggettivante interessante la coppia analitica. Del resto, come sottolinea Cahn (2000) è proprio nello spazio analitico che si ripropone il delicato crinale tra la problematica diadica e quella edipica, tra un “holding soggettualizzante e l’ interpretazione della relazione oggettuale come due tempi diversi della cura e con dosaggi che esigono un costante aggiustamento” (Cahn 2000) .
In questa sede ci soffermiamo su alcuni vertici di osservazione relativi al percorso clinico di Pietro e Livio. Sul piano degli affetti entrambi gli analisti hanno svolto la funzione di “alfabetizzare le emozioni” nei confronti dei loro pazienti accomunati da tratti caratteriali operativo-meccanici che si traducono per Pietro nella difficoltà di sentire le emozioni e per Livio di distinguerle. A livello corporeo abbiamo notato come l’incagliarsi del processo di soggettivazione assuma diverse forme: per Pietro l’attacco all’involucro corporeo condensa vari significati, tra cui l’incertezza rispetto alla percezione dei limiti tra mondo interno e mondo esterno ed una modalità rudimentale di comunicazione trans-corporea. Per Livio la corporeità assume a tratti la dimensione di rifugio o di prigione e per altri catalizza il malessere di una difficoltosa integrazione mente-corpo. Infine, il sopravvivere di identificazioni alienanti e dunque lo strapotere dell’oggetto interno assume per Pietro la consistenza di aspetti scissionali (una parte del sé osservante e non bene integrata nell’Io, che il paziente descrive come la “torre di guardia”) e per Livio è rintracciabile in una vocetta interna svalutante e auto-lesiva ; lo scioglimento del coagulo emotivo in corso di analisi e il rifluire degli affetti contribuiranno ad integrare tale vocetta col resto della personalità.

PIETRO

L’inizio della cura di Pietro coincide con la nascita di una relazione affettiva, in cui egli dice di non riuscire a “sentire” la sua ragazza, provando a tratti repulsione rispetto al suo avvicinarsi fisicamente , pur desiderandola. Questo si accompagna ad un persistente senso di vuoto ed a molteplici fobie riguardanti il corpo. Gli capita frequentemente di “scavare” con le forbicine nella cute delle dita, scarificandosi e creando delle specie di passaggi.

Pietro chiede all’analista di sentire al suo posto e al tempo stesso desidera che gli dica che cosa lui prova per la ragazza, insomma Pietro “utilizza” l’analista come apparato per sentire e per pensare, come una pelle psichica vicariante la propria, troppo fragile, vulnerabile, esposta alle violazioni ed incapace di contenere efficacemente le emozioni e i pensieri. Le sedute con Pietro sono caratterizzate da lacrime silenziose che rigano il suo volto immobile, assimilabili ad una secrezione di liquidi corporei che sembrano rimandare ad un dolore ineffabile e senza nome, piuttosto che a contenuti mentali; potremmo dire che inizialmente si tratta di “lacrime senza anima”, mentre lo scavare “passaggi” nella cute sembra rappresentare una sorta di comunicazione trans-corporea, versione primitiva e concreta di una comunicazione trans-psichica. Nel prosieguo del trattamento l’attività cruenta dello scavare diventerà leggibile come trasformazione in attivo della dolorosa intrusione da lui subita passivamente ad opera della madre. Pietro infatti è segnato da una relazione primaria che ha lasciato insaturi bisogni fusionali e di rispecchiamento che si sono tradotti in un cattivo investimento libidico del corpo, in particolare di certe aree, soprattutto la zona genitale e quelle legate alle funzioni escrementizie.

L’analista ha vissuto a lungo un controtransfert caratterizzato da una sorta di torpore accompagnato da sentimenti di inanità e di paralisi, nel quale a poco a poco hanno cominciato a presentarsi improvvisi guizzi di angoscia. E’ ipotizzabile che questi ultimi abbiano segnalato, in una situazione magmatica e indifferenziata, una sorta di iniziale risveglio/attivazione percepito dal paziente come pericoloso, ancorché vitale. In altre parole Pietro avrebbe comunicato all’analista l’angoscia avvertita in relazione all’emergere dall’impasse di un percorso di soggettivazione bloccato, con un primo contatto con l’oggetto. Come ben descritto da Irene Ruggiero (2013), si tratterebbe di “…comunicazioni da inconscio a inconscio, che eludono la coscienza e prescindono dall’uso dello strumento verbale. Di esse l’analista diventa consapevole tramite- idee improvvise di cui non conosciamo l’origine-(Freud, 1915, 50) attraverso cui grumi senso-affettivi ancora amorfi del paziente prendono forma. In queste situazioni la mente dell’analista funziona come una camera gestazionale le cui caratteristiche di concavità, ricettività e affidabilità consentono che proto-emozioni nebulose acquistino contorni via via più definiti, vengano notate e trovino una via di accesso alla coscienza.”

LIVIO

Livio ha subìto uno shock emotivo alcuni mesi prima di consultare l’analista. Egli ha incistato il suo dolore, diventato così una inclusione interna che gli sottrae energie vitali e “anestetizza” il suo sentire. Livio, oltre a percepire le emozioni in modo appannato, come “dietro ad un pannello di vetro”, sembra soprattutto avvertirle in modo confuso. Se dunque il suo mondo interno è invaso da una sorta di paralisi, anche la sua vita attiva è frenata; Livio alterna momenti relazionali normali con lunghi periodi in cui passa il tempo a “vegetare”, come fosse arenato sul divano in balìa di un corpo che diventa per lui alternativamente un contenitore/rifugio o un contenitore/spazzatura. Accade cioè che lo sfasamento interiore diventa una zona di fragilità psichica in cui soggetto ed oggetto, l’Io e il corpo, si confondono. Il disagio di Livio si iscrive nel corpo tingendolo di inquietante estraneità e la minaccia che ne deriva fa sì che Livio si ritiri in un luogo psico-corporeo, attraverso un auto-sequestro narcisistico( concetto di “rifugio narcisistico “di Levy , 2008). Ma il rifugio si trasforma presto in una prigione e l’onnipotenza ,un tentativo fallito di negare permanentemente la realtà.(“rifugio psichico” di Steiner, 1996). Nel corso del trattamento Livio chiede metaforicamente all’analista di sedere sul divano con lui e di pazientare tollerando l’esclusione quando egli si nasconde nel suo corpo/rifugio (che si esprime in seduta con lunghi silenzi) o di non intervenire quando elenca il maltrattamento a cui sottopone il suo corpo/spazzatura. Attraverso il lavoro analitico, che si avvale anche dell’uso di interventi paradossali per dare tempo, spazio e legittimazione alla condizione di “vegetare” del paziente, va intrecciandosi un canovaccio che consente faticosamente di collocare nel corpo i pensieri e le emozioni. Queste ultime si riscaldano definendosi meglio mentre lo shock emotivo si trasforma progressivamente in una “palla di rabbia” nei confronti dei famigliari ritenuti responsabili del suo disagio. Il divario tra l’ideazione e la percezione di sé si riduce attraverso l’acquisizione della consapevolezza di “controllare molto alcune cose mentre altre, per niente” ,come Livio riesce a dire allorquando, meno spaventato e scoraggiato, si dispone a tollerare la vocetta interna che da spietatamente svalutante ora è divenuta solo una voce critica.

CONCLUSIONI

La soggettività dell’analista per il caso di Pietro ha avuto un ruolo nel trovare gradualmente modalità espressive e comunicative che hanno permesso, seppure a tratti, una evoluzione dai primitivi livelli trans-psichici (se non addirittura trans-corporei) a quelli inter-psichici (Bolognini 2013). Proprio grazie al preliminare lavoro di rispecchiamento e rệverie i due membri della coppia analitica hanno potuto accedere a modalità comunicative più evolute e meno concrete. Nel caso di Livio la soggettività dell’analista ha dovuto tener conto della dimensione corporea quale ineludibile terreno d’incontro. In entrambi i casi inoltre abbiamo potuto osservare come l’elemento fraterno sia stato utilizzato seppure con modalità differenti e corrispondenti ai diversi livelli evolutivi di questi due pazienti, quale strumento di progressione e crescita nel processo di soggettivazione. Secondo alcune teorizzazioni a proposito delle tematiche fraterne (Kaёs 2008, Kancyper,2004,Assoun 2001) ricordiamo come la relazione fraterna possa fungere da tappa intermedia sulla strada del confronto edipico oppure al contrario porsi come ostacolo o in sostituzione dell’Edipo. Assoun ha descritto un triangolo fraterno rivalitario : padre o madre-figlio-figlio che si affianca o si contrappone a quello edipico: padre-madre-figlio. Nel primo caso il figlio si troverebbe, come avviene per Livio, in una posizione pseudoparentale nei confronti del fratello minore e soprattutto intrappolato in una relazione materna soffocante anche a causa della scarsa presenza paterna . E’ in questo senso che Livio cerca di difendersi anticipando una pseudo-triangolarizzazione edipica difensiva. Pietro dal canto suo, ha rivisitato la sua passata relazione con la madre osservando nel presente il rapporto tra quest’ultima e la sorella minore e individuando le modalità materne che gli avevano causato sofferenza. La sorella, come un telescopio puntato sul passato,è divenuta un elemento importante nella ricostruzione della sua storia e nella riparazione della diade originaria, presupposto per l’elaborazione del dolore. Per Livio invece, l’evoluzione del rapporto col fratello ha rappresentato un punto di svolta importante in grado di avviare il processo del suo scongelamento emotivo; si è dunque messa in crisi la diade esclusiva e soffocante con la madre sviluppandosi tra Livio e il fratello una dimensione più paritaria.

BIBLIOGRAFIA

Assoun L. (2001) L’Epreuve du consentement: à propos du lien fraternel. In : La lettre de l’enfance et de l’adolescence. 2, 2001, N°44, Eres, Paris.
Bolognini S.(2008) Passaggi segreti. Boringhieri, Torino.
Cahn R. (2000).L’adolescente nella psicoanalisi. L’avventura della soggettivazione. Borla, Roma.
Kaes R.(2008) Il complesso fraterno. Borla, Roma, 2009.
Kancyper L. (2004) Il complesso fraterno. Studio psicoanalitico. Borla, Roma, 2008.
Levy R. Adolescenza: rifugi narcisistici, distruttività e dilemmi del controtransfert. Quaderno dell’Istituto di Psicoterapia del Bambino e dell’Adolescente. Quaderno 28, vol.27, luglio-dicembre, Milano, 2008.
Rossi N.(2013) Relazione presentata al CBP dal titolo: “Note introduttive al concetto di soggettivazione. 19.12.2013.
Ruggiero I. (2013) Controtransfert come ostacolo e come risorsa nel lavoro analitico con gli adolescenti e i loro genitori. (Relazione presentata alla giornata “Analisti al lavoro” CPR,7-12-2013)
Steiner J.(1996) I rifugi della mente. Boringhieri, Torino.

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