Stefano Bolognini: "LA FUNZIONE SOCIALE DELLA PSICOANALISI"
La psicoanalisi è nata come forma di trattamento individuale.
Ha la funzione di curare molti disturbi della vita psichica; di favorire la comprensione e il trattamento della sofferenza psicologica dell’infanzia, delle turbe adolescenziali e delle difficoltà individuali nella vita adulta, con il preciso scopo (che ha comunque valenze sociali) di migliorare la qualità della vita e delle relazioni delle persone, di risparmiare a loro, alle loro famiglie e alla comunità in cui vivono, una quantità di danni emotivi, di salute e spesso anche economici realmente considerevoli.
Tutto questo è senz’altro vero e importante; ma non chiude la questione.
Ci sono infatti altri aspetti più generali della funzione sociale della psicoanalisi, che passano, certo, attraverso i processi di trasformazione personale dei pazienti, ma che riguardano anche la cultura, la "mentalità", lo stile relazionale e l’atmosfera complessiva delle comunità umane: un effetto diffuso di riverbero sociale dei cambiamenti favoriti dall’esperienza psicoanalitica può essere percepito "ad ampio raggio", nei paesi nei quali la psicoanalisi è diventata una pratica comune e consolidata.
In alcune culture tradizionalmente autoritarie e repressive la psicoanalisi può favorire lo sviluppo di una maggiore libertà di vita e di pensiero; in altre, già più libertarie ed apparentemente più avanzate dal punto di vista civile e tecnologico, essa può promuovere il recupero di elementi di umanità che possono essere stati perduti, "spazzati via" da un eccesso alienante di tecnologizzazione, di informatizzazione e di disconnessione dal contatto con il Sé e con le altre persone.
Di questo io parlerò brevemente, senza la pretesa di esaurire un argomento così vasto, ma senza rinunciare ad evidenziarne alcuni punti-base.
1) LA PSICOANALISI COME MODELLO DI "DEMOCRAZIA DEGLI AFFETTI" E DELLE ISTANZE INTERNE.
La cura analitica riconosce dignità e importanza a tutte le istanze interne dell’essere umano, e ne ri-proporziona in modo bilanciato la compresenza e le funzioni: ogni individuo, ed ogni comunità sociale, devono dare il giusto spazio agli equivalenti dell’Io, dell’Es, del Super-Io e dell’Ideale dell’Io, regolando in modo vivibile le relazioni tra di essi e consentendone il respiro e l’inter-gioco dinamico.
Una società senza sufficiente coscienza di sé (versante dell’Io), senza adeguata coscienza morale e senso del limite (versante del Super-Io), senza capacità di riconoscimento dei bisogni fondamentali e naturali degli individui e delle comunità (versante dell’Es e del Sé), senza il fiorire di ideali evolutivi e di obiettivi comuni a cui tendere (versante dell’Ideale dell’Io), sarebbe una società malata.
Una visione psicoanalitica equilibratrice di queste realtà può essere trasmessa (o, a volte, fatta percepire) nei momenti di squilibrio di una comunità, non meno che nei momenti di squilibrio di un individuo.
2) LA RIDUZIONE DELLA POSIZIONE SCHIZO-PARANOIDE.
Abbiamo imparato nella clinica individuale a riconoscere questo malfunzionamento scissionale-proiettivo degli esseri umani, ma lo abbiamo presto esteso ai gruppi.
La funzione sociale della psicoanalisi, in questo campo, consiste nel rendere più consapevoli le comunità più ampie riguardo a questo escamotage difensivo, che invoglia a scaricare proiettivamente all’esterno tutto il male e a negarne l’esistenza all’interno: dell’individuo, del gruppo o della comunità più ampia.
La colpa è sempre dell’altro; il difetto o le cattive intenzioni sono sempre collocate all’esterno di sé; in definitiva, l’altro e l’esterno sono sempre ostili o colpevoli, e il soggetto (singolo individuo, gruppo o nazione) sono sempre innocenti e perseguitati.
Non è banale che uno degli esempi più illuminati di comunicazione diffusa di questo insight collettivo sia venuto da uno scrittore, Abraham Yeoshua, profondamente influenzato dalla cultura analitica: nel tormentoso conflitto tra Arabi e Israeliani, caratterizzato da una enorme accentuazione dei meccanismi schizo-paranoidi, Yeoshua ha sempre evidenziato il rischio di questi processi collettivi, svolgendo – senza mai esprimersi in gergo "psicanalese" – una esemplare funzione socio-culturale di tipo psicoanalitico.
La psicoanalisi ha influenzato positivamente la capacità sociale dell’assunzione di responsabilità e di riduzione delle proiezioni negative sull’altro, rendendone noti i meccanismi di base più grossolani.
Una preziosa azione in questo senso è stata svolta ufficialmente in molte occasioni dallo "United Nations Committee" dell’IPA.
3) L’ACCETTAZIONE DELL’"ALTRO DA SE’" COME AMPLIAMENTO DELLA CULTURA E COME APERTURA AL NUOVO.
In un mondo in straordinario e vorticoso cambiamento, nel quale i flussi migratori si sono accentuati come mai prima nella storia dell’umanità, il problema della tolleranza e dell’accettazione del "Non-Sé" è divenuto drammaticamente urgente e difficile.
La psicoanalisi può contribuire tanto ad ampliare i confini di tollerabilità di fronte al "Non-Sé", quanto a dare riconoscimento realistico alla necessità di tempi elaborativi e di gradualità progressiva, negli individui come nelle comunità, in questi processi di cambiamento.
Tanto le reazioni automatiche di rigetto di fronte all’estraneo/straniero, quanto – sul versante opposto – le pretese dell’Ideale dell’Io socio-culturale e politico di essere immediatamente capaci di serena accoglienza verso di esso, senza turbamenti di fronte al "Non-Sé", richiedono un processo elaborativo complesso e assolutamente non facile: la psicoanalisi sa che per gli individui ci vogliono tempo e lavoro interiore per compiere reali cambiamenti profondi, non "di facciata" ideologica, e può prospettare la stessa complessità processuale per le comunità, rendendo più realistico il loro cambiamento integrativo, nel rispetto dei tempi necessari per accettare le grandi trasformazioni socio-culturali e per riorganizzare la propria visione delle cose.
4) L’ACCETTAZIONE DELLA CASTRAZIONE DELL’ONNIPOTENZA, E LA SCOPERTA DI UNA GENITALITA’ REALISTICA.
Come gli individui, anche i gruppi e le grandi comunità si difendono strenuamente dai vissuti collettivi di impotenza e di limitazione (purtroppo universali e frequentissimi) sviluppando fantasie compensative onnipotenti, strategie perverse e difese maniacali.
Droga, fanatismi, perversioni varie sono tollerate, a volte rassegnatamente e a volte inconsapevolmente, agite e perfino celebrate sui mezzi di comunicazione di massa.
Le perversioni, ad esempio, vengono spesso "contrabbandate" come moda, sotto le sembianze seducenti di una valorizzazione estetizzante.
Non spetta alla psicoanalisi svolgere una funzione moralistica o repressiva, ma io credo che spetti alla psicoanalisi il compito di chiamare le cose con franchezza con il loro nome, al di là delle apparenze superficiali e dei compiacimenti estetizzanti più "trendy" del momento.
Le spetta il compito di aumentare il livello di consapevolezza sociale dei pericoli e delle componenti mortifere di alcuni di questi macro-fenomeni (penso alla iper-valorizzazione estetizzante e "letteraria" delle droghe, delle condotte anoressiche, delle sfide sportive oltre i limiti delle possibilità umane, ecc.); in definitiva, le spetta il compito di evidenziare in modo onesto ciò che fa bene e ciò che fa male; ciò che è vitale e ciò che è intriso di morte.
Gli psicoanalisti possono (e forse dovrebbero) far sentire la loro voce nel contribuire al riconoscimento di realtà mistificate e mascherate come mode, e nell’orientare la cultura sociale verso una distinzione disincantata tra il vitale e il mortifero.
5) LA FUNZIONE SOCIALE DELLA PSICOANALISI NEL CAMPO DELLA SOFFERENZA PSICHICA DELL’INFANZIA E DELL’ADOLESCENZA.
L’estensione della cultura e della pratica psicoanalitiche alla cura dei disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza è una realtà ormai ben consolidata per gli analisti; ma sorprendentemente in molti paesi, anche ad alto sviluppo tecnologico, non lo è ancora per il vasto pubblico e per il mondo medico, per quanto assurdo questo possa apparire dopo decenni di studi e di terapie svolte con successo in questo settore.
Troppo spesso, ancora oggi, bambini e adolescenti bisognosi di un trattamento su base analitica sono curati esclusivamente con psicofarmaci ad alte dosi.
C’è ancora molto da lavorare in questo campo per modificare la cultura di base della popolazione e delle organizzazioni sanitarie.
6) LA FUNZIONE SOCIALE DELLA PSICOANALISI NEL CAMBIAMENTO DELLA CULTURA PSICHIATRICA.
Riteniamo fondamentale il recupero di un posto e di una funzione adeguate della psicoanalisi nel campo delle cure psichiatriche, sia riguardo ai casi clinici in cui, ovviamente con opportuni adattamenti, una terapia di ispirazione psicoanalitica può essere utile; sia nei processi di formazione del personale di assistenza; sia nel senso più generale di una concezione psicoanalitica dell’approccio, dell’ambiente di cura e di gestione delle turbolenze non pensabili, da parte delle équipes curanti.
Si tratta di ricucire uno storico "strappo" culturale con la psichiatria, che si è verificato soprattutto nelle molte sedi universitarie ormai dominate dalla farmacologia.
Questo strappo si è prodotto alcuni decenni fa, dopo un periodo di moda, in seguito ad un allora prematuro "boom" (specie negli Stati Uniti), quando si erano alimentate illusioni di una applicazione della psicoanalisi in una forma troppo ortodossa, canonica, diretta e inappropriata come metodo terapeutico per le patologie gravi.
In molti paesi la formazione dei giovani psichiatri avviene senza alcun riferimento accademico alla psicoanalisi, ed è lasciato all’iniziativa privata dei singoli il potersi attrezzare con una formazione che permetta loro l’incontro e il contatto profondo con il mondo interno dei pazienti.
E’ necessario un cambiamento culturale, e il rapporto della psicoanalisi con il mondo medico deve essere validamente recuperato.
7) CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE SULLA FUNZIONE SOCIO-CULTURALE DELLA PSICOANALISI NEL MONDO DI OGGI.
Più profondamente, però, io credo che la sfida attuale della psicoanalisi sia quella connessa a nuove forme striscianti di attacco al pensiero e alla relazione, che caratterizzano in modo specifico la nostra epoca.
Gli esseri umani sono invitati in vari modi, impliciti ed espliciti, per ragioni commerciali o politiche, ad evitare il contatto con se stessi, a coltivare illusioni di onnipotenza e di totale autodeterminazione, ad identificarsi massicciamente attraverso i "media" con idoli o con grandi masse, a ritirarsi nell’uso della tecnologia virtuale, a fare uso abituale di sostanze psicotrope, a privilegiare le difese maniacali considerando l’euforia e il piacere le uniche condizioni degne e normali della vita.
Per quanto questa descrizione possa apparire pessimistica, e delineare una funzione sociale della psicoanalisi di fronte a fenomeni così grandiosi possa risultare velleitario, ciononostante noi sappiamo che la voce degli psicoanalisti ha un suo effetto nel tempo medio-lungo, e produce cambiamenti nella cultura: è accaduto così in passato, potrebbe accadere ancora nel futuro.
Questo ci porta a sentire un senso di responsabilità, e a nutrire anche un sentimento di speranza e di fiducia.
————————————————————————
Stefano Bolognini (Italian Psychoanalytical Society): The Social Function of Psychoanalysis
(p. 252-255)
17 March 2012,Published in : Bulletin 65, available in : EN – FR – DE
Psychoanalysis started as a form of individual treatment.
It has the function of treating many disturbances that affect psychic life, of facilitating the comprehension and the treatment of psychological suffering related to childhood, of adolescent disturbances and of difficulties of the individual in adult life, with the precise aim (which in any case is of social value) of improving quality of life and people’s relationships, sparing them, their families and the community where they livefrom a certain amount of emotional damage, damage to their health and often even considerable economic damage.
All of this is without doubt both true and important, it is not however the end of the matter.
There are in fact other more general aspects of the social function of psychoanalysis, which certainly pass through patients’ personal transformation processes, but which also regard the culture, mentality, relational style and the overall atmosphere of human communities.
A widespread effect of social reverberation of the changes facilitated by the psychoanalytic experience can be perceived on a ‘wide spectrum’ in the countries where psychoanalysis has become a common and consolidated practice.
In some cultures that are traditionally authoritarian and repressive, psychoanalysis can favour the development of greater liberty in life and of thought.
In other cultures that are already more liberated and apparently more advanced from a civil and technological point of view, psychoanalysis can promote the recovery of elements of humanity that may have been lost, ‘swept away’ by an alienating excess of technology, computerization, and of disconnection from contact with the Self and with other people.
I will speak about this briefly, without the pretension of exhausting such a vast subject, but will not forego highlighting some basic points.
1) Psychoanalysis as a Model for ‘Democracy of Affects’ and Internal Agency
Analytical treatment accords dignity and importance to all the internal agencies of the human being, and re-proportions their coexistence and functions in a balanced way. Every individual, and every social community, must give the right space to the equivalents of the ego, the Id, the superego, and the ego-ideal, regulating the relationships between these in a liveable way and allowing them breathing space and dynamic interplay.
A society without sufficient knowledge of the self (an aspect of the ego), without an adequate moral conscience and sense of limits (an aspect of the superego), without the ability to recognise the fundamental and natural needs of individuals and the community (an aspect of the id and of the self), without the emergence of evolutionary ideas and communal aims to strive for (an aspect of the Ideal of the ego) is a sick society.
A stabilizing psychoanalytic vision of these realities can be conveyed (or, occasionally, made perceptible) in a community’s moments of imbalance, no less than in an individual’s moments of imbalance.
2) The Reduction of the Schizo-Paranoid Position
In individual clinical work we learnt to recognise this splitting and projecting malfunction of human beings, but we quickly extended it to groups. The social function of psychoanalysis in this field consists of raising awareness in wider communities with regards to this defensive subterfuge, which urges the unloading of all bad by projecting it on the exterior and denying its existence on the interior of the individual, of the group and of the wider community.
It is always the fault of the other, faults and bad intentions are always considered as external to the self. Ultimately, the other and the exterior are always hostile or guilty, and the subject (a single individual, group or nation) is always innocent and persecuted. It is not without significance that one of the most insightful examples in the mass media of this collective insight came from Abraham Yeoshua, a writer profoundly influenced by psychoanalytic culture. In the tortured conflict between the Arabs and Israelis, which is characterized by an enormous heightening of schizo-paranoid mechanisms, Yeoshua has always highlighted the risk of these collective processes, describing (without ever expressing himself in ‘psychoanalese’ slang) an exemplary socio-cultural function of psychoanalytical type.
Psychoanalysis has positively influenced social capacity for assuming responsibility and for reducing negative projections on others, by raising awareness of its general basic mechanisms.
In this context valuable action has officially been carried out on many occasions by the IPA’s ‘United Nations Committee’.
3) The Acceptance of the ‘Other than Self’ as a Widening of Culture and as a way of Opening up to the New
In a world of extraordinary and dizzying change, in which migration is more pronounced than ever before in the history of humanity, the problem of tolerance and acceptance of the ‘non-self’ has become dramatically urgent and difficult. Psychoanalysis can both contribute to widening the confines of tolerability with regards to the ‘non-self’, and also give realistic recognition to the need for time to process and progressive gradualness, both for individuals and communities, in this process of change.
The automatic reactions of rejection when faced with the strange/foreign, and on the other hand, the pretensions of the Ideal of the socio-cultural and political ego of being immediately capable of welcoming it serenely without disturbances regarding the ‘non-self’, both require a complex elaborate process that is by no means easy. Psychoanalysis recognizes that individuals need time and internal work to achieve real deep changes, which are not just an ideological ‘front’, and psychoanalysis can offer the same procedural complexity for communities. This would render their integrating change more realistic with respect to the time necessary to accept big socio-cultural trans-formations and to reorganize their own vision of things.
4) The Acceptance of the Castration of Omnipotence and the Discovery of a Realistic Genitality
Just as individuals do, groups and big communities also strenuously defend themselves from collective experiences of impotence and imitation (these experiences are unfortunately universal and very frequent) by developing compensating omnipotent fantasies, perverse strategies and maniacal defences.
Drugs, fanaticisms, and various perversions are tolerated, sometimes in a resigned way and sometimes unwittingly, acted out and even celebrated through means of mass communication. Perversions, for example, are often passed off as fashion, under the seductive appearance of overvalued aesthetics.
It is not the place of psychoanalysis to perform a moralistic repressive function, but I believe that it is the duty of psychoanalysis frankly to call things as they are, beyond the superficial appearances and the trendiest aesthetic smugness of the moment.
It is the place of psychoanalysis to increase the level of social awareness of the dangers and deadly components of some of these macro-phenomena. (I have in mind the indulgent hyper-glamorization of drugs, anorexic behaviour and sporting challenges that are beyond human capabilities etc.) Ultimately, it is the place of psychoanalysis to point out in an honest way that which is good for us, and that which hurts us, that which is vital and that which is imbued with death.
Psychoanalysts can (and perhaps should) make their voices heard in contributing to the recognition of mystified realities disguised as fashion, and in orientating social culture towards a distinction that is under no illusion as to what is vital and what is deadly.
5) The Social Function of Psychoanalysis in the Field of Psychic Suffering in Childhood and in Adolescence
Extending psychoanalytical thought and practices to the treatment of childhood and adolescent disturbances is now a well established practice for analysts. However, surprisingly, in many countries, even technologically highly developed countries, it is still not considered as such by the general public and the medical community, absurd as this may sound after decades of studies and successful therapies carried out in this sector.
Too often, even today, children and adolescents in need of analytically based treatment are treated exclusively with high doses of psychotropic drugs.
There is still much work to do in this field to change the basic attitudes of the population and of health systems.
6) The Social Function of Psychoanalysis in Changing the Culture of Psychiatry
We consider it to be of fundamental importance that psychoanalysis once again takes a place and finds an appropriate role in the field of psychiatric care, be it regarding clinical cases in which, with appropriate adaptation, a psychoanalytically-inspired therapy can be of use, or be it in the training of support staff, or be it in the more general sense of a psychoanalytical basis regarding the approach, treatment environment and the management of unthinkable disturbances on behalf of the treatment team.
It is a matter of repairing the historical cultural split with psychiatry that took place above all in many universities faculties which have now come to be dominated by pharmacology. This split occurred some decades ago, when following a premature boom (especially in the United States), there was a growing trend of the illusion for an excessively orthodox, canonical, direct application of psychoanalysis that was inappropriate as a therapeutic method for serious pathologies.
In many countries the training that young psychiatrists receive contains no academic reference to psychoanalysis, and the possibility of obtaining training that allows them to encounter and have profound contact with the patient’s inner world is left to the individual’s own initiative.
A change in attitudes is required, and the relationship between psychoanalysis and medicine should be rightly reinstated.
7) Some Concluding Considerations Regarding the Socio-Cultural Function of Psychoanalysis in the World Today
More profoundly, however, I believe that the current challenge that psychoanalysis faces is connected to the new insidious forms of attack on thought and on relationships, which characterise our time in a specific way.
Human beings are invited, for commercial and political reasons, to avoid contact with themselves in various ways, both implicit and explicit.
They are invited to nurture illusions of omnipotence and complete selfdetermination, to identify themselves wholly with idols or with great masses through the media, to withdraw into the use of virtual technology, to use mood-altering substances habitually, to favour obsessive defences and consider euphoria and pleasure the only rightful and normal conditions of life.
As pessimistic as this description may appear, and although outlining the social function of psychoanalysis in the face of such grandiose phenomena may seem ambitious, we know that the voice of psychoanalysts has an effect in the medium to long term, and produces changes in culture.
This has happened in the past, and it could still happen in the future.
This leads us to feel a sense of responsibility, and also to nurture a feeling of hope and trust.