Le “trans-identificazioni” e il trattamento psicoanalitico nelle non-conformità di genere
Luca Bruno
La giornata di studio internazionale “Le differenze di genere: esperienze in psicoanalisi e oltre” tenutasi a Milano lo scorso 9 settembre ha permesso un ricco confronto tra le esperienze cliniche di psicoanalisti della SPI e della Commissione IPA “Sexual and Gender Diversity Studies”.
L’analisi di aspetti teorici e clinici nodali nel trattamento delle persone che presentano non conformità di genere (gender-non-conforming) è stata al cuore dell’incontro.
L’identità di genere (che rientra nella più ampia sfera dell’identità sessuale) non ha soltanto a che fare con l’impatto di aspetti sociali, ambientali e culturali ma riguarda essenzialmente rappresentazioni inconsce di sé. Dovrebbe essere cura degli psicoanalisti prestare particolare attenzione agli snodi dei complessi processi di identificazione, che seguono percorsi particolarmente complessi nelle persone transgender, gender fluid e Queer, la cui identità sessuale esce dalla logica del binarismo maschile/femminile.
La costruzione dell’identità di genere risente di molteplici e complessi intrecci dei processi di identificazione (e di de-identificazione). Tali processi sono multipli e possono rendere il vissuto di genere fluido e non conforme al sesso biologico: sono manifestazioni di un “multiplo” doloroso che mostra la sofferenza nella ricerca delle transitorie forme di coesione psiche-soma.
Spesso, ancora oggi, si osserva una confusione tra i concetti di identità di genere e orientamento sessuale; si ritrovano affermazioni stereotipate ed erronee, quali “i transgender sono omosessuali” o “i transessuali sono eterosessuali” o “i gender fluid sono bisessuali”: i transgender, i gender fluid, i transessuali e più in generale le persone Queer non si identificano (o almeno non in modo assoluto) con il proprio sesso biologico, ma sul piano dell’orientamento sessuale possono essere eterosessuali, omosessuali, bisessuali o asessuali tanto quanto le persone cisgender.
In quelle che ho chiamato “trans-identificazioni” si osservano processi psichici che implicano un elevato grado di mescolanza dei moti di introiezione, una condensazione del multiplo, del molteplice, dell’irriducibile alla semplificazione maschile/femminile, molto più complessa di quanto accada nelle identità cisgender. Siamo dunque in un ambito che esce da una visione binaria del genere e che non può essere compreso soltanto attraverso la teoria della bisessualità inconscia.
La fluidità, che è al cuore dei processi di identificazione, contrasta con il bisogno dell’individuo di trovare un’identità coerente, un senso di coesione che di fatto è negato dalla natura stessa dell’apparato psichico.
Per tutta la vita, con gradienti diversi di intensità, sperimentiamo un vacillamento dell’identità, tanto più tollerabile quanto più abbiamo assunto e imparato a gestire la fluidità. Non solo la psiche è “estesa” (Freud, 1938) ma è anche fluida. Nelle trans-identificazioni osserviamo un’ampia assunzione e gestione della fluidità.
Le trans-identificazioni sono particolari percorsi di soggettivazione e non sono paragonabili alle espressioni delle confusioni identitarie di natura psicotica o alle esperienze delle personalità multiple, in quanto le diverse componenti identificatorie sono informate le une delle altre, sono in contatto le une con le altre.
Alcuni scrittori, come Paul Preciado e Kim de l’Horizon, hanno raccontato i loro percorsi personali di transizione e di soggettivazione. Anche nelle nostre stanze di analisi, i pazienti con varianza di genere, esplorando la loro vita psichica, narrano e scoprono il complesso intreccio dei loro processi identificatori, che implica un elevato grado di mescolanza dei moti di introiezione.
Sul piano intrapsichico molti pazienti che presentano varianza di genere mostrano un adeguato riconoscimento dei limiti e l’accesso alla posizione depressiva, con la rinuncia dei residui di onnipotenza infantile e la capacità di contattare ed elaborare la perdita e il lutto.
Il corpo è stato al centro del confronto e del dibattito in questa giornata di studio. Il corpo è il luogo originario costitutivo dell’identità, ma anche luogo di massima trasformabilità e cambiamento, in quanto oggetto sul quale vengono proiettate paure, desideri, fantasie, aspettative, nella ricerca di un’identità fisica e fenomenica che possa corrispondere e accordarsi il più possibile con le rappresentazioni interne e la percezione profonda del proprio genere.
Posizioni affettive, aspirazioni bloccate, conflitti irrisolti dei caregiver e delle generazioni precedenti possono influenzare inconsciamente la formazione dell’identità di genere nelle generazioni successive.
Gli interventi chirurgici di riassegnazione del sesso sono oggi meno ricercati da molti dei pazienti in trattamento psicoanalitico, proprio perché non vogliono rinunciare al piacere sessuale genitale. Le cure ormonali invece sono richieste più per ragioni legate alla percezione del sé corporeo e per il piacere e il desiderio di potersi “vedere” e riconoscere con un corpo con i caratteri sessuali secondari extragenitali corrispondenti alla propria identità di genere.
In molte concezioni della psicoanalisi contemporanea siamo di fronte a un possibile superamento della visione dell’anatomia come destino, a una nuova apertura concettuale, nella teoria e nella pratica clinica, dell’identità non più imposta dalla biologia, ma affermata dal desiderio, in quanto soggettivamente percepita e alla ricerca di corrispondenze psiche-corpo.
La clinica attuale delle non conformità di genere deve rimanere la fonte primaria per l’esplorazione teorica, per non rischiare una speculazione astratta, facile terreno per l’insediamento di ideologie e pregiudizi. La clinica rimette alla prova le nostre teorie, diventando pungolo ed elemento di attrito con esse, occasione sia di avanzamento creativo e conoscitivo nella nostra disciplina sia di affinamento degli strumenti utili per la cura psicoanalitica.