Introduzione di M. Mastella ( stralci)
Quasi vent’ anni or sono Laurent Danon-Boileau, noto docente universitario parigino, romanziere, psicolinguista e psicoanalista, aveva affrontato, nel suo libro L’enfant qui ne disait rien (1) il problema dei bambini senza linguaggio o, per meglio dire, che non dicono nulla, non usano le parole per comunicare. Lo aveva fatto a partire dalla descrizione delle sedute psicoterapiche ( semioterapia psicoanalitica, così definisce il suo approccio) di sei bambini di età compresa tra i quattro e i sette anni, seguiti continuativamente, personalmente, per alcuni anni, a più sedute alla settimana, poiché, afferma, se “la scienza è solo scienza dell’universale, soltanto il particolare esiste” (Aristotele).Vi descriveva gli ostacoli che si incontrano nell’acquisizione del linguaggio, che si organizzano intorno all’asse cognitivo, all’asse afasiologico e all’asse simbolico, interagenti tra loro. Ed utilizzava riferimenti ai campi teorici della psicoanalisi, della linguistica e dello sviluppo cognitivo.
L’approccio terapeutico descritto in quel testo non è pedagogico, non è rivolto a “insegnare” qualcosa al bambino; piuttosto si può dire che lo stile di lavoro descritto è associativo, ‘sonnolento’, vicino alla rêverie (anche se l’autore non utilizza questo termine), alle associazioni libere, al gioco. La costruzione progressiva della continuità psichica e relazionale fa accedere a una preistoria ancora povera di scambi, spesso costellata di giochi ripetitivi, probabilmente dotati di un senso ancora non conoscibile.
Nella conclusione l’Autore, dopo aver sottolineato la rilevanza dei risultati che si possono ottenere con un trattamento intensivo (mezz’ora due o tre volte alla settimana) con bambini che erano arrivati a quattro, cinque, sei o sette anni senza parlare, si chiedeva “cosa funziona e con quali bambini ?”. Poiché non tutti arrivano a parlare, e parlare non è sufficiente per la salute psichica. Allora, quando è opportuno iniziare un trattamento? “ Prima dei due anni, non bisogna preoccuparsi se un bambino non parla. A patto che parlotti e che abbia un buon rapporto con gli altri”. Aggiungerei per maggior chiarezza sintetica: e che abbia voglia di giocare e giochi.
Pubblicato in italiano con il titolo Il bambino che non diceva nulla, Ed. Mimesis, Milano, 2014Per lo sviluppo del linguaggio e la riuscita di una cura, determinante è il “ desiderio di entrare in relazione con l’altro”, più delle difficoltà di espressione vere e proprie.
Per l’Autore è importante evidenziare cosa distingue un tipo di terapia dall’altra, ma anche la specificità di ogni caso, di ogni bambino. E la necessità costante di inventare. Basandosi sulle risposte fornite dal bambino a ciò che gli si propone; e decidendo di volta in volta, nella rielaborazione della seduta, a quale registro interpretativo rifarsi: quello dello sviluppo cognitivo, del linguaggio o il registro psicoanalitico?
Dal momento in cui la seduta assume una certa continuità, all’autore sembra che sia “il metodo psicoanalitico a sostenere in maniera più creativa i movimenti e le proposte di gioco e di interpretazione”. (…)
“ Il linguista e lo psicoanalista si interessano entrambi ai processi e alle operazioni simboliche di cui il linguaggio è portatore. La simbolizzazione si riferisce alla rappresentazione dell’assenza, alla metafora, e concerne tanto il linguista quanto lo psicoanalista anche se, ovviamente, i loro approcci rimangono diversi” ( pag. 159).
Quando il disturbo nella produzione e nell’organizzazione del linguaggio è grave si hanno serie ripercussioni sulla simbolizzazione e probabilmente, come si chiedeva l’autore, ci si trova “proiettati in una forma di violenza o al contrario di ripiegamento su se stessi, o ancora costretti a dei movimenti ripetitivi”.
In seguito alla pubblicazione di questo libro in Francia, all’Autore sono giunte molte richieste di consultazione, che l’hanno indotto a pubblicare diversi libri tesi a spiegare i diversi tipi di disturbo del linguaggio ed anche la nascita e lo sviluppo del linguaggio stesso. Nella casistica da lui incontrata per mancanza o grave disturbo del linguaggio, sempre più spesso gli è capitato di incontrare bambini che corrispondevano alle caratteristiche comportamentali dell’autismo.
L’autismo: comunicare al di là delle parole – Titolo provvisorio( Voir l’autisme autrement)è stato scritto con lo scopo di mostrare come sia fondamentale utilizzare trattamenti e approcci diversi per i bambini che soffrono di una condizione così invalidante; e superare dicotomie teoriche che riguardano l’eziopatogenesi, l’interpretazione del comportamento manifesto e l’organizzazione delle cure. Trattamenti diversificati, integrati tra loro, intensi, con frequenza giornaliera o almeno plurisettimanale, che andrebbero erogati tempestivamente in un unico luogo, in modo da risultar praticabili. Con l’obiettivo comune che il bambino abbia piacere a vivere in società, accettandone le regole. Importante il sostegno regolare agli operatori coinvolti e un ascolto regolare dei genitori ed eventualmente dei fratelli (…)
Schematicamente, l’Autore distingue due modi di procedere, diametralmente opposti: uno in cui colui che interviene si pone a valle del bambino, “lo lascia fare, lo osserva, cerca di coltivare il suo piacere di comunicare mostrandogli che decifra i suoi tentativi maldestri e lo riconosce come soggetto comunicante” (Pag. 11 ). L’altra prospettiva si pone a monte del bambino: l’operatore insegna le regole indispensabili allo scambio e alla vita sociale. Fondamentale è l’osservazione del comportamento spontaneo del bambino, spesso svolta in presenza dei genitori, cosa che permette loro “di sentire che il figlio ha voglia di comunicare anche se non ne ha i mezzi”. I due tipi di terapia indicati, a valle e a monte del bambino, devono essere condotti da operatori diversi: non si può ritenere sufficiente l’intervento di uno solo dei due (…)
(…)Sotto questa etichetta rischia di venir raggruppata gran parte della psicopatologia rilevante nella fascia di età 0-3; una diagnosi talora “forzata” con lo scopo di attivare risorse altrimenti carenti o, nei casi più riprovevoli, di incrementare un “mercato”. Con conseguenze deleterie sulle aspettative e gli investimenti sullo sviluppo del bambino e la qualità di vita proposta ( vedi: Barale, Ucelli, 2006; Misés, 2009). Per tali motivi è estremamente importante attivare, in campo clinico, risorse diagnostiche e terapeutiche fondate su un approfondimento continuo delle caratteristiche precipue della sofferenza, delle carenze e delle difese, e dei funzionamenti mentali dei piccoli soggetti “a rischio di autismo” ( Delion, 2004).
Vedendo diversi bambini autistici che arrivavano a comunicare in alcune condizioni ma non in altre Laurent Danon-Boileau è giunto a pensare che questi bambini abbiano il piacere dello scambio ma non i mezzi strumentali per realizzarlo.(…)
Lo scopo del libro è quello di mostrare partendo dalla clinica come si possa essere analisti di un bambino autistico se si considera l’analisi non come una panacea ma al contrario “come una terapia che deve integrarsi con un dispositivo di cure diversificato e conflittuale”.
Attraverso l’analisi di video effettuati in famiglia Danon-Boileau rileva i segni precoci che si possono osservare prima della diagnosi esplicita di autismo; constata che questi segni non riguardano tanto la sfera dell’interazione, della comunicazione, quanto quella del comportamento sensorio-motorio (dal punto di vista del tono, della postura e del movimento, così come delle sensazioni provate di fronte al mondo) . Ciò fa sì che il bambino (nel caso descritto, la bambina) manchi di “responsività”, non sia in grado di anticipare, con adattamenti posturali, la madre che sta per prenderla in braccio. (…). In ogni caso, la madre intuisce inconsapevolmente che qualcosa non va, e sembra adattarsi a questa situazione, sembra diventare eco del suo malessere.(…) In bambini un po’ più grandi, l’autore ha studiato la comunicazione ed il gioco simbolico constatando con sorpresa che il bambino autistico può essere in grado di fare delle cose di cui non lo si considerava capace.(…)
L’Autore affronta poi il problema della scomparsa di gesti comunicativi dopo i 18 mesi e la questione del gioco simbolico nel bambino autistico.
(…) Il segno della patologia autistica sarebbe questo: di mettere in pratica il gioco simbolico e non potere, al tempo stesso, mantenere lo scambio con l’adulto. Il gioco pienamente simbolico e la comunicazione normale sono comunque difficilmente sostenibili, per ragioni strumentali; renderli possibili nel corso di una seduta costituisce un’occasione mutativa. L’accuratezza descrittiva delle esemplificazioni cliniche fa nascere nel lettore il desiderio di confrontarsi direttamente con l’autore sulle rispettive associazioni ed ipotesi interpretative (…).
L’ipotesi centrale di Laurent Danon-Boileau è che il disturbo di cui soffre il bambino autistico sia lo smantellamento(2) , descritto sia nell’ambito della teoria psicoanalitica che nell’ambito della teoria cognitiva.
Attraverso la presentazione del caso di Jesus, bambino grave, l’autore illustra le caratteristiche del suo lavoro di “semioterapia psicoanalitica”, che tende a rimettere in moto nel bambino una capacità di costruire segni non verbali per giungere ad organizzare in lui ciò che la psicoanalisi definisce “simbolizzazione primaria”, che permette una prima organizzazione di ciò che vive senza ricorrere al linguaggio.
L’Autore si dedica più volte ad illustrare la specificità dell’approccio psicoanalitico(…) illustra poi come le condizioni materiali in cui si svolge lo scambio, la seduta : posizioni reciproche, adulti presenti nella stanza, oggetti utilizzati contribuiscono ad influenzare il tipo di funzionamento mentale, ciò che giunge a essere rappresentabile; determinante è la natura dissociativa del disturbo. Possono essere in primo piano le angosce “originarie” riguardanti l’insicurezza dei contorni del proprio corpo; la messa in figurazione di una relazione primitiva con un oggetto d’amore unico (registro “pregenitale”), o momenti più edipici.
Per descrivere i fenomeni connessi alla dissociazione, allo smantellamento, l’autore analizza dettagliatamente due consultazioni videofilmate e riviste più volte (caso di François). Le commenta poi alla luce della logica cognitiva (deficit) e delle logiche psicoanalitiche (difese), che trova qui più consone; per talune sequenze utilizza anche ipotesi neurologiche (aprassia del vestirsi, perseverazione: deficit, che poi possono assumere valore di difesa). L’Autore si chiede allora cosa sia specifico del suo essere un bambino autistico, individuando tale specificità nelle angosce corporee e nella rapidità dei cambiamenti di logica, e nella dipendenza del registro fantasmatico dalle condizioni materiali del setting, oltre che dalla qualità del transfert(… ) A proposito dell’evoluzione di soggetti autistici anche gravi, l’Autore, per non dare una visione monolitica dell’autismo grave, descrive due bambini, Jean e Armand, che presentano tratti autistici senza essere dei veri e propri autistici (…).
L’Autore passa in rassegna lo stato attuale delle diverse teorie e la loro incidenza sulla cura, ferma restando l’estrema diversità dei funzionamenti mentali (…) Per capire le difficoltà nel comunicare, nel giocare simbolicamente, nello scambio con l’altro(3) , l’Autore riprende i due orizzonti teorici maggiori: quello psicoanalitico che formula ipotesi su ciò che “il bambino pensa o sente nella sua relazione con l’altro e con sé stesso”; e quello cognitivista, che pone l’accento sulle carenze dello strumento ( il deficit) che permette al bambino di percepire il mondo e di condurre degli scambi. In entrambi gli ambiti teorici, le spiegazioni si rifanno o a una mancanza di interesse, di desiderio per l’altro, o a una sorta di frammentazione dell’apparato psichico.(…)
Col tempo, lo smantellamento sensoriale e le sensazioni frammentarie diventano una costosa difesa contro la caduta depressiva nel niente. Il bambino autistico tenta di costruirsi una “seconda pelle”, una continuità che gli sfugge , con il contatto,la prensione, l’azione apparentemente senza scopo.L’Autore si sofferma sulle teorie dello smantellamento in psicoanalisi, a partire da Donald Meltzer e poi Geneviève Haag(4) , nonché di Didier Anzieu (involucro psichico), Guy Rosolato e Piera Aulagnier; riferisce poi la prospettiva di André Bullinger, studioso dello sviluppo cognitivo del bambino, a partire dallo stadio sensorio motorio dello sviluppo secondo Jean Piaget. In particolare illustra il concetto di “flusso sensoriale” (riferito ai diversi canali sensoriali) e le modalità di apprendere ciò che viene dal mondo: una modalità più arcaica che provoca una reazione tonica che induce la postura più adatta per far fronte a ciò che accade, una reazione di allerta, cui segue un movimento di avvicinamento (se ritiene lo stimolo “buono”) o di allontanamento (se ritiene lo stimolo “cattivo”). L’altra modalità, più evoluta, gli permette di distinguere le proprietà dell’oggetto, fonte dell’evento, di passare dalla sensazione alla discriminazione delle sue caratteristiche, alla percezione. Il terzo fattore che organizza la risposta motoria è il grado di coordinazione nella manipolazione del mondo e nell’organizzazione spaziale (…).
Per sintetizzare la clinica dell’autismo, ci si può chiedere: come favorire un riannodamento con la simbolizzazione primaria (che si stabilisce senza ricorrere al linguaggio)?. “Poi, quando ha acquisito un linguaggio, come far sì che questo nuovo supporto sia felicemente investito?”. Ovvero: “Come favorire in un bambino autistico l’utilizzo di una simbolizzazione secondaria di qualità in cui l’affetto trovi la sua piena dimensione?” . L’interesse dello psicoanalista è quello di permettere al bambino di abbandonare la difesa, costituita dal privilegiare la sensazione a discapito della percezione e dello scambio con l’altro, e favorire il controllo dell’eccitazione e la sua trasformazione in pulsione; l’elaborazione del controtransfert è decisiva.
“Come linguista, lo scopo è favorire l’organizzazione progressiva dei segni del dialogo preverbale e della comunicazione mimo-posturo-gestuale”. (…)L’Autore esamina la profonda differenza tra i giochi sensorio-motori ripetuti del bambino autistico, che talvolta sembrano essere anche astratti e metaforici (ed alludere alla separazione, all’individuazione, alla scomparsa, alla perdita, come l’aprire e chiudere ripetutamente la porta, accendere e spegnere la luce…) e il famoso gioco del rocchetto del nipote di Freud (…).mette in guardia sulla differenza tra addestramento ed apprendimento; quest’ultimo prevede che il bambino prenda parte attiva, pregnante nel processo e provi piacere nello scambio con chi gli insegna. Il rischio dei metodi comportamentali è che introducano un adattamento di superficie, una pseudo-normalità (nel lungo periodo), scissa dalla personalità profonda.A proposito dell’emergere della simbolizzazione secondaria nel bambino autistico, questi , a causa dei suoi disturbi strumentali, non può co-costruire con la madre interazioni sufficientemente facili, ritmi modulati per organizzare i suoi affetti ed elaborare con lei la violenza degli stimoli, delle emozioni che vengono dall’esterno e dall’interno.(…)
La semioterapia psicoanalitica mira ad aiutarlo a costruire o a ricostruire la simbolizzazione primaria per favorire l’emergere di una simbolizzazione secondaria più adeguata. Peraltro, raramente la parola esprime ciò che il bambino sente, e raramente viene usata per modulare i suoi stati interni.
(…) Nel terapeuta, particolare importanza ha la voce, più accettabile di ciò che passa attraverso la mimica e il gesto. La voce rinforza l’effetto dell’interpretazione, che può riguardare una parola o una azione, volontaria o involontaria. Conta soprattutto la misura, nella lunghezza e nella velocità dell’enunciato. All’inizio della terapia appare indicato un commento sonoro a ciò che accade, che può diventare in sé l’interpretazione di un atto (proiezione controllata di un vissuto) corrispondente alla minaccia da cui il bambino si sente sovrastato.(…) Altro tipo di interpretazioni è dare il nome ad un vissuto, un’emozione; contestualizzare le sue riprese ecolaliche (es. della frase ripresa da Bugs Bunny); la forzatura delle metafore; la creazione di un collegamento tra ciò che il bambino fa sotto gli occhi del terapeuta e un qualcosa di altro che ne è evocato e al tempo stesso se ne distingue radicalmente. Ciò costituisce una rottura con l’uso più frequente delle parole; è un modo di intervenire più analitico.
Il gioco simbolico “esige il conflitto tra due rappresentazioni organizzate dello stesso oggetto”. E la metafora richiede “di poter pensare due cose contraddittorie dello stesso oggetto” (“capacità di decentramento” secondo Piaget). (…) Mi sembra clinicamente utile approfondire il passaggio dal “giocare in presenza di-“ ed il “giocare da solo” – ripensando a Siirala e a Winnicott. E ripensare all’Infant Observation come occasione di osservare la diade madre-bambino giocare, “danzare” in presenza di- per poi proseguire “da sola”, rispetto all’osservatore che svolge una sorta di benevola funzione paterna; e alla Consultazione partecipata, come preziosa occasione di coinvolgimento attivo ed emotivo dei genitori nell’osservazione e significazione delle attività spontanee del bambino ( Vallino, 2009); e alle teorie del campo analitico e alla vivibilità e pensabilità delle emozioni ( Ferro,2007; 2014). Il bambino autistico – come risulta dai filmati familiari – non usa lo sguardo e l’incoraggiamento della madre come appoggio; ma – penso io- i filmati familiari si riferiscono ad un periodo in cui l’intervento dell’osservatore o del terapeuta ancora non era iniziato!
A proposito delle parole del bambino normale e del bambino autistico, L. Danon-Boileau si sofferma su alcuni esempi della nascita di parole metafora.(…). Le parole metaforiche non designano “il mondo, ma esprimono sogni, desideri, paure di chi lo guarda. È’ questa capacità psichica che fa sì che il linguaggio faccia del mondo percepito una evocazione del mondo sognato che incarna la metafora” ( pag. 152). Ma la metafora va colta come tale da chi ascolta! (…)
Nel lavoro di simbolizzazione, è decisivo l’aspetto del lutto e del ri-col-legare. Il bambino “costretto” a mordere il pongo con cui ha “fabbricato” dei dolci, non rinuncia al piacere di masticare, che occorre sopportare di perdere nella simbolizzazione.(…) “Come se dovesse mordere per vendicarsi sul significante della perdita di realtà, caratteristica di ogni uso del segno. Il lavoro di simbolizzazione è quindi fragile”( pag.155) (…).Così, il linguaggio “non propone solo del senso da capire. Produce anche un effetto sensoriale ed affettivo”. Ed è questo il problema cruciale per il linguaggio del bambino autistico, che deve “restare a metà strada tra espressione della rappresentazione interna ed espressione della percezione, processo di legame interno e gesto teso verso la ricerca della soddisfazione”( pag. 156), attraverso una conflittualità vivente. Come, lentamente, far sì che “la parola possa fondare lo spazio della metafora e del riconoscimento dell’affetto”? (…). “I pazienti psicotici riducono il reale ai loro sogni e alle loro angosce. I pazienti autistici talvolta fanno sparire i loro sogni per tener conto in modo esclusivo e meticoloso solo della realtà immediata”.( pag.159) Si tratta, nel lavoro terapeutico, di riaprire questa conflittualità, ad esempio riunendo in una interpretazione il percepito – treno – con il rappresentato – Dick o papà, come faceva M. Klein, tra fantasma (ciò che si desidera – o teme) e ciò che si vede (percepito).
Alla fine, Laurent Danon-Boileau prova a svelarci da dove viene il suo interesse per i bambini autistici, rievocando un ricordo d’infanzia, una visita alle grotte di Lascaux, densa di emozioni – le emozioni che attraversano la mente di chi lavora con i bambini autistici: di sentirsi “in contatto con la nascita della simbolizzazione, dell’umano, dei segni, delle questioni metafisiche. La passione delle origini” (…).
L’Autore riassume infine le conseguenze terapeutiche delle sue convinzioni (…) Il lavoro terapeutico dello psicoanalista è quindi decisivo in due campi: a)quello della simbolizzazione primaria, della differenziazione degli affetti. Questa è stata ostacolata dal fatto che “il contatto con l’altro è così disorganizzato che l’interazione (con la madre), che avrebbe dovuto filtrare l’eccitazione che viene dal mondo, non fa che esacerbarla. Al punto che gli risulta impossibile fare la differenza tra ciò che è piacevole e ciò che è spiacevole. Il bambino si sente allora frammentato o invaso dall’altro” ( Pag.158) b) Fare da terzo tra il bambino e ciò che questi osserva o manipola – e spesso lo affascina-: posizione del padre sufficientemente buono, che non vieta, ma stabilisce una distanza tra madre e bambino(…)
L’approccio psicoanalitico considera il bambino come un soggetto che simbolizza, capace di mettere in legame. Lo accoglie come un essere umano, di cui si tratta di capire i messaggi, non come un ilota con la testa vuota cui bisognerebbe insegnare dei modi di civilizzazione. Il suo primo lavoro è di rinviare “al bambino la sua immagine di soggetto significante”.
L’Autore non riporta dati statistici, ma testimonia dell’evoluzione favorevole di bambini autistici che inizialmente presentavano “un disturbo della comunicazione, un’assenza totale del gioco simbolico e del linguaggio”. Evoluzione che giunge “all’integrazione in un ambiente scolastico normale e ad una socializzazione accettabile”. Risultato raggiunto peraltro con un trattamento pesante, lungo e diversificato. “La psicoanalisi da sola non può giungere che a un risultato parziale. Le terapie cognitive da sole non possono ottenere che un risultato limitato”. In un momento storico in cui si propugna la medicina dell’evidenza, dell’evidenza statistica, l’Autore ci propone la medicina dell’esperienza, dell’apprendimento dall’esperienza, (…) riapre alla speranza terapeutica, e al valore intrinseco di una ricerca scientifica multidisciplinare connessa all’esperienza clinica, terapeutica(…).
Note
(1) Pubblicato in italiano con il titolo Il bambino che non diceva nulla, Ed. Mimesis, Milano, 2014
(2) Démantellement, da alcuni tradotto dall’equivalente inglese ‘dismantling’ ( Meltzer, 1975) anche come ‘smontaggio’
(3) Sottolinea ancora una volta l’infondatezza dell’ipotesi eziopatogenetica basata sulla carenza affettiva delle madri , e l’infondatezza della diagnosi di autismo quando un bambino sui 3-4 anni (con sospetto di autismo) va verso l’altro e si esprime con la mimica, il gesto e lo sguardo.
(4) Bambino impossibilitato a mettere in armonia ciò che viene dall’interno del corpo e ciò che percepisce dal mondo esterno attraverso i sensi – per una sorta di disintegrazione della sensorialità, per cui non può servirsene per appoggiare i gesti e le azioni che compie nel mondo delle cose e degli scambi con l’altro.
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