SOGGETTO ALLA PULSIONE, SOGGETTO ALLA PERCEZIONE
Marco La Scala
Il soggetto nel suo divenire dipende dall’articolazione complessiva degli spazi e dei limiti psichici che lo determinano, e che esso determina, e dal funzionamento e dalla selettiva permeabilità delle strutture che ne inquadrano lo sviluppo (La Scala 2012). Con funzione-soggetto, Garella, si riferisce al processo psichico che determina la qualità soggettiva del funzionamento psichico. Essa esprime l’associatività in rete di istanze diverse, nessuna delle quali in posizione esclusiva” (Garella 2014). Se l’analisi cerca innanzitutto di riparare alle impossibilità e alle difettosità di questo processo che sottende l’esprimersi della soggettività, accade però in essa che, inaspettatamente, il soggetto emerga proprio nei luoghi più reconditi, isolati e inaspettati, nei frammenti di esistenza; nella parola che non è stata mai detta o mai è stata intesa: la nominazione che apre la parola a ciò che ne costituisce il suo fondo e permette che essa venga abitata (Fedida 1981); come anche in una piega, in una “scheggia del reale” (Correale 2012) a cui la psiche si è estesa senza saperlo (Freud 1938), esteriorizzandosi.
Se la psiche può essere estesa l’Io in quanto istanza intrapsichica, non può essere per Freud che un essere di frontiera. ( con una funzione conservativa e di controllo sulla permeabilità)
L’Io origina come proiezione della superfice del corpo, oltre ad esserne il rappresentante; inscindibile e indiscernibile per sua origine dal corpo, tanto da individuarlo come Io-corporeo fin dalle sue origini. Da qui muove il pensiero di Anzieu che, attraverso il concetto di l’Io-pelle, propone una prospettiva tramite la quale esplorare l’Io in quanto involucro psichico ( Anzieu 1985) con funzioni specifiche di protezione e filtro e di inscrizione di messaggi, sia verso l’interno, le spinte pulsionali, sia verso l’esterno, la percezione. L’Io pelle esprime un elemento unitario pur nella complessità delle sue componenti: l’involucro sonoro dell’Io, l’involucro tattile, l’involucro o schermo ottico ecc. Questo/questi involucri costituiscono dei luoghi in cui l’identità di percezione indica lo scopo perseguito dal processo primario, tramite l’allucinatorio che mira a ritrovare una percezione identica all’immagine dell’oggetto risultante dall’esperienza di soddisfacimento:“La ricomparsa della percezione è l’appagamento del desiderio, l’investimento pieno della percezione, a partire dall’eccitamento di bisogno, è la via più breve verso l’appagamento del desiderio. … Questa prima attività psichica mira dunque a un’identità di percezione, vale a dire alla ripetizione della percezione che è collegata col soddisfacimento del bisogno” (Freud 1899). L’Io cerca sempre di ri-trovare la stessa cosa, il familiare, il già noto e interviene col diniego radicale o con l’errore percettivo per difendersi dall’estraneità nel momento in cui essa appare o ricompare come presentazione. “Questo è uno dei paradossi dell’Io, essere l’istanza in rapporto con il mondo esterno, ma mantenerne solo la parte assimilabile, e quindi scotomizzare il resto” (Scarfone 2014). E qui già possiamo cogliere i limiti dell’Io rispetto al concetto più ampio di soggetto, soggetto che invece proprio nello scotoma, voluto dall’Io, può trovare un suo nucleo di esistenza.
L’identità di percezione nell’interazione con l’oggetto
Freud, offre un modello della percezione che si costruisce nel passaggio attraverso tutto l’apparato psichico, apparato che pertanto contribuisce al suo montaggio. Dunque, non solo la rappresentazione e il preconscio, ma anche l’allucinazione e la pulsione, sono passaggi costitutivi del risultato percettivo.
Questo modello dovrà però aprirsi all’interazione con l’oggetto, l’oggetto della pulsione, inizialmente sottostimato nella sua importanza di elemento costitutivo della pulsione stessa per la sua sostituibilità o per il bisogno di scientificità allora presente in Freud. In seguito forse sopravvalutato, perché tanto si è parlato di relazioni oggettuali senza sufficiente riferimento alle relazioni soggettuali che sembravano esserne derivate solo di riflesso. Sarà Winnicott (1971) a lavorare la teoria dell’oggetto in relazione alla percezione, con l’importanza da lui accordata al ruolo del rispecchiamento da parte della madre e a sviluppare la responsabilità di entrambi, l’oggetto, ma anche il soggetto, con il concetto di appercezione creativa, cioè la possibilità del mantenimento dell’illusione che il neonato deve poter avere nella percezione del mondo esterno. Ovverossia di percepire di esso quanto e come gli è possibile e nella forma che gli è possibile. E’ questo che permetterà all’infans di sperimentare l’esterno, l’altro, come creato trovato.
Un’ulteriore elaborazione di questo “rivestimento psichico” della percezione ce la fornisce Roussillon (2014), tramite l’integrazione del pensiero di Winnicott con il lavoro delle pulsioni e attraverso il concetto di soddisfacimento allucinatorio del desiderio di Freud, che apre alla “cooperazione” dell’oggetto, se viene inteso non solo come oggetto di scarica della pulsione, ma come un oggetto che è innanzitutto un altro soggetto che coopera anche attraverso il proprio piacere. La pulsione è da considerarsi dunque un sistema aperto, nella misura in cui tale oggetto è sia la rappresentazione interna dell’oggetto sia un peculiare oggetto esterno.
Roussillon a questo proposito propone l’incontro tra oggetto “concepito e allucinato” e oggetto “incontrato e percepito”. Oggetti che devono essere differenziati perché “l’attualizzazione allucinatoria dell’oggetto “concepito” lasci un posto possibile all’oggetto “percepito”, il che solleva la questione delle esperienze che consentono questa differenziazione e questo scollamento. Secondo questo modello l’oggetto contribuisce alla trasformazione della pulsione tramite la richiesta di lavoro che egli impone al soggetto a causa delle sue variazioni: l’oggetto esterno non potrà essere sempre uguale a se stesso e questa variazione ostacola “l’identità di percezione”, che è una delle finalità della pulsione, e la costringe ad un lavoro che conduce alla ricerca di una semplice “identità di pensiero” ”. (Roussillon 2014). L’estrema conseguenza nella ricerca dell’identità di percezione sarebbe invece, come afferma de M’Uzan (1970) l’ostinata ricerca dell’identico. Questo identico è anche l’identico di sé che nella coazione a ripetere si oppone, non solo all’alterità dell’oggetto, ma anche al divenire del processo di soggettivazione. Oltre al lavoro imposto dall’oggetto e dai suoi mutamenti, Green propone di completare il modello freudiano, centrato sull’allucinazione del desiderio, con il lavoro intrapsichico dell’allucinazione negativa, in quanto suo rovescio. Allucinazione negativa che, per lui, si costituisce come struttura inquadrante lo sviluppo del soggetto. Elemento indispensabile questo, per arrivare alla rappresentazione nel momento in cui proprio l’allucinazione negativa costituisce la categoria intrapsichica dell’assenza e l’avvio alla categoria del negativo e alla rappresentazione della non rappresentazione. L’oggetto perduto-ritrovato, è così “assente-perduto nella percezione è ritrovato nella psiche, presente in questa …” (Roussillon 2010, 34).
In Viola, nel corso dell’analisi, prendevano forma sensazioni somatiche connesse alle nuove formulazioni del confine e del senso di esistenza nello spazio, ad esempio quella di avere una massa e di sentire che muovendosi spostava l’aria, ma anche quella molto importante relativa al sentire la propria voce senza provare panico nelle situazioni in cui si pensava percepita dagli altri ( la percezione acustica che viene integrata dall’Io); oppure quella per cui guardandosi allo specchio vedeva subito se stessa e non aveva quel momento di dubbio e confusione in cui le sembrava di vedere la madre ( integrazione nell’Io dello schermo ottico che si costituisce a partire dall’allucinazione negativa della immagine percettiva del volto della madre). Progressivamente arriverà a non doversi più interrogare sulla propria percezione rispetto ad un allucinatorio positivo dominante nella ricerca dell’Identico ( De M’Uzan 1970)
Il lavoro del soggetto si fa al confine
I limiti tra soggetto e oggetto entrano in risonanza e riverberano con i limiti intrapsichici tra Es e Io e Super Io. Se la fluidità e la attraversabilità dell’apparato psichico subisce un irrigidimento e una frammentazione, questa riduce la complessità e l’articolazione che alimenta il lavoro della soggettivazione. Per questo motivo l’analista, deve sempre orientarsi nel doppio limite (Green1990): fra il dentro e il fuori, oltre che fra i sistemi Conscio-Preconscio e Inconscio, il che offre l’adeguato spazio teorico-clinico alle strutture che non sono né nevrotiche né psicotiche. Una affermazione che sottende la complessità del soggetto come unità sopra le parti e le istanze, e una psiche che, già con Freud (1938), è “estesa” anche se di questo “non sa nulla”. Una definizione che tiene presente la vastità e l’estensione dei territori su cui il soggetto si fonda e che considera il soggetto come esposto al mondo interno, quanto al mondo esterno, al reale. Dunque alle prese non solo con l’angoscia di separazione, ma anche con l’angoscia di intrusione. Quanto più, la separazione-perdita che è richiesta al costituirsi del soggetto è impossibile e tanto più essa, quale principale nucleo di incistamento del dolore, può prendere le forme di una depressione primaria nel senso di un disinvestimento radicale, disinvestimento dell’oggetto, quanto del soggetto stesso. Il reale allora si impone, l’interiorizzazione attiva è impossibile o precaria e lo spazio psichico è alienato da forme di incorporazione in cui l’altro-concreto è assorbito senza essere trasformato.
Sappiamo che questo disinvestimento de-soggettualizzante può verificarsi sia per glaciazione del soggetto come risposta alla scomparsa, anche alla scomparsa in presenza dell’oggetto materno mortifero, mi riferisco al complesso della madre morta (Green 1983), sia anche per troppo caldo, come risposta paraeccitatoria di raffreddamento del nucleo fusionale omoerotico, dunque come diniego dell’eccesso di calore (Balsamo 2014). Il destino soggettivo dipende dunque anche dall’incontro con l’oggetto che in ogni caso è coinvolto nel processo identificatorio. Destino che dipenderà dal tipo di identificazioni che il soggetto struttura, dall’identificazione primaria quella in cui è centrale il fatto di essere stati identificati dall’altro, dal desiderio o dal mancato desiderio dell’altro, verso le forme di identificazione più integrate che seguono la costituzione del soggetto (Io identificante) (Aulagnier 1975). Ma, sullo sfondo, un soggetto che è prima di tutto soggetto alle proprie pulsioni che esercitano la spinta affinché la psiche si innesti sul corpo: “Un Io (Je) o un soggetto amputato della sua dimensione pulsionale è un’entità non vivente, meccanica, operatoria e, se ci si tiene, cognitiva.” (Green 2002, 131)
Cooperazione nello spazio intersoggettivo: il soddisfacimento
La funzione simbolizzante dell’oggetto (Roussillon 2014) come anche all’origine le capacità di rispecchiamento e rêverie che la favoriscono, come anche il masochismo erogeno che le sostiene impastando pulsione di vita e pulsione distruttiva, si collocano in uno spazio di cooperazione tra infans e madre, come tra paziente ed analista, dunque tra il soggetto e l’oggetto inteso anche come altro soggetto.
L’insuccesso di questa cooperazione, peraltro già annunciata da Freud nel progetto attraverso la necessità dell’intendersi, comporta una “delusione narcisistica primaria … – provata quando l’oggetto non risponde alle aspettative narcisistiche di base del bambino – che costituisce il nucleo del vissuto melanconico al centro delle patologie del narcisismo” (Roussillon 2014).
Attraverso il masochismo erogeno, il rispecchiamento e la rêverie materne, le sensazioni angosciate-angoscianti proiettate dal bambino (o dal paziente) possono essere trasformate. Ma l’“intendersi” o la cooperazione falliscono se esse vengono assorbite senza nulla restituire o vengono fatte rimbalzare immodificate in una forma inesorabilmente distruttiva o, ancora peggio, se il bambino viene investito in un modo che non comporta la cooperazione al soddisfacimento pulsionale, ma in una forma che permette solo una scarica che lascia quello che Correale (2012) definisce nei borderline un senso di “insoddisfazione smaniosa” .
Ad es. attraverso una componente pulsionale di sola emprise (pulsione di impossessamento) che impedisce ogni forma di soddisfacimento pulsionale (Denis 1997). Paul Denis riprendendo il Freud dei Tre saggi (1905), differenzia l’investimento in emprise e l’investimento in soddisfacimento, dove l’emprise, attiva, serve ad impossessarsi dell’oggetto capace di soddisfare la pulsione, mentre il soddisfacimento necessita di porsi in una relazione attiva-passiva con l’oggetto capace di soddisfarla. L’emprise intesa come in Al di là del principio di piacere (1920), separata e scissa dal soddisfacimento, si pone al servizio della pulsione di morte e impedisce l’interiorizzazione dell’oggetto e delle istanze, che può avvenire unicamente attraverso il ripetersi dell’esperienza di soddisfacimento (Denis 1997, Munari 2014).
Forse alla luce di questo intendersi tra soggetto e oggetto in uno spazio intersoggettivo, dovremmo rivisitare il senso dell’incorporazione, considerando questo meccanismo, sia in senso attivo che passivo, questo al di là di come ci è stato presentato da Abraham. Infatti accanto ad una incorporazione attiva, connessa con la fase sadico-orale, possiamo pensare ad un’incorporazione passiva, in cui tutta la superfice dell’Io esposta alle percezioni, superficie che è luogo di organizzazione del limite in quanto area di elaborazione psichica, può essere violata dall’oggetto attraverso forme di intrusione che possiamo considerare come incorporazioni subite. Questo avviene quando manca una adeguata possibilità, capacità di cooperazione da parte dell’oggetto, attraverso il rispecchiamento e la rêverie, e un prevalere in esso dell’emprise, la necessità di impossessarsi dell’altro come espressione della pulsione di morte. In conclusione, intrusioni troppo scottanti ed esproprianti, di natura trans-psichica (Bolognini 2008) violerebbero e annullerebbero la funzione di frontiera dell’Io attraverso un’incorporazione che viene subita dall’Io, determinando un assorbimento dell’oggetto per incorporazione. Quest’ultima, può costituire nuclei di de-soggettualizzazione, nuclei irriducibili a qualsiasi riconoscimento oggettuale da parte dell’Io, un Io alienato e abitato dall’altro. Da qui, anche, l’esigenza di accreditare il paradigma del soggetto nella sua più ampia estensione, per meglio comprendere l’Io, i suoi limiti, i suoi scotomi, il suo essere alienato(Freud 1938).
Anche le vicissitudini della pulsione di morte dipendono in larga misura dalla relazione con l’oggetto, proprio quando viene a mancare il piacere dell’oggetto inteso come prodotto di un suo impasto pulsionale: “ infatti se una delle funzioni dell’oggetto è di contribuire al legame delle pulsioni, le messe in scacco da parte dell’oggetto possono provocare delle reazioni di scioglimento del legame che favoriscono l’espressione delle pulsioni di distruzione” ( Urribarri 2010).
Bibliografia
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L’intendersi del Progetto si riferisce all’aiuto esterno necessario quando un individuo maturo viene indotto a fare attenzione alle condizioni del bambino ….. Quando il soccorritore ha adempiuto il lavoro dell’azione specifica nel mondo esterno a sollievo dell’impotente questo si trova in grado, grazie a dispositivi riflessi, di compiere immediatamente all’interno del proprio corpo l’attività necessaria a eliminare lo stimolo endogeno. Il tutto poi costituisce un’esperienza di soddisfacimento, che ha le più rilevanti conseguenze nello sviluppo funzionale dell’individuo…… per tale ragione è sul suo prossimo (un essere umano prossimo) che l’uomo impara a conoscere. I complessi percettivi …..sorgono da questo prossimo.
L’oggetto è anche definito da Freud persona cooperatrice che pone attenzione sui desideri e il disagio del Bambino
Si può dire che la percezione corrisponde ad un nucleo oggettuale +un’immagine motoria Mentre si percepisce la percezione, si copia il movimento ……Qui si può parlare di percezione avente un valore imitativo
La tendenza ad imitare nasce durante il processo di giudizio “ la condivisione estesica, il riprodure la mimica vista nel volto dell’altro, è un fenomeno per cui madre e bambino possono rispondersi in eco e quindi iniziare ad esplorare da dentro i movimenti dell’altro, questo vuol dire che l’imitazone corporea costituisce una prima forma di empatia con l’altro.
Quelle che noi chiamiamo cose sono residui che si sottraggono al giudizio e costituiscono la parte non assimilabile del complesso percettivo, l’altra parte è conosciuta dall’Io mediante la sua stessa esperienza e viene denominata predicato, attributo.
Differenza tra piacere-scarica e il soddisfacimento soggettivo derivante dal piacere del legame
L’omosessualità primaria in doppio garantisce quella mutualità, reciprocità, riflessività che rende poi tollerabile la dipendenza e ne lenisce la ferita. Provata dall’Io e perfino l’inermità.