Ascoltare la relazione
Corpo, affetti, musica
Ludovica Grassi
Recenti studi sulle origini della musica (Brown, 2000) hanno portato a formulare l’ipotesi filogenetica di un’origine comune del linguaggio e della musica, due competenze specificamente umane, a partire da un unico precursore, definito musilinguaggio, in grado di utilizzare la voce nella sua doppia valenza di sistema comunicativo emotivo e referenziale. Parallelamente, lo studio delle origini della psiche umana ci porta a individuare il ruolo fondamentale delle componenti musicali nelle esperienze primarie, operative già in epoche molto anteriori a quelle classicamente considerate per lo sviluppo del linguaggio.
Nel 1979 Anzieu sosteneva l’esistenza di uno specchio sonoro e di una pelle audio-fonica che contribuiscono alla costituzione di un sé quale insieme psichico pre-individuale e sono la base dei processi di acquisizione delle capacità di significare e simbolizzare, ben prima della comparsa dei fenomeni di rispecchiamento visivo descritti da Lacan e da Winnicott. Questo “sé-pelle” nasce dal bagno sonoro in cui il bambino è immerso fin dal primo strutturarsi del suo apparato uditivo, fra il primo e il quinto mese di vita intrauterina; dopo la nascita questo ambiente sonoro si arricchisce dei suoni prodotti dal suo stesso corpo, delineando uno spazio sonoro che coincide con la prima immagine (spazio-uditiva) del corpo e andrà a costituire il primo spazio psichico.
La relazione primaria, portata in primo piano dal sofisticato strumento osservativo messo a punto da Esther Bick (1964), recentemente anticipato all’epoca fetale dagli studi ecografici (Ammaniti et al., 2011), è dunque impregnata di ascolto e suono a partire dalla nascita, che di fatto viene annunciata dal pianto del nuovo nato. Di questo pianto Freud ne Il progetto (1895) fa il momento cruciale in cui nasce “la funzione estremamente importante dell’intendersi”: la sostanziale asimmetria fra infans e adulto fa sì che il primo, di fronte al disagio dovuto alla mancata scarica di tensioni prodotte da stimoli endogeni inappagati, possa utilizzare soltanto la via della “modificazione interna”, mentre l’adulto, indotto dal grido del neonato a fare attenzione alle condizioni del bambino, può intervenire con un’alterazione del mondo esterno. Possiamo quindi ipotizzare che l’esperienza di un’associazione fra il grido e questa “azione specifica”, attivando la funzione secondaria dell’intendersi, sia un primo passo nel processo tramite cui l’infans diventerà soggetto. Anche l’esperienza di ascolto di sé come produttore di suoni, così come la percezione propriocettiva dei propri movimenti e posizioni corporee nello spazio, precede di gran lunga la consapevolezza di sé in quanto oggetto visivo dell’altro (rispecchiamento).
Il neonato, che proviene da un mondo fatto di percezioni tattili, propriocettive e acustiche, attutite dall’ambiente intrauterino, nascendo viene bruscamente in contatto con un mondo di luci e immagini, di imponenti variazioni termiche, e poi di spostamenti, suoni in tutto lo spettro delle frequenze, luci che si accendono e si spengono, figure che cambiano e si muovono nello spazio… La sua prima reazione a tutto questo è il pianto, violenta espulsione di aria dalle vie respiratorie, con produzione di vibrazioni sonore che i presenti accolgono come indice della sua buona salute e del suo vigore. Il contatto con l’aria è l’altra grande novità implicata dal venire al mondo, aria che corrisponde alla prima percezione di discontinuità, assente nel mondo liquido del grembo materno. L’aria mette per la prima volta il nuovo essere in contatto con lo spazio infinito e con l’assenza di limiti.
Mentre per la madre l’ascolto del neonato è un’esperienza nuova, forse preceduta soltanto dalla percezione del suo ritmo cardiaco o dei rumori intrauterini evidenziati dagli strumenti diagnostici, il piccolo è già un esperto ascoltatore, che ha alle spalle una ricca esperienza di suoni e ritmi che ormai hanno gettato le basi delle sue strutture psichiche di relazione con il mondo.
In seguito nuovi suoni riempiono lo spazio fra bambino e adulti accudenti. La madre sviluppa una specifica ipersensibilità acustica ai suoni prodotti dal neonato: è noto come, anche se immersa nel sonno più profondo, la madre percepisca ogni minima variazione nel ritmo del respiro del neonato, i suoi movimenti e i suoi cambiamenti di posizione. Anche in queste situazioni si possono costituire legami di senso e relazioni di effetto fra attività fisiologiche dell’infans e messaggi materni o di altre figure dell’ambiente primario.
La propagazione delle onde sonore avviene attraverso lo spazio, favorendo l’apertura del confine lineare e adesivo tra sé e non sé che diventa così un’area in cui può avere luogo l’elaborazione psichica e la transizionalità o, in altre parole, il passaggio dalla bidimensionalità alla tridimensionalità, che differenzia la propagazione della luce (raggi lineari) da quella dei suoni (onde tridimensionali).
La bidirezionalità delle vibrazioni sonore che costituiscono l’involucro sonoro, dotandolo di un versante produttivo oltre a quello recettivo, fa sì che esso possa apparire particolarmente implicato nella nascita del soggetto: anche nell’involucro cutaneo il toccare si associa inestricabilmente all’essere toccato, ma in questo caso vi è una relazione di simultaneità che, come nel fenomeno del toccarsi, sembra più specificamente legata alla dimensione spaziale.
La temporalità è infatti un elemento imprescindibile della soggettività, che probabilmente si abbozza a partire non solo dall’andamento, ritmo e pulsazioni delle vibrazioni e poi dei suoni e silenzi percepiti dall’embrione nell’utero, ma anche dai suoi primi movimenti, in quanto il movimento corporeo consiste di variazioni di posizione nel tempo(1) . Scrive Heidegger: “L’esserci, compreso nella sua estrema possibilità d’essere, è il tempo stesso, e non è nel tempo” (1998, p. 40). Il tempo non è fuori di noi, come qualcosa che ci preesiste e di cui facciamo esperienza, ma è parte integrante della nostra natura di esseri corporei inscritti in una realtà processuale, in continua trasformazione. La musica, definita come arte dei suoni nel moto del tempo (Busoni, 1907), è dunque insita nei processi di nascita psicosomatica.
Busoni osservò: “Ciò che oggi più si avvicina all’essenza originaria della musica sono la pausa e la corona. Il teso silenzio tra due frasi, in tale contesto musica esso stesso, fa presentire molto più in là che non un suono più definito sì, ma appunto perciò meno duttile”. La pausa è un silenzio misurato, un vuoto espressivo e ritmico, tanto più significativo in quanto a volte vi si può appoggiare l’accento della frase musicale (come nel celebre incipit della quinta sinfonia di Beethoven); la corona, al contrario, è l’indefinito, il prolungarsi del suono ad libitum, un elemento musicale che espande l’effetto sonoro di quanto precede, riunendo in sé il senso di ciò che precede e sottolineando l’attesa di quel che seguirà.
Laplanche distingue il tempo percettivo dalla temporalizzazione specificamente umana: il primo è il tempo della coscienza immediata, che Freud mette in rapporto con la percezione e la sua ritmicità, e che quindi riguarda il sistema preconscio-conscio, cioè la possibilità di costruire una storiografia; il secondo è caratterizzato dall’après coup, un movimento traduttivo che “riprende il passato a partire dal presente per mirare a un futuro”, la cui origine riporta sempre a un ‘altro’ interno, inconscio, residuo traduttivo del messaggio enigmatico dell’’altro’ esterno (2002). Eppure è proprio la struttura ritmica delle prime percezioni del feto, fatta anche di vuoti (o pause) che delimitano i pieni, e di sconfinamenti imprevedibili (punto coronato) che non permettono l’abbandonarsi a un ritmo prevedibile, a preparare la strada a quella struttura temporale complessa che marca i processi inconsci, il movimento di après coup.
Cosimo o le aritmie della soggettivazione
All’inizio della consultazione la madre di Cosimo mi dice che “è un bambino nato nel conflitto”, segnalando quelle che in realtà sono opposizioni non integrabili cui il bambino è esposto: padre e madre, separati, che si accusano reciprocamente di “indottrinarlo” o di “plagiarlo”, la città in cui abitano e quella, dei nonni, in cui la madre sta sempre per trasferirsi e da cui il figlio secondo il padre torna trasformato, per la madre l’alternativa posta dal marito “o me o i tuoi genitori”, per Cosimo “o papà o mamma”. Prima ancora della discontinuità, elemento centrale nella narrazione della storia di questo bambino, emerge un costante decentramento del desiderio dei genitori rispetto alla nascita di Cosimo. La madre lo definisce “figlio nuovo e figlio vecchio”: c’è il bambino abortito che, per entrambi i genitori, rappresenta l’esperienza comune di essersi sentiti i figli non amati; e c’è l’intreccio di sensi di colpa e aspettative di punizione che hanno portato la coppia al matrimonio e al concepimento di Cosimo, un “miracolo” ormai insperato, un tentativo di riparazione narcisistica che non ha nulla a che vedere con il desiderio. Ma la riparazione non è mai sufficiente, e Cosimo deve essere il bambino “più amato del mondo” e, in seguito, il più conteso, garante per la coppia di un sempre atteso verdetto sulla loro identità di genitori, (verdetto) che ne usurpa il desiderio.
La discronia e il dislocamento in cui Cosimo è stato generato inaugurano l’esistenza di Cosimo intorno a un nucleo d’impensabilità che non offre le condizioni per creare un ritmo originario da cui possa svilupparsi uno spazio sonoro in comunicazione con l’esterno. Cosimo si è arroccato alla periferia del suo sé, assumendosi una funzione di guardia di frontiera (difese ossessive) sempre all’erta per il pericolo di esplosioni (fobia dei palloncini): molti mesi saranno occupati, all’inizio dell’analisi, dall’esplorazione dell’ambiente e del materiale di gioco, che può essere utilizzato soltanto con finalità classificatorie, e con un’attenzione ossessiva a rimettere tutto a posto, come per cancellare ogni traccia del suo passaggio. Assentandosi costantemente per andare in bagno, Cosimo mi ripropone, in un transfert-controtransfert molto concreto, le cesure e il vuoto su cui è appoggiata la sua esistenza. In tali condizioni, la scissione è per lui una necessità, come ha espresso suscitando lo stupore della madre: “ho fatto tanto per farvi separare!” Successivamente sembra che qualcosa cominci a muoversi: ha inizio una lunga serie di sedute occupate dai preparativi di un gioco o di una rappresentazione che non ci sarà mai tempo di attuare, una cornice o un involucro spazio-temporale per quel nucleo impensabile e silenzioso, che occupa il centro di sé impedendo l’avvio dei processi di soggettivazione, ma la cui esistenza forse può cominciare ad essere intuita e protetta.
Dal rumore imprevedibile e terrorizzante dello scoppio dei palloncini, che lo costringe a evitare situazioni di festa per bambini, Cosimo in seduta passa a usare la propria voce per riempire tutto, senza lasciarmi alcuno spazio per intervenire. Con la voce del padre, della maestra, della marionetta Fiocchetta e mia, Cosimo diventa l’altro, di cui imita perfettamente le intonazioni e l’accento, le predilezioni ed errori lessicali, gli intercalari tipici: il problema è che non si tratta di un gioco, ma di una vera e propria possessione, o identificazione alienante, in cui mi è tassativamente proibito rivolgermi al bambino Cosimo. Mi trovo immersa in un bagno sonoro che non ha nulla di confortante e contenitivo, ma mi violenta, paralizza e annichilisce, coartando ogni mia possibile emergenza creativa. Il suono e la voce hanno assunto caratteristiche persecutorie, feriscono con la loro materialità, non permettono l’aprirsi di uno spazio di transizione e la nascita di un pensiero. Manca, come probabilmente è stato per lui, quella pausa, o vuoto significante, che Busoni indicava come elemento chiave della musica e che, alle origini della psiche, costituisce il distacco, la discontinuità che permette la nascita di un movimento psichico e, nello sviluppo successivo, corrisponde all’assenza da cui hanno origine il simbolo e la comunicazione.
Solo più tardi Cosimo scoprirà il messaggio confortante, che il suono può trasmettere, della presenza dell’altro: dopo due anni di lavoro comincia a riprodurre ritualmente, all’apertura delle sedute, una situazione di scollamento fra sguardo e ascolto, richiedendomi di non vedere una marionetta che utilizza come portavoce, mentre mi dà la possibilità di avvertirne l’approssimarsi dal rumore che essa produce con i suoi passi. Forse questa dissociazione fra i sensi utilizzati per dare significato a un incontro riproduce una situazione originaria in cui la componente fonemica dell’esperienza costituisce lo stimolo di base per la nascita della psiche e per i primi tentativi di decodificare la realtà, confermando l’affermazione di Anzieu (1979) per cui “l’acquisizione del significato prelinguistico (del grido e poi del balbettio) precede quello del significato infralinguistico (della mimica e della gestualità)”.
Riflessioni conclusive
L’enorme impatto della sensorialità e della corporeità sui processi originari può stimolarne la ripresa quando, come nel caso di Cosimo, una nuova relazione, basata su processi di transfert e controtransfert, e su un’organizzazione spazio-temporale specifica quale quella che caratterizza il setting psicoanalitico, rimette in movimento quella oscillazione tra fusione e discriminazione che caratterizza l’insieme esperienziale, rappresentativo e comunicativo costituito dal neonato e dai suoi genitori. L’espressione “ombra parlata”, che la Aulagnier (1975) usa per descrivere il nascituro, cui viene preparato uno spazio specifico perché il suo Io “possa avvenire”, sembra sottolineare sia l’aspetto visivo, in negativo, sia quello uditivo, al passivo, che sono presenti prima ancora che il bisogno fondamentale della psiche nascente di metabolizzare l’eterogeneo si attivi nelle forme originarie della rappresentazione. L’ombra, come il punto coronato in musica, rappresenta l’estendersi della soggettività materna dove quella del figlio è ancora lacunosa e caratterizzata da vuoti che, in quanto elementi ritmici e musicali, corrispondono all’attesa e sono destinati a confluire in un ritmo vitale centrato, appunto, sul soggetto. Nel caso di Cosimo, ci sono stati dei vuoti e delle lacune che hanno perso il loro carattere dinamico diventando vuoti irrecuperabili dalle funzioni trasformative e rappresentative oppure pieni occlusivi e non metabolizzabili.
Gli studi sul motherese, il linguaggio utilizzato dagli adulti per rivolgersi ai lattanti, dimostrano che è la specificità del suo ritmo, melodia e prosodia (dimostrabile con analisi strumentali) a svolgere un ruolo cruciale nello sviluppo della reciprocità nella relazione primaria, attivando l’iniziativa sociale del bambino che a sua volta fa nascere e conferma l’identità genitoriale, tanto incerta nei genitori di Cosimo. Il suono, dai rumori corporei alla voce e a tutto il complesso degli elementi della musica, ha un ruolo centrale come strumento di legame con l’altro nelle fasi originarie della psiche, caratterizzate dall’intersoggettività e dall’indisgiungibilità della psiche dal soma.
Nota
(1)Il linguaggio stesso è movimento del corpo prima di diventare rappresentazione della mente, per la capacità, forse innata, d’integrazione trans-modale dell’informazione sensoriale.
Bibliografia
Ammaniti M., Mazzoni S. e Menozzi F. (2011). Cogenitorialità e gravidanza: studio ecografico. Interazioni. 2-2011/34
Aulagnier P. (1975). La violenza dell’interpretazione. Dal pittogramma all’enunciato. Roma: Borla, 1994
Anzieu D. (1979). The Sound Image of the Self. Int. R. Psycho-Anal. 6: 23-36
Bick E. (1964). Notes on Infant Observation in Psychoanalytic Training. Int. J. Psycho-Anal. 45: 558-566
Brown S. (2000). The “Musilanguage” Model of Music Evolution. In Wallin N. L., Merker B. & Brown S., The Origins of Music. Cambridge: MA, The MIT Press
Busoni F. (1907). Cenni di una nuova estetica musicale. Harmonia. Roma: ottobre 1913
Freud S. (1895). Progetto per una psicologia. O.S.F. 2
Grassi L. (2013). Dimensione sonora e ritmica nella strutturazione psichica e nel lavoro analitico. Rivista di Psicoanalisi. 1-2013/59
Heidegger M. (1924). Il concetto di tempo. Milano: Adelphi, 1998
Laplanche J. (1999). Tra seduzione e ispirazione: l’uomo. Bari-Roma: La Biblioteca, 2002
Laznik M-C (2012). Con voce di sirena. Editori Internazionali Riuniti