Di fronte a una personalità e a una biografia articolate e complesse come quelle di Enzo Morpurgo mi sembra opportuno, per evitare di precipitare in una sintesi affrettata, analizzare le componenti della sua formazione e le vicende della sua storia personale e sociale.
La genealogia ebraica
Enzo Morpurgo nasce a Casale Monferrato nel 1920 da genitori ebrei osservanti . Gli viene impartita una educazione religiosa per quanto riguarda le prescrizioni fondamentali e, pur non essendo credente, rimarrà sempre legato alle radici ebraiche, di cui era orgoglioso. Di quella tradizione condivideva, come vedremo, il senso storico e lo stile intellettuale.
Non credo sia possibile valutare quanto della personalità e della psicoanalisi di Morpurgo, intesa come teoria e come prassi, siano state influenzata dalla sua discendenza ebraica perché, come scrive Freud nel 1936, in occasione della morte di un collega inglese: “Eravamo tutti e due ebrei, e tutti e due sapevamo di avere in comune qualcosa di miracoloso – rimasto fin qui inaccessibile all’analisi- che è la caratteristica dell’ebreo ” ( M.Robert, Da Edipo a Mosè, p.31)
“La cosa misteriosa “che fa l’ebreo”, commenta acutamente la sua biografa Marthe Robert, e che si sottrae a ogni specie di analisi ….si manifesta prima di tutto in una certa qualità del rapporto umano….” (ivi, p. 35). Non credo però che lo “spirito ebraico” debba essere inteso come una imponderabile essenza, ma come il risultato di secolari esperienze di vita, di pensiero, di pratica religiosa che influenzano le relazioni con se stessi e con gli altri.
E , proprio sulla “qualità del rapporto umano” , che Morpurgo sapeva instaurare, vorrei soffermarmi un momento in quanto amica e ospite alla sua tavola.
Un tratto particolare delle ricorrenti cene in casa Morpurgo era appunto, come molti potrebbero testimoniare, la capacità e il piacere dell’incontro conviviale. Le cene, offerte da Enzo e dalla moglie Valeria, si distinguevano rispetto a quelle consuete a Milano, “città delle fretta” , per l’elevata qualità degli ingredienti ( indimenticabile un enorme branzino al forno) , l’accurata preparazione e presentazione degli alimenti , l’ eleganza dei tessuti e del vasellame, il modo di apparecchiare la tavola e di servire le vivande secondo una tradizione di famiglia scandita da una ritualità al tempo stesso prossima e remota. La conversazione accesa, impegnata, mai banale, le rendeva una esperienza intellettuale oltre che gastronomica. Spesso, prima di lasciare la sala da pranzo per recarci in soggiorno, eseguiva un intermezzo musicale: Enzo sedeva al pianoforte esibendosi in brani di musica classica e contemporanea. Il suo stato d’animo era tale da riportarmi alla memoria un commento che il giovane Freud scrive alla fidanzata Martha: “l’ebreo è per la gioia e la gioia è per l’ebreo”. Gioioso era infatti il suo modo di accogliere, nutritivo il suo affetto, comprensivo il suo ascolto, aperta la fiducia di essere apprezzato e ricambiato. Credo che il peggior peccato fosse per lui l’ingratitudine, il consumo indifferente dei suoi doni, che non chiedevano di essere ricambiati ma compresi.
Questo è il Morpurgo che ho conosciuto e frequentato più volte nella sua casa.
Oltre al gusto di una accoglienza ospitale e conviviale, l’educazione ebraica di Morpurgo si ritrova nell’attenzione alle relazioni, agli affetti, ai sentimenti, alle emozioni che li animano. I rapporti interpersonali, costantemente messi in gioco e monitorati, non erano mai dati per scontati. La sua amicizia era un riconoscimento, non una consuetudine.
Ma gli effetti della sua discendenza non si limitano alla vita privata. Possiamo individuarli anche in una certa incollocabilità rispetto alle istituzioni e in un modo “obliquo” di lasciarsi intercettare dalle questioni senza né farvi velo né adeguarsi pienamente, posizione che come osserva il suo allievo Adriano Voltolin, consente di farsi interlocutore, di “porre domade alla Sfinge”. (Elogio della Psicoanalisi, p17) . Secondo il noto apologo, a un ebreo che saluta un amico dicendo: “vado lontano” , quest’ultimo risponde ” lontano da dove?”.
Membro a tutti gli effetti della Società di Psicoanalisi (SPI), non ha mai richiesto né gli è stato offerto, benché lo meritasse con indiscutibile evidenza, il titolo di didatta così come non gli è stato concesso, da parte dell’Università, il riconoscimento dovuto ai suoi studi e alle sue capacità di insegnamento. Egli rimane , con un certo rincrescimento non privo di orgoglio, una personalità trasversale rispetto agli ambiti culturali e sociali che pure frequenta da protagonista. Nel suo animo questo situarsi dentro e fuori le istituzioni si riflette in una esperienza di solitudine esistenziale che non ha nulla a che fare con quella sociale.
La definirei, citando un libro di Françoise Dolto, una “solitudine felice” , benché velata di malinconia. Lui, così cordiale, così capace di vivere in compagnia, di accogliere e incoraggiare gli altri, si sentirà spesso solo e incompreso. Come solo gli artisti sanno esserlo.
Dalla tradizione ebraica gli deriva anche il rispetto per il testo, per la lettera del testo, ( pochi conoscono quanto lui le opere di Freud e di Marx e sono in grado di citarle a memoria ), e pochi come lui sanno apprezzare ed esercitare la finezza dell’interpretazione.
Infine vorrei ricordare la sua capacità di risolvere i conflitti psichici con “motti di spirito” che ,nella scrittura, prenderanno la forma di epigrammi, una modalità tipicamente ebraica di sciogliere le tensioni nella catarsi della battuta fulminea, l’unica capace di dire la verità senza ferire, senza ferirsi.
L’esperienza psichiatrica
Dal 1944 al 1946 Morpurgo, laureato in medicina, si specializza in Neuropsichiatria, segue nel frattempo, ricerche di neuropsicologia e si perfeziona nella pratica della narcoanalisi. Nel 1949 lascia l’Università e, pur continuando a svolgere ricerca, inizia a lavorare presso l’Ospedale di Niguarda ove instaura una preziosa amicizia con Elvio Fachinelli.
Negli anni cinquanta partecipa agli studi di psicologia della scienza, di semeiotica, cibernetica e filosofia. E si avvicina a Musatti che, pur nel dissenso, considererà sempre un Maestro. Negli anni sessanta inizia l’attività privata come psichiatra e psicoanalista.
Nei dieci anni di attività ospedaliera, Morpurgo, che lavora, con Fachinelli, al pronto soccorso ( reparto Neurodeliri) dell’Ospedale Niguarda, incontra la miseria sociale e la sofferenza mentale dei degenti psichiatrici. Un impatto forte e duraturo che gli consentirà di apprezzare la psichiatria esistenzialista e di far proprio l’ afflato ideale e la comprensione della follia che essa esprime. Si tratta di una concezione della follia intesa, non tanto come patologia, quanto come forma di vita.
Una concezione romantica, stigmatizzata dai suoi detrattori come troppo astratta e teorica , che Morpurgo rende concreta e combattiva grazie alla sua , per dirla con Gadda, ” cognizione del dolore”.
Per lui non è tanto importante rivalutare la follia quanto liberare la coscienza infelice, portatrice di un potenziale critico e trasformativo , implicito nel malessere sociale.
Malessere che trova nella classe operaia i suoi attori sociali e ,nei malati mentali, le vittime designate dello sfruttamento capitalistico.
” Usare l’infelicità per trasformare il mondo… Far scoppiare attraverso la prassi le contraddizioni della società” sono dichiarazioni che rivelano il senso ultimo del suo operare al tempo stesso terapeutico, sociale e politico.
Più che il disagio borghese, che pure ascolta e cura, gli sta a cuore la sofferenza dei lavoratori che sperimentano , nel lavoro di fabbrica, tanto la propria alienazione quanto un possibile riscatto.
Compito della psicoanalisi, sostiene Morpurgo, è risoggettivare un individuo reificato in sintonia con un più vasto processo politico di liberazione dall’alienazione e dallo sfruttamento del lavoro.
E’ in questo ambito, sociale e politico, che Morpurgo innesta la psicoanalisi freudiana di cui riprende il lascito storico collegandosi: all’esperienza dei Policlinici psicoanalitici degli anni 20, alla vicenda personale e storica di Reich ( espulso per le sue idee eterodosse ed eversive sia dal Partito Comunista sia dalla Società di Psicoanalisi) e infine alla Scuola di Francoforte , con cui condivide la critica delle formazioni ideologiche psichiche e sociali.
Vorrei inoltre ricordare che Morpurgo è stato l’unico a rivalutare l’apporto di Adler e della sua Scuola, considerato come un “minorato” dalle istituzioni psicoanalitiche prevalenti. Nel clima della contestazione antiautoritaria il rapporto tra il marxismo e la psicoanalisi diviene un tema ineludibile. E differenti saranno, all’interno della sinistra psicoanalitica, le posizioni assunte dai suoi membri. Mentre Musatti intende separare il discorso marxista da quello psicoanalitico che, a suo dire , ” non hanno nulla a che fare” , per Morpurgo ” marxismo e psicoanalisi non sono discorsi ma prassi trasformative ” e, lungi dall’essere disconnesse, funzionano in modo convergente e sinergico.
Dopo Marx, Freud e Nietzsche, osserva Morpurgo, la coscienza non può più essere né primaria né irrelata. E più oltre: ” Sembra che una caratteristica fondamentale dell’incontro-scontro marxismo-psicoanalisi (il loro comune destino) sia l’oblio”.
Una previsione, formulata nel 1975, che la storia della psicoanalisi si incaricherà purtroppo di confermare.
Psicoanalisi e società
Per Morpurgo la psicoanalisi non è soltanto un metodo di cura del malessere individuale ma anche una interpretazione critica del mondo. A questo scopo è necessario, come sostiene in quegli anni Mario Spinella, “portare avanti il suo nucleo eversivo” cogliendo il bisogno di una terapia nuova che parta dalle masse.
Ed è quello che la storica esperienza di Niguarda intendeva realizzare. Il progetto si concretizza , dopo due anni di complessa elaborazione, nel 1969 e si conclude dopo cinque anni nel 1974.
In quella prospettiva l’esperienza del Consultorio di Niguarda si svolge su due piani.
Il primo, riformistico, consiste nell’offerta di una psicoterapia gratuita per ovviare allo scontento, registrato dalla cultura di sinistra, nei confronti delle cure organicistiche con cui la psichiatria , di matrice positivista, cercava di attutire il malessere sociale. Detto un po’ brutalmente: farmaci e manicomio.
Il secondo livello, più alto, si propone di svelare l’alienazione che si nasconde della cosiddetta “normalità” . Si tratta allora, come scrive una protagonista di quella esperienza, Mirella Curi Novelli, non solo di proporre soluzioni terapeutiche, ma di esplorare il modello di organizzazione sociale riconoscendo , nella divisione in classi e nell’organizzazione del lavoro, le cause dell’alienazione e della malattia mentale. (p.53)
In quei frangenti Morpurgo, che si espone coraggiosamente alle contraddizioni dell’epoca, si trova ad affrontare tre dinamiche : la critica che la cultura di sinistra rivolge alla psicoanalisi, intesa come ideologia borghese; le lotte della cosiddetta Antipsichiatria per infrangere la segregazione dell’istituzione manicomiale; i tentativi della psicoanalisi istituzionale di preservare la propria neutralità di fronte alle richieste del Movimento studentesco affinché prenda una precisa posizione politica . Con pochi altri, Morpurgo si rivelerà capace di elaborare una convergenza di questi conflitti convincendo il Partito Comunista che la Psicoanalisi è tutt’altro che una proposta reazionaria e conservatrice; mostrando come una psichiatria veramente liberatrice richieda di abbattere, non solo le barriere sociali esterne che provocano e perpetuano la follia, ma anche quelle interne, psichiche, caratteriali che imbrigliano le energie vitali delle masse.
Negli anni ottanta , la psicoanalisi italiana viene investita dal vento del lacanismo che spazza via le tentazioni, provenienti dalla interpretazione americana della Psicologia dell’Io. Hartamann e la sua scuola propongono, come si sa, una teoria pacificata, ove l’apparato psichico viene depurato dai conflitti, e una prassi adattiva, che offra al paziente rassicurazione e integrazione sociale. Quella che Fachinelli liquiderà come “psicoanalisi della risposta”.
In quel decennio la Psicoanalisi lacaniana si diffonde, anche attraverso i grandi convegni organizzati a Milano da Verdiglione, tra i giovani e gli intellettuali, attirando una generazione che, dopo le grandi speranze della contestazione, sta sperimentando la crisi della politica. Masse di giovani si accalcano per ascoltare i guru del momento, tra cui, nell’Italia Centrale, Massimo Fagioli, cui si rivolgono attese di salvezza e di appartenenza che sollecitano tentazioni settarie.
E’ in questo clima che Morpurgo fonda Psicoterapia critica, una associazione laica, aperta, critica, del tutto avulsa dalle suggestioni della psicoanalisi spettacolare. Il gruppo che la costituisce prosegue la riflessione sui temi emersi dall’esperienza di Niguarda e, al tempo stesso, offre a studenti e giovani operatori aggiornamento culturale e formazione professionale.
Durante incontri periodici vengono messi a punto nuovi strumenti di sensibilizzazione, relazione e osservazione, come l’addestramento al primo colloquio attraverso forme di simulazione , condivisione e discussione collettiva. Oltre a conferenze e dibattiti, nel 1980 viene organizzato un importante Convegno internazionale su ” Psicoanalisi tra scienza e filosofia” che riprende quello del 1977 “Psicoanalisi e classi sociali”.
Morpurgo attuale e inattuale ?
Credo che Morpurgo sia inattuale perchè è profondamente mutato il mondo rispetto a quello che lo ha formato e in cui ha pensato e operato. La sua attività si è svolta soprattutto nel decennio 70-80, in anni carichi di contraddizioni ma anche di proposte e di promesse.
La critica delle ideologie era animata e giustificata dalla forza delle ideologie, capitalistiche e anticapitalistiche, in contrapposizione dialettica tra loro. Ora invece assistiamo a un’epoca che si contraddistingue per il ricorso al prefisso “post” , come se fossimo sopravvissuti a noi stessi. Anche parole, un tempo cariche di significato e di senso, risultano obsolete , aridi reperti di un universo scomparso. Eppure Enzo Morpurgo, grazie al lascito che ci ha trasmesso attraverso la vita, la prassi e il pensiero, è ancora attuale perché attuali sono le grandi questioni che ha saputo individuare e affrontare, così come è attuale il disagio della civiltà cui apparteniamo.
Se riusciremo a recuperare e a riproporre il suo pensiero e la sua esperienza, potrà aiutarci a leggere il presente e a individuare un futuro possibile e desiderabile.
Come sottolinea Sergio Marsicano, l’ utopia che regge il suo cammino non è mai quella del compimento, del Sé reintegrato, dell’Io ricomposto, del disagio definitivamente superato.
Si tratta piuttosto di dare all’analisi, non solo una fine, intesa come compimento e termine del lavoro di cura, ma anche un fine, rappresentato da un orizzonte storico di liberazione, degno della nostra umanità.