La prima ipotesi del lavoro di De Masi è che i pazienti borderline sono pazienti “senza inconscio”. La distinzione tra inconscio freudiano dinamico-rimotivo e inconscio emotivo bionianamente inteso come funzione inconsapevole della mente che permette la comprensione delle emozioni, chiarisce meglio quest’ assunto. L’ “inconscio emotivo” potrebbe anche definirsi come “conosciuto non pensato” (Bollas 1987) o come funzione riflessiva della mente che permette di capire lo stato mentale proprio ed altrui (Fonagy 2001).Il “trauma emotivo” (concetto mutuato in parte da Masud Khan) è all’origine del deficit di sviluppo dell’ “inconscio emotivo” del paziente. Il concetto di “trauma emotivo” così come De Masi lo ha descritto nel suo lavoro di oggi e, più estesamente, nel suo recente libro “Lavorare con i pazienti difficili” (2012), fa pensaread alcuni noti esperimenti sulle interazioni precoci tra madre e bambino.
Quando la madre smette di rispecchiare con il suo volto e la sua espressività non verbale le emozioni del bambino e diventa indifferente, il piccolo comincia gradualmente ad essere sempre più eccitato tentando, con l’agitazione motoria, di richiamare in ogni modo l’attenzione emotiva dell’oggetto.Il deficit di sviluppo dell’inconscio emotivo-ricettivo dovuto spesso nei borderline a traumi precoci e violenti, inficia spesso la capacità di sognare di questi pazienti. Nel caso di Emma, descritto nel lavoro, la paziente sembra sognare in modo molto concreto la memoria del trauma subito dalla propria psiche e la sua risposta violenta e controaggressiva.Winnicott in “ Il Bambino deprivato ”(1986 ) illustrò la terapia di una bambina cleptomane di otto anni e descrisse, nel vivo dell’incontro clinico, la stato mentale di “dissociazione” della piccola paziente (“dissociazione” definita come un meccanismo di disintegrazione parziale del Sé). In questi casi il lavoro terapeutico andava fatto, secondo Winnicott, in un area che si trova tra il conscio e l’inconscio e che nelle persone normali è occupata dalla vita culturale mentre, nei disturbi del carattere, è una area inconsistente, una fuga verso il sogno che non si ricorda.
L’autore distinse lo spazio transizionale come area creativa sana che promuoveva lo sviluppo del Sé potenziale, dall’uso psicopatologico che talora il bambino poteva fare di questa area intermedia. Il piccolo che stava sviluppando un disturbo del carattere, affermò ancora l’autore, poteva fare diverse cose: nascondere agli altri e a se stesso il suo disagio comportamentale, avere il senso costante di aver subito un torto, specializzarsi nei sogni ad occhi aperti e nelle bugie, rifugiarsi nell’attività masturbatoria cronica, sperimentare un senso d’irrealtà.La mia opinione è che lo stato dissociato della mente ( descritto da Winnicott come difesa dall’impingment) potrebbe avvicinarsi al concetto di struttura psicopatologica che si sviluppa a seguito di un trauma emotivo precoce .
Del resto nel suo libro “Vulnerabilità alla psicosi” (2006) De Masi aveva già colto e descritto questo nesso. Nella tecnica analitica con i pazienti borderline (e non solo), De Masi sottolinea quanto sia importante lavorare sulla consapevolezza delle strutture psicopatologiche descrivendole dettagliatamente al paziente. Ad esempio Lucia, una giovane donna borderline in analisi con me, sta migliorando molto da quando abbiamo individuato una voce distruttiva che la spinge a bere, procurarsi ferite e pensare di farsi fuori tagliandosi la gola. Inizialmente Lucia non riusciva a collegare alcun evento mentale ai momenti di perdita di controllo seguiti da agiti autolesivi, se non un bisogno aspecifico di scaricare la tensione. Da quando è diventata consapevole dell’esistenza di una voce interna che, in presenza di frustrazioni emotive, propaganda la sua autodistruzione proponendole di essere una persona che sbaglia sempre e che si deve punire violentemente, è diventata capace di contenere gli agiti e talvolta anche di fermarli.Nella sua seconda ipotesi di lavoro De Masi descrive anche il fatto che il paziente borderline fa un uso eccitante della rabbia.
Quest’ ultima riaccende la ferita narcisistica precoce e riattualizza il legame sadomasochistico con l’oggetto alimentando gli agiti autolesivi e creando circoli viziosi mentali che rendono il paziente prigioniero del suo stesso trauma.Tornando ancora a Winnicott occorre precisare che egli già a suo tempo colse il rapporto tra frustrazione rabbia ed eccitazione ma attribuì a quest’ultima un potenziale di speranza e di richiesta d’aiuto.Per De Masi, invece, l’uso eccitante della rabbia è un fenomeno psicopatologico ed il vincolo sadomasochistico con l’oggetto ostacola lo sviluppo e impantana il paziente nella situazione traumatica, come è ben descritto dal caso di Carmen.In conclusione la mia impressione è che De Masi ha elaborato un modello originale di approccio e di ricerca ai pazienti borderline. Egli, a mio parere, è partito da una concettualizzazione squisitamente post-kleiniana ma non ha dimenticato l’insegnamento winnicottiano.La sua tecnica prevede commenti, descrizioni e decostruzioni più che interpretazioni in senso classico e simbolico (essendo, peraltro, questi pazienti notoriamente carenti della capacità di mentalizzare).
BIBLIOGRAFIA
Bollas C. (1987) L’ombra dell’oggetto Borla, Roma.
De Masi F. (2006) Vulnerabilità alla psicosi Cortina Editore, Milano.
De Masi F. (2012) Lavorare con i pazienti difficili Bollati Boringhieri , Torino.
Fonagy P., Target M.(2001) Attaccamento e funzione riflessiva Cortina Editore, Milano.
Winnicott DW (1986) Il bambino deprivato Cortina Editore, Milano.