Shaping the mind: transformative power of psychoanalytic reverie
Il corpo è spesso il narratore di sensazioni che non possono essere pensate consciamente, tanto meno espresse in parole. Ci sono patologie, come i gravi disturbi del comportamento alimentare, in cui il corpo sembra aver smarrito il suo potere metaforico e la mente la sua capacità di trasformare, metaforicamente, l’esperienza, tanto da fare dell’anoressia un sintomo muto in cerca di un significato. In questi casi in cui l’esperienza corporea ha perduto il suo valore simbolico e la sua dimensione strutturante e organizzante, “il corpo in quanto tale” (Gill,1994) può diventare il contenitore di esperienze non mentalizzate, una terra abbandonata nella quale la sofferenza sembra mendicare le parole.
In questo lavoro parlerò di un caso clinico in cui il corpo domina la scena per mezzo di un sintomo che comunemente si definisce anoressico.
Cercherò di evidenziare come uno dei problemi specifici del trattamento di questa paziente risieda nella sua apparente incapacità di accedere ad una funzione metaforica della mente, intesa non soltanto come la struttura di base di una funzione cognitiva, ma come la struttura fondante del processo psicologico inconscio. Mostrerò anche come questa incapacità a pensare metaforicamente si colleghi a una carente funzione riflessiva della sua mente che le permetta di sentirsi “soggetto” di quello che le accade: al contrario, la sua riflessività sembra funzionare esclusivamente come riflessività oggettivante. C’è il corpo che ho, ma non il corpo che sono. Alcune riflessioni teoriche aiuteranno poi a comprendere come questo deficit di funzionamento simbolico e di pensiero riflessivo si possa collegare alle caratteristiche marcatamente disfunzionali di un ambiente primario la cui principale caratteristica consiste nel fallimento della sintonizzazione affettiva; un fallimento che implica per il bambino un deficit della funzione di regolazione degli affetti e che legail bisogno di sicurezza a modalità concrete, interferendo pesantemente con i processi di simbolizzazione.
Vedremo anche come, in conseguenza di questo, l’inconscio della paziente sia rimasto intrappolato in un corpo che non ha parole e come questo abbia messo alla prova lo strumento analitico. Molto del lavoro preliminare a un vero e proprio lavoro analitico è stato infatti impegnato a stimolare un pensiero autenticamente riflessivo. La funzione analitica della mente, a partire da una mia improvvisa reverie in seduta, ha permesso di attivare un lento lavoro di ri-simbolizzazione, inizialmente solo nella mia mente, poi lentamente visibile anche nel pensiero della paziente, pensiero che, come vedremo, era paralizzato dalla necessità di sbarrare la strada all’intrusione dell’Altro per mezzo del costituirsi di un corpo/mente-fortezza impenetrabile.
L’uso psicoanalitico della reverie, intesa come una forma largamente intersoggettiva di rappresentazione dell’esperienza inconscia del paziente e dell’analista, attiva il processo per mezzo del quale l’esperienza inconscia può essere espressa verbalmente in forma simbolica sotto forma di metafore; metafore che rendono possibile rappresentare a se stessi i propri aspetti inconsci. Le immagini/metafore, che di quando in quando mi sono venute alla mente nel corso della terapia con la paziente, hanno funzionato un po’ come il materiale di gioco nell’analisi dei bambini: oggetti per mezzo dei quali dare forma alla mente.
Often the body is telling about sensations that cannot be thought consciously, let alone be put into words. There are some pathologies, such as severe eating disorders, in which the body seems to have lost its metaphoric power and the mind its capacity to transform, metaphorically, the experience, so much so that anorexia becomes a mute condition looking for meaning. In these cases, where the body experience has lost both its symbolic value and its structuring and organizing dimension, “the body as such” (Gill,1994) can become the container of not-mentalized experiences, a forlorn land where suffering seems to be begging for words.
In this paper I am going to talk about a clinical case in which the body dominates the scene through a symptom which would usually be defined as anorexia.
I will try to emphasize how one of the specific issues in treating this patient is her apparent inability to access the metaphorical function of the mind, understood not only as a basic structure of cognitive function, but as the founding structure of the unconscious psychological process. I will also show that this inability to think metaphorically is connected with a lacking reflective function of her mind which would allow her to feel herself as a “subject” in relation to what happens to her. Quite the opposite, her reflective function seems to work only as a way of “objectifying” reflectiveness. There is the body I have, but not the body I am. Some theoretical thoughts will help us understand how this deficit in the symbolic functioning can be connected with markedly dysfunctional features in her early relational context. We will also see how, consequently, the patient’s unconscious has been trapped in a wordless body and how this has challenged the analytic device. The analytic function of the mind, initiated by a sudden reverie I had during a session, allowed us to activate a slow process of re-symbolization, initially just in my mind and then slowly visible in the patient’s thought.
The analytic use of reverie, as a largely inter-subjective form of re-presentation of the unconscious experience of analyst and patient, enables the process by which unconscious experience is made into verbally symbolic metaphors that re-present unconscious aspects of ourselves to ourselves. The images/metaphors that from time to time have come to my mind during the sessions with my patient have worked as the game material in child analysis: objects with which shaping the mind.