Centro Psicoanalitico di Firenze
Sabato 4 maggio 2013
Seminario in collaborazione con AFPP, AMHPIA, SIPP
Una dimensione istituzionale del controtransfert: il transfert sulle teorie e i suoi rimedi
Report
A cura di Antonella Sessarego
Uno dei principali problemi che ci accompagna questa primavera è la grande incertezza del tempo, così da dover cambiare, anche all’ultimo momento, programmi e progetti in ragione di un mutare repentino delle condizioni atmosferiche. Sabato 4 maggio, a Firenze, era una bellissima giornata di sole, a Montedomini, nella Sala del Giardino d’Inverno (nome che sembra colto dalla letteratura ed evoca romanzi russi ed incontri clandestini), si svolgeva il secondo degli ormai tradizionali Seminari organizzati da alcuni anni dal CPF insieme ad altre Associazioni.
Invitato d’eccezione era Giovanni Foresti, collega SPI, psichiatra di grande esperienza, più volte ospite a seminari ed eventi a Firenze ( lo ricordo a Buio in Sala con interventi sempre vivaci ed apprezzati). Il tema non si presentava di facile ascolto, incentrato sull’importanza dei fenomeni gruppali e la necessità di nuovi strumenti metodologici, ma la grande esperienza e la padronanza dell’argomento gli hanno consentito di svolgerlo con scioltezza, anche nei passaggi più ardui, con numerose citazioni ed interessanti esemplificazioni del suo lavoro con i gruppi.
Il secondo relatore della giornata, Vittorio Vandelli, ha presentato un proprio modello di tecnica di psicoterapia psicoanalitica di gruppo, arricchito da una vignetta clinica. A fine mattinata ha parlato Mario Rossi Monti, presidente del CPF, che prendendo spunto dalla clinica border ha in qualche modo rovesciato i termini della questione. La convinzione che le nuove forme sintomatologiche presenti oggi siano in stretta correlazione con una società, anch’essa borderline, deve farci chiedere se non stiamo correndo il rischio di trattarle come materiali senza qualità, privati cioè di una connotazione simbolica, come frutto esclusivamente di una sorta di processo degenerativo in atto nella società occidentale.
L’uditorio ha conservato un forte interesse e partecipazione per tutta la mattinata, testimoniato anche dalle domande ai relatori, che generosamente non si sono sottratti ed hanno vivacemente interagito.
Questa mattinata si è presentata comunque legata in filo diretto all’appuntamento precedente, quello di Maggio, con Renè Kaes ed Anna Ferruta, che si erano interrogati su ciò che può oggi la psicoanalisi di fronte al malessere psichico delle società ipermoderne e quali sono i cambiamenti della clinica di fronte alle nuove forme di sofferenza psichica dove i limiti del singolo vengono sorpassati. Ci dobbiamo quindi occupare dei rapporti che intercorrono tra lo spazio psichico del soggetto, lo spazio dei legami intersoggettivi e lo spazio psichico proprio delle configurazioni psichiche dei gruppi, delle famiglie e delle istituzioni.
Temi ricchissimi di connotazioni teoriche, ma il merito di queste mattinate è stato soprattutto di cogliere interrogativi vivi e condivisi nel lavoro clinico.
Quanto siamo pronti ed attrezzati ad affrontare la grande incertezza di questi tempi, quanto possiamo cambiare, anche all’ultimo momento, le nostre certezze metodologiche, le nostre convinzioni teoriche, e di quali strumenti terapeutici ci dobbiamo attrezzare di fronte al mutare del clima.
Un’ esigenza, che a giudicare dalla partecipazione a questi appuntamenti, è fortemente sentita anche dai giovani colleghi.