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CPdR –  19/04/2023 Psicoanalisi e Psicofarmaci: incontri ravvicinati del Quinto Tipo. Report di L. Monterosa  

8/05/23

Report di Lucia Monterosa 

Centro Psicoanalitico di Roma –  19 aprile 2023   

Psicoanalisi e Psicofarmaci: incontri ravvicinati del Quinto Tipo   

 Relatore: Angela Iannitelli

La relazione presentata da Angela Iannitelli attraversa due ambiti scientifici che nutrono la sua formazione: la ricerca in campo psichiatrico e quella in campo psicoanalitico che, come lei stessa ha premesso, la   pongono in una posizione in cui “continuamente fare il lutto di una perdita, di una mancanza da una parte e dall’altra”. A partire da questa oscillazione tra mancanze, il  filo rosso che lega i vertici tematici attraversati nel suo discorso sta nel cercare un terreno di  incontro  tra due discipline che hanno camminato per vie parallele: “ la  Psicoanalisi tesa a difendere la propria epistemologia e la propria crescita, generalmente fuori dall’apparato del potere, con una particolare propensione per la clinica e la teorizzazione; la Psicofarmacologia, con una ricerca fervente tesa tra applicazione clinica- con i suoi indubbi interessi economici- e sincera spinta a conoscere i meccanismi in gioco nell’azione dei farmaci e, di conseguenza, nelle alterazioni alla base dello sviluppo della malattia mentale” .

Viene evidenziato come la scoperta- invenzione della Psicoanalisi e quella degli psicofarmaci siano indubbiamente legate nel segnare un nuovo corso nella comprensione dei meccanismi che determinano l’insorgenza delle configurazioni cliniche nell’area della sofferenza psichica e delle possibilità di cura di quest’ultime.  Viene sottolineato come i primi psicofarmaci vennero scoperti, all’inizio degli anni cinquanta, in base a osservazioni impreviste e dovute “alla fortuna di fare, per caso, inattese e felici scoperte”: forse siamo in presenza di un trovato- creato winnicottiano, si chiede la relatrice.

Nella relazione, attraverso un approfondito studio della letteratura, vengono commentati gli sviluppi delle cosiddette “terapie integrate o sequenziali” che hanno mostrato un’efficacia superiore alla solo psicofarmacologia o alla sola psicoanalisi soprattutto nelle nuove patologie psichiche.  Viene sottolineato come le evidenze neuroscientifiche suggeriscano diversi processi fisiologici attraverso i quali i due trattamenti potrebbero essere sinergici. Angela Iannitelli ipotizza che ci sia un meccanismo d’azione univoco della psicoanalisi e degli psicofarmaci e argomenta la sua teorizzazione facendo riferimento al concetto di “paesaggio epigenetico” utilizzato dal biologo britannico C.H. Waddington per indicare il modo con cui la regolazione genica moduli lo sviluppo. Vengono presentate le correnti di ricerca più recenti in questo campo e indicata l’utilità di un approfondimento su un meccanismo comune, degli psicofarmaci e della psicoanalisi, nell’influire sulla “plasticità fenotoipica”. Si tratta di un ambito scientifico in cui vengono studiati “i meccanismi in cui l’ambiente contribuisce a determinare lo sviluppo di caratteri semplici o complessi utili per il processo riproduttivo e per la capacità di adattabilità all’ambiente”. La ricerca ha raccolto evidenze scientifiche sul ruolo giocato dagli psicofarmaci nel produrre cambiamenti epigenetici e, d’altra parte è noto che le psicoterapie e la psicoanalisi modificano i circuiti cerebrali.

Nell’ ultima parte della relazione vengono illustrate, attraverso una meticolosa rassegna bibliografica, le diverse posizioni emerse che lo psicoanalista con competenze psicofarmacologiche può assumere nella pratica clinica, vengono descritte le possibili declinazioni delle resistenze e gli sviluppi trasferali e controtrasferali .

 Infine, Angela Iannitelli esprime la sua visione e la sua pratica della “psicofarmacologia dinamicamente orientata”. Emerge un’accurata costruzione del setting che possa permettere, nell’incontro col paziente, l’emersione di derivati dell’inconscio. Nelle consultazioni farmacologiche uno spazio di esplorazione è dedicato all’attività onirica: il sogno – definito come “marker biologico dell’attività farmacologica” – viene individuato per comprendere quanto l’apparato psichico sia divenuto più elastico. La scelta del farmaco viene fatta “seguendo una visione dimensionale della sofferenza e non categoriale “. Inoltre, viene indicata una via per allontanare il rischio che, nel setting analitico, il farmaco possa essere utilizzato difensivamente dall’analista e dal paziente: “l’arte sta nell’usare farmaci a bassa posologia, mantenendo una sofferenza psichica tollerabile”.

 Mi sembra che in questo movimento sottile di avvicinamento si condensi il lungo percorso di lavoro clinico, di approfondimento scientifico e di passione per la ricerca che ha dato corpo a questa relazione.                                                  

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