Eventi

Berlincioni V.,Carnevali C., Cusin A., Fiorentino R., Maestro S., Masoini P., Medici T., Vandi G., Zanchi M.

23/06/14

Vanna Berlincioni, Cinzia Carnevali, Ambra Cusin, Roberto Fiorentino, Sandra Maestro, PatriziaMasoni, Tullio Medici, Gabriella Vandi, Mino Zanchi.

IL PROCESSO DI SOGGETTIVAZIONE, IL GRUPPO E L’ARTE DELLA MANUTENZIONE(1) … DELL’ANALISTA

Nell’esperienza di gruppo si confrontano il concetto, ancora in parte inesplorato, di soggettivazione (divenire persona / essere consapevoli di sé stessi), la realtà psichica di uno spazio strutturante comune, condiviso fusionalmente, e la necessità di una separazione/differenziazione che consenta di acquisire un’accettabile autonomia personale.
Il “processo” verso la soggettivazione è lungo e complesso (Chan, 2006). Comporta la ricerca della capacità di situare se stessi in rapporto ad altri, di rendere tollerabili le nostre pulsioni e i nostri affetti come quelli degli altri. Non esistono teorie esaustive sul concetto di soggettivazione: è un concetto nuovo (Garella, 2012) che implica la ricerca di uno spazio psichico diversificato in cui si situano le operazioni di differenziazione inconsce e preconsce. Esso costituisce un concetto limite tra l’intrapsichico, l’interpsichico e l’intersoggettivo. Il processo verso la soggettivazione infatti non può che prodursi in uno spazio intersoggettivo, in un insieme di spazi psichici differenziati che interagiscono fra loro, quelli della diade madre-bambino, della triade edipica, della gruppalità psichica familiare (passata e attuale) e della trasmissione transgenerazionale.
Nella difficile, ma essenziale opera di definire e comprendere il posto del soggetto, una volta che si è svincolato dai legami di un collettivo entro il quale si è generato e al quale resta comunque in parte legato, il lavoro psicoanalitico gruppale consente una peculiare e preziosa via di comprensione e trasformazione. Riconoscere ed elaborare la realtà psichica gruppale significa esplorare, nella situazione clinica, la complessità delle interazioni tra il funzionamento del singolo e quello del gruppo. Si possono così ripensare e trasformare le difficoltà, le distorsioni e i blocchi che si creano nel corso del processo di sviluppo ed emancipazione.
Per la psicoanalisi le questioni aperte riguardano la difficoltà di pensare la posizione dell’inconscio nello spazio del soggetto e nello spazio del gruppo (Kaës, 1993).
Kaës (2006) scrive che il soggetto è un intersoggetto e il gruppo è visto come uno spazio psichico condiviso nel quale si intrecciano alleanze inconsce tra i soggetti che lo costituiscono.
Il gruppo analitico, con il suo setting, costruisce uno spazio e un tempo dove possono nascere pensieri senza pensatore (Bion 1977). E’ dalla matrice gruppale che si creano le condizioni per la nascita della soggettività; l’esperienza del gruppo diviene equivalente all’esperienza della nascita che si contrappone all’angoscia di morte (Hautmann, 2011).
Il lavoro psicoanalitico di gruppo è interessante per lo psicoanalista per capire meglio i legami intersoggettivi che sono alla base della formazione dell’individuo (Kaës, 2007).

La nostra idea è che la partecipazione a un gruppo esperienziale sia una delle strategie possibili, insieme a quelle generalmente praticate nella nostra comunità (supervisioni, gruppi di discussione, confronti teorici etc.) per consentire la messa a punto continua della mente dell’analista.
Nel gruppo esperienziale la frammentazione e la disarticolazione emotiva generata dal contatto tra i partecipanti sollecita il Sé individuale a una rivisitazione di frammenti dimenticati della propria storia, micro e macro traumi riposti nelle scaffalature più interne del proprio intra-psichico. L’empatia, il contagio, la comunicazione profonda inconscia che il setting gruppale offre ai suoi partecipanti, consente al singolo l’accesso imprevedibile a questi frammenti che nel gruppo possono essere rielaborati, rivitalizzati e rimessi a disposizione dell’analista per il proprio lavoro, ma anche per generare nuovi pensieri e sviluppi del Sé. Nel contesto gruppale l’individuo si trova inoltre continuamente sospeso tra la ‘complessità oceanica’ derivata dall’altro da Sé, in tutte le sue articolate stratificazioni, (il ‘vicino’, il ‘migrante’, il ‘sociale’) e il contatto con questi aspetti di ‘minutaglia’ dell’esperienza emotiva che giocano un ruolo fondante del sentimento identitario. Transitare attraverso questa oscillazione cimenta l’analista con sentimenti di dolore, impotenza e frustrazione, ma lo sollecita anche a recuperare il senso del limite necessario all’individuazione di nuove piste per l’elaborazione della sofferenza psichica.
Con il nostro contributo vorremmo proporre ai partecipanti un ‘assaggio’ di questa esperienza, condividendo alcuni passaggi della nostra esperienza.

Nei gruppi si genera un nuovo “campo” (Baranger, 1990; Ferro, 1999) dove analista e pazienti creano inedite possibilità di comprensione e soggettivazione. Le istanze individuali e collettive si ricompongono in un “insieme” che viene a costituire un soggetto “altro”.
La narrazione di ogni partecipante del gruppo permette, in uno spazio plurale di rispecchiamenti, associazioni e differenziazioni, l’emergere dirompente di parti nascoste, altrimenti mute o murate. E’ questo il momento in cui il soggetto “comincia” o ri-comincia ad esistere: non semplicemente rivivendo il passato traumatico, sopito e occultato, ma rivivendo e significando, o risignificando in aprés/coup, il senso presente del non-senso passato. Si attiva così la possibilità di integrare sé stessi in rapporto alla propria storia e alle relazioni con gli altri, consentendo allo spazio psichico individuale di confrontarsi, confondersi e progressivamente differenziarsi da quello collettivo. Il gruppo svolge sia la funzione di presentare i vari componenti a sé stessi, sia di svelarsi ai partecipanti come portatore di istanze, pulsioni, assunti di natura collettiva. In questo modo viene restituito al singolo, divenuto progressivamente soggetto, il senso che egli non è mai un individuo isolato, ma sempre incluso in un gruppo.
La riflessione in gruppo sulla propria soggettività, cui è permanentemente chiamato l’analista, gli consente di distinguere tra aree indifferenziate e differenziate della relazione analitica, tra momenti nei quali è l’“oggetto soggettivo” (Winnicott, 1969) del paziente e momenti in cui può e deve riprendersi la propria distinta soggettività per interpretare quella dell’altro.
La mente analitica del gruppo tra colleghi, matrice gruppale, rivitalizza la mente dell’analista sopravvissuta a traumi e microtraumi e permette, con l’atto creativo, di rinnovare noi stessi.
Apprendere è un’esperienza emozionale. Attraverso l’esperienza della complessità delle libere associazioni, emergenti nel gruppo, l’inconscio può manifestarsi e consentire la pensabilità anche di aspetti molto primitivi della mente dell’analista, indispensabili per mantenere attiva la capacità intuitiva nel lavoro con il paziente.
Per questo chi vi parla considera arricchente il lavoro con i gruppi, a livello esperienziale.
Tuttavia, essere membro di un gruppo (di formazione, di analisi, di psicodramma, di supervisione, ecc.) insieme all’aumento della capacità intuitiva sollecita anche quello dell’ambivalenza e della persecutorietà per via del riattualizzarsi transferale del rapporto con la madre. Si attivano immediatamente gli elementi psicoanalitici fondamentali di amore, odio e conoscenza (Bion, 1963). Questa massiccia attivazione, può spaventare, ma in essa prende forma anche una funzione paterna, grazie a una solida capacità contenitiva.
L’analista di gruppo cerca di conciliare sia la formazione individuale che gruppale, favorendo l’elaborazione dei “bisogni narcisistici e socialistici” (Bion 1992).
Il gruppo racchiude in sé (potenzialmente) aspetti fortemente trasgressivi che possono portare sia a una distruttività esplosivo-implosiva sia, quando adeguatamente contenuti ed elaborati, a una creatività trasformativa.
L’esperienza di gruppo che desideriamo proporre ha lo scopo di riportare la soggettività dell’analista al centro dell’interesse della nostra disciplina, in quanto la persona dell’analista necessita di una continua manutenzione. (Bonaminio, 2003; Bolognini 2010).
Nel gruppo l’analista può rimettersi in gioco, libero di esprimersi e di rispecchiarsi nell’altro.
Proponiamo una sorta di laboratorio/officina, in cui attivare le potenzialità del lavoro gruppale, riferendoci brevemente a due nostri incontri di gruppo attuati attraverso la tecnica dello psicodramma analitico(2).

1° Vignetta di gruppo
Il gruppo si interroga sulle relative provenienze. Il pensiero gruppale si coagula intorno alla “fantasia delle origini”. Qualcuno viene da molto lontano. Ricorda l’architettura del proprio paese, le “porte” che funzionavano da punti di riferimento per entrare nelle proprie città. Il processo associativo gruppale diventa uno straordinario vertice di osservazione, crocevia di movimenti intrapsichici, intersoggettivi e intergenerazionali, favorendo il passaggio da una soggettività all’altra e aprendo la strada a nuove significazioni.
Il gruppo ascolta con partecipazione il passaggio della messa in scena di un ricordo adolescenziale, di uno dei partecipanti: un dialogo tra amici sul futuro in cui c’è chi vuole andarsene perché nel proprio paese governato da una dittatura non c’è futuro e chi invece sostiene che bisogna restare e impegnarsi per cambiare.
Inaspettatamente questo ‘gioco’ del ricordo porta il gruppo a parlare di foibe, di monumenti distrutti e fatti fondere per dimenticare il passato. Emerge un clima di violenza e paura: un membro del gruppo lo esprime, mentre altri manifestano una profonda emozione.

L’esperienza ha permesso l’emergere di angosce che scorrono sotterraneamente in questo attuale tempo di crisi, non solo economica, ma di compromissione della capacità di vivere relazioni emotivamente intense e intime.
Il gruppo si fa portavoce del conflitto tra desiderio di fuga verso un futuro migliore e la tentazione di non cambiare. Affiora il bisogno di rimanere per difendere la propria terra e trarne valore fondante.
Cosa hanno a che fare queste rappresentazioni con la psicoanalisi attuale?
I partecipanti si interrogano sul rischio di eliminare la competenza relativa all’analisi di gruppo così come si eliminano, fondendoli (compare l’immagine della mafia che dissolve nell’acido) i monumenti ingombranti di leader che ricordano ideologie superate.
Durante l’esperienza di psicodramma si presentifica un anziano analista ancora vivente, capace di accoglienza verso il nuovo, lo ‘straniero’. Questo ‘grande vecchio’, messo in scena dalle libere associazioni, nei due aspetti passivo-materno-accogliente e attivo-paterno-incoraggiante, permette una sorta di scongelamento emotivo tra i partecipanti.
Calde emozioni ricordano che al lutto delle cose perdute si risponde con la vitalità delle lacrime.
I partecipanti sperimentano così la potenza fantasmatica e la fecondità dell’esperienza del gruppo analitico.

2° Vignetta di gruppo
Si parte dal racconto di un fatto di cronaca che ci ha toccati emotivamente: il recente naufragio di migranti a Lampedusa. Poi un’osservazione sulla realtà esterna, un rumore in cortile, in pochi attimi, riporta alla mente di uno dei partecipanti un vissuto doloroso che rappresenta l’emergente gruppale del concetto di ricordo traumatico.
Nel vissuto fa capolino il tema delle “forze dell’ordine” e quello dell’“l’imposizione del silenzio ad un bambino che è di intralcio a due genitori sempre in conflitto”. Questi temi riportano alla memoria i ricordi d’infanzia di due partecipanti che hanno a che fare con il poco ascolto, la gelosia, l’invidia, la paura della morte.
Il gruppo, dopo aver fatto questa esperienza, si ferma a riflettere passando dal ruolo di “protagonista” a quello di osservatore partecipe. Dai vissuti individuali, fortemente carichi di emozioni, emergono i vissuti di bambini spaventati dalla morte e da qualcosa di sconosciuto che porta via i familiari (il mare che inghiotte i genitori migranti).
Il mettere in scena l’identificazione tra il “bambino che è di intralcio” (rappresentato nello psicodramma) e i bambini migranti sui barconi della speranza, per poi confrontarla con il vissuto di ingiustizia espresso nel gruppo, ci porta a stabilire questa relazione: l’irruzione delle forze dell’ordine (le leggi ingiuste e disumanizzanti) servono a sbarazzarsi degli aspetti fragili, così come del bisogno di soccorrere gli immigrati in pericolo che arrivano sulle nostre coste.
E’ interessante osservare come nuovamente nel nostro gruppo compaia il tema della migrazione, del partire, che forse può essere paragonato per assonanza al partorire, al far nascere qualcosa.
Il gruppo affronta delle migrazioni mentali, delle partenze dense di incertezze e di pericoli per il nostro assetto mentale.
Nella scena giocata nello psicodramma il personaggio del ‘babbo’ non verrà rappresentato: egli appare come l’equivalente simbolico di un vuoto che non si può descrivere perché rimanda ad un vuoto più antico, allo smarrimento di un bimbo forzatamente separato dalla madre all’età di un anno. Si rischia il naufragio, la perdita delle sicurezze.
Emerge, di conseguenza, il bisogno dei membri del gruppo di avere un leader, una madre-conduttore rassicurante che guidi il gruppo con perizia e conduca in porto senza catastrofi. Ci si affida, collaborativi, ad una dipendenza germinativa e portatrice di sviluppo. Come l’abbraccio tenero, avvenuto nella scena ‘giocata’, tra una madre e un bambino (fattore F di Bion. Neri, 2011; Grotstein, 2007).
Nel gruppo si presentifica poi una bambina che ha paura della morte e che segnala il timore dei cambiamenti, del divenire ‘grandi’, capaci di percorrere vie nuove, che può essere considerata l’emergente gruppale di un sentimento di fragilità ma anche della capacità di intuizioni profonde e trasformative (la morte come trasformazione).
La forza dei pensieri nuovi che il gruppo facilita, fonte di ansia, ma anche nuova linfa, crea una straordinaria ‘magia’, recupero emozionale e di pensiero simbolico che trasforma il soggetto e i suoi legami. Le “forze dell’ordine” super-egoiche, sempre così presenti e persecutorie, nella mente e nell’istituzione, possono trasformarsi in regole e leggi bonificate dalla rigidità fasulla, che portano soccorso favorendo la sopravvivenza e ridando parola alla creatività di un bambino, non più reso muto dalla violenza, ma desideroso di dire.

Note

(1)Nel racconto Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta il protagonista Pirsig impegnato insieme al figlio Chris in un “viaggio” attraverso gli Stati Uniti, concreto e al tempo stesso simbolico, alla ricerca filosofico-esistenziale
di sé, intervalla riflessioni, pensieri e ricordi con piccoli passaggi descrittivi dei momenti in cui si dedica alla manutenzione della sua motocicletta. L’attenzione e la pazienza con cui Pirsig olia gli ingranaggi, svita e riavvita i bulloni, tratta con cura ogni dettaglio del motore, rappresenta una metafora efficace del modo con cui l’analista può provare ad operare per la manutenzione di sé stesso, processo ineludibile per il suo lavoro.
(2)Anzieu, Lebovici, Kaës considerano lo psicodramma analitico: “il nostro strumento di gioco terapeutico”.
Kaes scrive: “ Ciò che vuoi mostrare, ciò che non può fare segno e acquisire un senso, bisogna giocarlo e parlarne”. Nello psicodramma si rappresenta una verità soggettiva, anche solo parziale e la si completa. Il protagonista è invitato a ‘giocare’, a turno i colleghi assumono il ruolo di protagonisti, in questo modo nessuno è inarrivabile, le proiezioni vengono accolte, portate in scena, ampliate ed elaborate. Ognuno può vedersi nel rispecchiamento con gli occhi degli altri. Lacan (1949) con l’espressione lo stadio dello specchio si riferisce ad una identificazione, cioè “una trasformazione prodotta nel soggetto quando assume un’immagine”. Per P. Lemoine (1972, 1982) il gioco ha la funzione di fermare la ripetizione, di sbloccare e rimettere lo psichismo in movimento. Egli parla di “atto psicoanalitico” e di “azione psicodrammatica” che creano le condizioni perché riemergano le domande arcaiche che non hanno mai avuto soddisfazione e perché la loro analisi sia possibile. Con l’aiuto del gioco nell’incontro tra gli psichismi del gruppo può essere reso visibile “il dettaglio insolito”, il fantasma e integrarli nel soggetto. Questi concetti potrebbero corrispondere a quello che per Bion è la funzione di rêverie e per Corrao la funzione gamma del gruppo (Corrao 1998), elementi trasformativi all’interno del campo gruppale, legata all’intersoggettività. Queste funzioni consentono di sviluppare un’attività mentale di gruppo, in uno scambio continuo e trasformativo di pensieri, emozioni, memorie, sogni e sensazioni corporee.

BIBLIOGRAFIA

Barager W. e M. (1990). La situazione psicoanalitica come campo bi personale. ed. Raffaello Cortina, Milano, 2011
Bion W.R. (1963). La griglia, in Addomesticare i pensieri selvatici, Franco Angeli, Milano, 1998
Bion W.R (1977). Addomesticare i pensieri selvatici, Franco Angeli, Milano, 1998; pag. 41 e seg.
Bion W.R (1992). “Narcisismo e social-ismo” in Cogitations, ed. Armando, Roma, 1996;
Bolognini S. (2010). Lo Zen e l’arte di non sapere cosa dire. Bollati Boringhieri Editore.
Bonaminio V. (2003) “La persona dell’analista. Interpretazione, non interpretazione e controtransfert.” A cura di Fabozzi P. in Forme dell’interpretazione. Nuove prospettive nella teoria e nella clinica psicoanalitica. Franco Angeli, Milano.
Cahn R.(2006). “Origini e destino della soggettivazione”. In Richard F. e Wainrib S. ( a cura di). La soggettivazione. Borla, Roma, 2008.
Corrao F. (1998). Orme. Vol. II. Raffaello Cortina, Milano.
Kaës R., “Il gruppo e il soggetto del gruppo” Borla, Roma 1993.
Kaës R. (2007). Un singolare plurale. Borla, Roma.
Ferro (1999). Fattori di malattia, fattori di guarigione. Cortina, Milano 2002.
Garella A. (2012). Per una Metapsicologia del Soggetto. Letto al Convegno “Metamorfosi della pulsione”. Venezia 1 dicembre 2012
Grotstein J.S. (2007), Un raggio di intensa oscurità. Ed. Raffaello Cortina, Milano, 2010; pag. 345
Hautmann G. (2010) Giovanni Hautmann e il pensiero gruppale. Dialogo sulla gruppalità tra G. Hautmann e S. Resnik. Convegno 30 gennaio 2010 Pisa Felici Editore (Pisa)
Kaës R. 2006 “La matrice gruppale della soggettivazione: le alleanze inconsce”. In Richard F. e Wainrib S. (a cura di). La soggettivazione. Borla, Roma, 2008. pag 165
Lacan J. (1964). Lo stadio dello specchio come formatore della funzione dell’Io, In: “Scritti”. Einaudi, Torino, 1974.
Lemoine G., P. (1972). Lo psicodramma. Feltrinelli, Milano, 1973.
Neri C. 2011 “Il Fattore F in psicoanalisi e in psicoteratia di gruppo” Rivista Gruppi. Nella Clinica nelle Istituazioni, nella Società Vol.XIII n.3 sett-dic 2011 Franco Angeli
Pirsig R. (1974). Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta. 1981 Adelphi Edizioni S.P.A. Milano.
Winnicott D. W. (1969). “L’uso di un oggetto”. In: Esplorazioni psicoanalitiche. Raffaello Cortina, 1995.

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