Le conferenze del Centro di Psicoanalisi Romano
Psicoanalisi e società: “Le nuove genitorialità”
9 novembre 2013
Adriana D’Arezzo
Psicoanaliste di Bambini e Adolescenti, Carla Busato Barbaglio, Anna Maria Nicolò e Adelaide Lupinacci dialogano con Alida Montaldi, Magistrato Presidente Sezione Famiglia e Minori della Corte d’Appello di Roma.
Il clima sereno che si è stabilito nella sala fin dalle prime battute ha caratterizzato la mattinata, e favorito l’ascolto delle relazioni e dei numerosi successivi interventi dei partecipanti, in un confronto costruttivo e stimolante.
La prima delle Conferenze del Centro di Psicoanalisi Romano si apre con l’intervento del Segretario scientifico dr. Angelo Macchia che introduce il tema: il desiderio degli psicoanalisti di dialogare con altre istituzioni e figure professionali che lavorano sulle stesse aree tematiche. Essere genitori è da sempre considerato, anche dalla psicoanalisi, tra i “mestieri impossibili”; oggi la complessità è aumentata, legata ai nuovi assetti delle coppie e delle famiglie e ai mutamenti connessi all’evoluzioni culturali che rendono rinegoziabili scelte matrimoniali e confini. La convivenza di nuclei familiari al cui interno coabitano figli provenienti da altre relazioni, nascite dovute a donazioni di ovuli o di spermatozoi, adozioni nazionali e internazionali, sfidano quotidianamente la stabilità dei riferimenti a ruoli e funzioni tradizionali, rinviano alla necessità di ampliare la riflessione su funzioni genitoriali per come sono state storicamente pensate. Come non collegare questi temi con le notizie di attualità, le giovanissime che si prostituivano poco lontano da via Panama?
Carla Busato Barbaglio attraverso piccoli flash clinici apre in un suo intervento sulle innumerevoli forme di famiglia che s’incontrano oggi nella società e negli studi psicoanalitici e che sollecitano riflessioni su “dare alla luce” concetto che modifica drasticamente l’esclusività del concetto di maternità. Famiglie allargate, omosessuali, multietniche, ricostruite, sono molto spesso non sostenute dalla rete di relazioni, di riti, di tradizioni che sosteneva in genere la famiglia di una volta ed evoca vissuti di sradicamento. I genitori di oggi sono chiamati, talvolta, a misurarsi con compiti che i propri genitori non hanno svolto, né mai pensato come la “cura dei figli degli altri”.
La distinzione tra funzioni della coppia coniugale e di quella coppia genitoriale un tempo considerate, in linea di massima, coincidenti, è una realtà con cui sempre più spesso ci si misura e sollecita ulteriori cambiamenti sul piano relazionale, culturale oltre che su quello legislativo – istituzionale. Solo recentemente i figli naturali hanno avuto, ad esempio, il riconoscimento legislativo che li ha equiparati effettivamente a quelli avuti nel matrimonio. Quali le ricadute psicologiche su quei figli cresciuti accanto a fratelli che nella realtà esterna, nel mondo, hanno avuto un differente riconoscimento? Sì al cognome del padre ma non diritto all’eredità della famiglia d’origine, dei nonni e degli zii. Trasformazioni di questo genere, che avvengono su piani diversi, non hanno tutte i medesimi tempi di elaborazione, all’adozione internazionale non si accompagna la risoluzione dello stigma sociale culturale, nei gruppi sociali si fatica a riconoscere una effettiva parità che sembra minacciare la storia e l’identità individuale e collettiva.
Carla Busato sottolinea, inoltre, il legame tra la genitorialità e “le narrazioni nel senso di patrimonio interiorizzato di eventi, emozioni, schemi mentali, sistemi comportamentali, culture diverse; l’esperienza […] immagazzinata nella memoria diventa parte di un sistema comportamentale di essere che contribuisce alla costituzione dell’identità.” Se la nascita di un bambino in una famiglia è il frutto di eventi biologici specifici o conseguenza di scelte affettive-sociali, come nell’adozione, la genitorialità nelle sue forme differenti non può che prevedere un processo di crescita comune, un divenire , una costruzione , “un apprendere a sintonizzarsi, a capirsi, a intendere gli stati mentali gli uni degli altri…” Componente psichica e componente biologica sono intese come interfacce dell’esperienza che lasciano traccia nell’esperienza del bambino anche se talvolta difficilmente evocabili. Una “danza relazionale” che continua nel tempo e che si trasmette alle generazioni successive e che, allo stesso tempo, rende preziosi anche gli interventi terapeutici successivi, capaci di riavviare processi interrotti o danneggiati.
Anna Maria Nicolò avvia il suo lavoro con interessanti note sulle diverse forme familiari nella storia, tra popoli e culture differenti sottolinea così, come l’allevamento dei figli e la trasmissione di valori tra le generazioni possa trovare forme diversissime senza venir meno al suo mandato. Con le parole di Lévi-Strauss la famiglia è necessaria ma “…la forma in cui viene a esistere è del tutto irrilevante…”.
Successivamente si concentra sugli interrogativi specifici che gli psicoanalisti si pongono sui cambiamenti della “forma” della famiglia nella nostra Società e sugli effetti di tali cambiamenti sulle sue funzioni fondamentali . Occorre quindi accordarsi, innanzitutto, su quali siano le funzioni fondamentali della coppia genitoriale, psicoanalisti di diverso orientamento teorico hanno risposto nel tempo in modo diverso. Per alcuni la principale funzione è quella di “contenere la sofferenza e generare amore” (Meltzer 1983). Holding e stabilità sono per Winnicott (1965) imprescindibili. Altri pongono in primo piano la costruzione progressiva di confini separativi tra i sessi e le generazioni (Aulagnier 1984; Racamier 1995;) e tra la coppia, la famiglia e il contesto allargato ( Anzieu 85-86-93)
Oggi la centralità delle scelte soggettive, dice Anna Maria Nicolò, organizza gli accoppiamenti più che negli anni passati in cui miti e adesione a regole sociali influenzavano in modo più marcato le scelte e costituivano un modello di riferimento. Le funzioni genitoriali, frutto di una complessa costruzione cui contribuiscono i membri della coppia e il figlio, possono essere svolte anche da altre figure di riferimento esterne alla coppia. Inoltre le funzioni genitoriali, per le complesse interazioni con il mondo interno di ciascuno, con la storia delle proprie relazioni e con quello esterno, possono essere efficaci con figli piccoli e non più con i figli che crescono e/o viceversa. La distinzione tra l’avere un figlio e diventare genitore questione in primo piano soprattutto quando fecondazione artificiale, adozioni internazionali, famiglie multietniche cimentano ulteriormente la trasformazione soggettiva. Nelle situazioni più patologiche è proprio questa trasformazione a risultare compromessa. Le nuove possibilità di procreare inoltre divaricano la sessualità femminile dalla procreazione, la donna sessuale dalla madre e su un altro piano la coniugalità dalla genitorialità.
Maria Adelaide Lupinacci si sofferma su “luci e ombre” che il tema dell’adozione contiene, mette a fuoco il passaggio “dall’individuale al relazionale, dall’individuo alla coppia e il fatto che la relazione include il triadico, l’emergere di una terza entità.” Citando Bion distingue tra differenti tipi di relazione: “conviviale”(in cui due oggetti ne condividono un terzo con vantaggio di tutti), “simbiotica”(uno dipende dall’altro con vantaggio reciproco), “parassitaria” uno dipende dall’altro per produrre un terzo distruttivo per tutti e tre). L’espansione fisiologica della coppia che si realizza con la nascita di un figlio comporta, inevitabilmente, frustrazioni di parte delle aspettative ed esigenze dei genitori. Ma quando tali aspettative sono prevalentemente di tipo “narcisistico”, vale a dire il figlio è inconsciamente pensato come colui che provvederà a riparare carenze di uno o di entrambi i genitori o, allo stesso modo, viene incaricato di risarcire danni subiti nella propria crescita e raggiungere mete a sé stessi negate, un’ombra si allunga sulla genitorialità.
Poiché la scelta di diventare genitori adottivi può contenere tutta la gamma delle motivazioni possibili ed anche le “insidie”(Winnicott) relative ad un processo che riguarda più persone, nell’iter è previsto un lavoro preliminare che tenta di “gettare luce” sulle implicazioni profonde. Dalla parte del bambino la realtà di “non essere stati tenuti dalla propria madre” costituisce una ferita originaria che richiede cure specifiche ed è spesso impensabile.
Alida Montaldi, presidente della sezione Minori e famiglia del tribunale di Roma ha centrato il suo intervento sulla assoluta necessità di coltivare il dialogo tra le nostre discipline sia pure nel rispetto delle specifiche differenti competenze e ruoli. Con la battuta ironica iniziale “ ho capito tutto…” riferita alle relazioni appena ascoltate, oltre a contribuire alla serenità del clima, di cui dicevo all’inizio, ha sottolineato come una certa diffidenza, basata sull’idea di parlare linguaggi diversi e di una difficile comunicazione, sia ormai del tutto superata. Dai cambiamenti della normativa che sancisce, salvo casi particolari, l’assoluta predilezione per l’affido condiviso dei bambini e che è indice di un profondo cambiamento della concezione della genitorialità. Il padre una volta pensato come coluiche s’incaricava di portare i contatti col mondo esterno, interveniva nella evoluzione dei figli solo in fasi più avanzate dello sviluppo, magari con un contributo di stampo normativo, oggi è pensato come corresponsabile e paritario in tutte le fasi della crescita. L’affido condiviso implica inoltre, il passaggio significativo dalla potestà alla responsabilità, il figlio in questo quadro non è qualcuno su cui si esercita potere ma soprattutto titolare di diritti e qualcuno della cui crescita si è responsabili.
Il ruolo svolto dal CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) si configura, prevalentemente, come l’avvio di un processo di elaborazione che necessita di tempi soggettivi e che prevede coinvolgimenti a vari livelli, soprattutto per quelle coppie cui era stato negato il diritto di adottare e che ricorrono in appello.
Il dibattito che si è sviluppato successivamente è stato ricco e stimolante, gli interventi hanno rilanciato molti dei temi trattati e sollecitato ulteriori riflessioni. Aspetti particolari come la differenza tra i tempi di decisione di provvedimenti giudiziari rispetto a quelli che sono necessari per trasformazioni psicologiche profonde. La ricerca sui figli cresciuti da coppie omosessuali e tra cui non si rilevano significative differenze rispetto a quelli delle famiglie etero sull’insorgenza di patologie di alcun genere. I rischi connessi anche nell’affido condiviso, qualora sia interpretato, ancora una volta, come un diritto del genitore al tempo del figlio e non con la necessaria, irrinunciabile, ricerca di rispetto e sintonia.