Centro Psicoanalitico di Bologna
Ciclo : Il lettino e la piazza
“Il femminicidio”
Secondo il cosiddetto principio di “ interscambio di Locard”, ogni contatto lascia una traccia. Si tratta dell’enunciato di un criminologo francese del secolo scorso, che afferma che, se una persona viene in contatto con un oggetto o con un’altra persona, vi è sempre uno scambio: lascerà qualcosa e porterà su di sé qualcosa di quel contatto: un interscambio tra parti.
A questo ho pensato al termine dell’incontro sul Femminicidio, che si è tenuto a Bologna l’8 marzo scorso, perché un tale fenomeno si è verificato in modo intenso e proficuo fra gli psicoanalisti e la città, con il contributo ricco e stimolante della semiologa Patrizia Violi e la profonda e densa relazione di Stefano Bolognini.
Le parole di Irene Ruggiero hanno introdotto la giornata con un invito al pensiero e alla riflessione da parte delle donne e soprattutto degli uomini, su se stessi e su un tema al quale la sovraesposizione da parte dei media rischia di assuefarci. L’invito era rivolto con particolare riguardo ai ragazzi di un liceo cittadino, presenza importante per una germinazione di idee rivolte al futuro.
La professoressa Violi, Ordinario di semiologia dell’Università di Bologna, ha dato rilievo nel suo intervento in particolare alle parole, perché “il linguaggio non descrive solo la realtà, ma la crea. Il linguaggio permette di pensare la realtà, nominandola. Se ci sono le parole, ci sono anche gli strumenti per pensare la realtà e trasformarla.”
La parola “femminicidio” venne usata per la prima volta in Italia in una sentenza di I grado nel 2011, mentre la parola inglese “femicide” fu coniata e diffusa da un’autrice femminista, Diana E.H. Russel, che ne parlò come di una questione non privata, ma politica, che affonda le sue radici nel patriarcato. Tuttavia, le varie motivazioni addotte come possibili spiegazioni nei casi di femminicidio, si scontrano, a detta di Patrizia Violi, con una tragica vacuità di senso, che ella ha evocato in modo suggestivo, a partire dalle cosiddette “Murder ballads”, raccolta di canzoni americane, che proprio in quanto canzoni popolari, rappresentano un depositato culturale significativo e trasversale: sono ballate che narrano di assassinii di donne da parte di uomini, situazioni in cui le donne vengono uccise apparentemente senza una ragione, “se dicono sì, se dicono no, se non dicono niente. Vengono uccise in quanto donne, cioè portatrici incarnate di una differenza”.
Il femminicidio è, infatti, un fenomeno universale, trasversale a tutte le culture, verosimilmente connesso al fatto che “c’è qualcosa di molto disturbante e spaventoso nella differenza, forse perché fa specchio alla nostra incompletezza, limite, parzialità, ferita interna.”
La differenza, però, è portatrice di ricchezza e generatrice di senso, ci ha spiegato Patrizia Violi,citando De Saussure : il senso nasce da una differenza, si dà solo in negativo, cioè per differenza.
Così, annullare la differenza, come accade nel femminicidio, significa annullare la possibilità stessa del senso, del senso delle cose e del dare un senso alla vita.
L’intervento di Stefano Bolognini ha innanzi tutto sottolineato il significato del luogo in cui l’incontro si è svolto . Sala Borsa è la piazza coperta della città, luogo d’incontro nel cuore cittadino, luogo istituzionale e culturale. La società si trasforma passo dopo passo attraverso la graduale acquisizione di consapevolezza dei suoi conflitti; non poteva, quindi, essere più appropriato che gli psicoanalisti si ritrovassero lì a confrontarsi con la città, in una sala gremita, sul femminicidio.
La riflessione psicoanalitica sul fenomeno della violenza psicologica, fisica e sessuale nei confronti del genere femminile è stata declinata da Bolognini nei termini generali delle relazioni oggettuali, nell’ambito del “ tradizionale commercio di infelicità fra gli esseri umani”, (citando Money Kyrle), entrando poi nel vivo della sua specificità all’interno del rapporto tra uomini e donne, con tutte le sue implicazioni fantasmatiche e il carico di angosce primitive, cui attinge l’aggressività che scorre nelle relazioni umane.
Alla radice della violenza maschile sovente si pongono “la vendetta per la dipendenza infantile dalla madre, per l’esclusione edipica e per le ferite narcisistiche”.
Sono state distinte due diverse tipologie di “delitto edipico”: la prima, in cui la vittima è il rivale e in cui prevale l’odio verso l’equivalente paterno in una dimensione triadica e la seconda in cui la vittima è, invece, la compagna, in cui il terzo è quasi assente e la situazione è quella più regressiva, diadica.
Sono state ripercorse le tappe dell’investimento affettivo all’interno delle relazioni, a partire dalla situazione idealizzante narcisistica iniziale della fase dell’innamoramento, per giungere ad un più o meno graduale processo di disillusione narcisistica che può esitare , secondo la metafora utilizzata da Bolognini, in un atterraggio morbido o in un rovinoso schianto, in cui la coppia entra in una fase critica, ove sono possibili attacchi reciproci in un regime sado-masochistico e vere e proprie violenze verbali e fisiche.
In altre parole, si può dire che avvenga l’irreparabile quanto inevitabile incrinatura del regime fusionale che si instaura all’inizio delle relazioni affettive, quando ciascuno dei componenti della coppia nutre l’illusione della propria “meravigliosità”, proprio come accade al bambino nelle fasi precoci del suo sviluppo, in cui gode dell’amore e dell’ammirazione incondizionata della madre .
Attraverso efficaci esemplificazioni, immagini suggestive e descrizioni coinvolgenti, Bolognini ha fornito una sorta di semeiologia dal punto di vista psicoanalitico delle condotte violente e dei loro equivalenti , che ha completato e integrato un quadro del quale è riuscito a rendere complessità e profondità di prospettive.
E’ stato, infine, evidente che il discorso semiologico e psicoanalitico, pur con linguaggi differenti, si sono incontrati, risultando complementari e coerenti.
Nel corso del dibattito conclusivo, una domanda dal pubblico ha offerto l’opportunità a Marco Mastella di fornire un prezioso contributo riguardante l’invidia suscitata dalla ricettività femminile, “dalla capacità tipica delle donne di avvicinarsi a stati della mente vicini alla generatività, alla poesia delle piccole cose”, per usare le sue parole, invidia sovente alla base della volontà maschile di sopraffazione.
Le parole conclusive di Bolognini, in continuità con questi temi, hanno richiamato l’invidia e l’aspirazione maschile per la felice condizione fusionale , calda e dolcemente nutritiva,oggetto di intenso rimpianto, cui ogni rapporto amoroso tende, che un giovane sofferente di un’intensa angoscia persecutoria è riuscito una volta a descrivermi con perfetta, visionaria semplicità: “Sa cosa vorrei? Vorrei poter finalmente assaporare l’estate”.
24 marzo 2014