Roma 8-9 Aprile 2016 CPdiR LA PASSIONE DEL NEGATIVO. OMAGGIO AL PENSIERO DI ANDRE’ GREEN
Centro psicoanalitico di Roma
Report a cura di Sabrina Gubbini
Nelle giornate 8-9 aprile si è svolto il convegno dedicato ad A. Green, un autore che possiamo considerare tra i più significativi e importanti della psicoanalisi post-freudiana.
Il tema del “negativo” riguarda le riflessioni sulle difficoltà di una clinica interessata agli aspetti della distruttività, della reazione terapeutica negativa, del narcisismo di morte e del masochismo; tratti declinati all’interno di organizzazioni psichiche che compaiono oggi con maggiore frequenza negli studi privati e nei presidi psichiatrici e che riguardano anche ciò che ripetutamente appare negli scenari geopolitici e socio-culturali di questo tempo.
Una psicoanalisi della contemporaneità dunque? Oppure una chiave di lettura importante che ci consenta di comprendere più profondamente i meccanismi patologici che sono alla base di fenomeni accaduti anche in altre epoche e in altre Storie?
Certo è che il pensiero teorico-clinico di Green rappresenta un balzo in avanti nella conoscenza di ciò che in altri periodi è stato definito come “non analizzabile, folle e oscuro”.
La serata di venerdì è stata introdotta dalla presenza e dalla testimonianza di L. Gutierrez-Green, moglie dello psicoanalista e analista anche lei; a seguire, la proiezione del film-intervista André Green, un maestro appassionato, girato dallo psicoanalista argentino F. Urribarri, il quale ha trascorso molto tempo accanto all’autore negli ultimi anni di vita e ne ha filmato la testimonianza nel 2011.
Il documentario, diviso in capitoli che ne ripercorrono il pensiero e le idee chiave, è stato presentato dallo stesso intervistatore-interlocutore che ha anche raccontato degli scambi avuti con il maestro attraverso alcune scene quotidiane: ne traspare il carattere passionale e allo stesso tempo ironico, a tratti “leggero”, di Green.
Nella giornata seguente sono stati affrontati i temi che caratterizzano di più il “lavoro del negativo”, attraverso i contributi dei relatori coordinati da F. Conrotto al mattino e G. Squitieri nel pomeriggio.
F.Conrotto ha introdotto la giornata con un excursus teorico che ha evidenziato come il pensiero di Green si sia differenziato da quello di Lacan in una questione sostanziale: là dove per Lacan il primato dello psichismo è dato dalla rappresentazione e dal linguaggio, secondo Green è dato dall’ affetto come derivato del legame tra il biologico e lo psichico.
Il maestro da cui si separò nel corso della sua formazione anche per incompatibilità di carattere (“trattava male i suoi discepoli e io non volevo essere trattato male da lui”) era stato uno dei numerosi e fortunati incontri che Green ebbe tra la metà degli anni ’50 e i ’60 nell’ospedale parigino di Sainte-Anne: Ey, De Ajuriaguerra, Lagache, Lebovici… La sua “nascita professionale” è avvenuta in coincidenza con due avvenimenti storici: la scoperta e applicazione dei neurolettici e la prima scissione della Società Psicoanalitica di Parigi. Nello stesso anno in cui avvenne l’incontro con Lacan, qualche mese dopo, Green ebbe i primi contatti con alcuni analisti inglesi: Winnicott, Rosenfeld, Hanna Segal: “l’impatto con loro provocò in me uno shock altrettanto importante di quello indotto dal pensiero di Lacan….Sentivo che quelle discussioni mi mettevano davvero in contatto con la realtà clinica”.
La personale originalità, e allo stesso tempo il debito riconosciuto da Green alla teoria freudiana e alla psicoanalisi inglese, gli hanno consentito di superare la dicotomia pulsioni-relazione oggettuale attraverso una “teoria delle pulsioni” che viene “calata nell’esperienza diretta: quando si è con un paziente, il fatto stesso di stare con lui stabilisce una relazione oggettuale ma quando costui sogna…è immerso nell’universo narcisistico. Bisogna sfumare le cose: a momenti diversi corrispondono passaggi mentali differenziati…E riguardo alla teoria delle pulsioni sembrerebbe che gli psicoanalisti non guardino la televisione, non leggano i giornali, non ricevano tutte le notizie che ci arrivano sui commerci sessuali, sulle istanze di genocidio, sulle mille forme di crudeltà e di tortura che vengono praticate: non si può non mettere tutto questo in relazione con le pulsioni.” (dall’ intervista rilasciata a F. Borrelli su Il Manifesto, dicembre 1999).
La relazione di A. Baldassarro (traduttore dell’ultima pubblicazione di A. Green, La clinica psicoanalitica contemporanea) ha ripercorso un filone del pensiero dell’autore riprendendo la questione del Negativo da Winnicott, ricordando come proprio lui avesse sottolineato l’importanza di quelle esperienze traumatiche che mettono a dura prova la capacità del neonato di sopportare l’attesa nei confronti della risposta della madre. E’ in mancanza di tale risposta, indipendentemente dalla ricomparsa o scomparsa futura dell’oggetto, che si sviluppa uno stato nel quale solo il negativo diventa reale ed è esteso a tutta l’organizzazione psichica e al mondo stesso.
L’altro autore che ha influenzato la riflessione greeniana è stato Bion che insiste sulle differenze tra la “non-cosa” (l’assenza della cosa, no-thing) e il “niente (l’inesistenza, nothing). Il negativo si presenta allora sia dal versante dell’assenza della soddisfazione attesa, sia nel tentativo di rendere inesistente la frustrazione evacuandola. D’altra parte, nota Green, il legame –K non si limita a qualificare il negativo come un’insufficienza o un deficit ma gli dà uno statuto.
Si comprende così come Green prelevi da Winnicott e da Bion – oltre che da Freud – l’idea di una doppia portata del negativo, sia strutturante sia destrutturante, che lo pone dunque in stretta relazione con la dinamica tra pulsioni di vita e pulsioni di morte e i processi di legame e di slegamento. Green propone un corollario all’evoluzione del pensiero freudiano che parte dalla nevrosi come negativo della perversione per arrivare alla reazione terapeutica negativa, oppure il passaggio dalla conversione isterica alla malattia psicosomatica.
A.Baldassarro ha apprezzato, inoltre, la capacità di Green di non considerarsi il “fondatore” di una nuova psicoanalisi con i suoi codici e la sua lingua ma di essere riuscito a mantenere vivo un dialogo costante con gli altri analisti.
Il secondo lavoro della giornata è stato quello di L. Gutierrez-Green, Della pulsione di morte e di distruzione, che ha riferito di come Green si definiva “freudiano eterodosso”, di quanto ammirasse Winnicott e Bion e considerasse “Gioco e realtà” come il libro più importante scritto dopo Freud.
Da questi autori ha mutuato i concetti d’incapacità di elaborare e di pensare, rifiutando i messaggi, sfrattandoli o espellendoli attraverso le proiezioni; davanti ai rischi di disorganizzazione provocati dal dolore o dal godimento, l’analista dovrebbe rimanere capace di continuare a pensare.
Una citazione originale e privata di Green è stata quella su “l’inutilità della sublimazione per arginare la pulsione di morte che sarebbe utile alla produzione di arte e cultura, ma non può e non basta a mettere fine alla distruttività”.
Il terzo lavoro di L. Preta, L’incompiuto: A.Green e l’emozione estetica, ha descritto l’uomo amante dell’arte e conoscitore di quella italiana, attraverso la contrapposizione di due opere di Leonardo che Green aveva ammirato alla National Gallery di Londra (Cartone di Londra) e al Louvre (La vergine, il Bambino e Sant’Anna). Opere di cui aveva parlato nel libro Révélations de l’inachévement (Rivelazioni dell’incompiuto) in cui percorre un viaggio alla ricerca del significato psichico ed estetico che le opere mettono in scena. Una serie di passaggi lo porterà a scrivere, citando Freud, che “la sete di conoscenza” di Leonardo fosse data da un’inibizione sessuale e di come la rimozione del desiderio sessuale porti alla sublimazione e allo spostamento su una meta “non sessuale”.
Questa definizione negativa, per Green, dà conto proprio del lavoro del negativo e lo sviluppo della teoria freudiana, circa il rapporto tra sublimazione e pulsione di morte, lo porta a parlare di neg-sessualità, dove cioè nel prodotto della sublimazione non troviamo più “né la fonte della pulsione, né l’oggetto, ma solo un’energia sessuale squalificata posta al servizio di attività non-sessuali”. L. Preta cita Green dell’ultimo libro, dove sostiene che la teoria delle pulsioni sia stata ingiustamente opposta alla teoria delle relazioni oggettuali poiché: “l’ultima teoria delle pulsioni che include le pulsioni di vita e di amore, implica l’esistenza dell’oggetto” e che “la sublimazione spirituale si trova al termine di un lungo percorso“ dove l’Erotismo si configura come il legame fondante di tutto.
I lavori della mattinata sono stati chiusi dalla relazione clinica di C. Chabert, Alle origini del negativo: la madre morta, un caso da lei trattato. La relatrice ha posto l’accento sull’importanza del concetto di “angoscia bianca che riflette la perdita subita a livello del narcisismo ed è relativa a quella che possiamo chiamare la clinica del vuoto”, un disinvestimento massiccio e temporaneo che lascia tracce nell’inconscio sotto forma di “buchi psichici”, contrapposta all’angoscia rossa che ha a che fare con la castrazione.
Le relazioni pomeridiane, introdotte da G. Squitieri, e da lui anche commentate, sono iniziate con il lavoro di A. Giuffrida: Declinazioni del lavoro del negativo. Il mio ringraziamento ad André Green.
L’autrice si è dedicata principalmente al concetto di allucinazione negativa come una “funzione fisiologica” che Green mette in luce, ed enfatizza, come la capacità della mente umana di cancellare la percezione e la rappresentazione sia a favore di uno spazio bianco in cui “creare” il nuovo, sia per proteggersi da stimoli frustranti, inelaborabili e inaccettabili. Questa funzione appartiene al registro dell’allucinatorio, precursore del pensiero in tutte le sue forme, dalle meno alle più evolute.
Scrive Giuffrida: “la novità che scaturisce da questo vertice di lettura consiste nell’aver messo a fuoco una proprietà basilare della mente che si affianca ai meccanismi della negazione e della rimozione”. Sarebbe quindi “l’allucinazione negativa della madre a creare le precondizioni della rappresentazione”.
Il lavoro di F. Urribarri presenta una panoramica della funzione del negativo storicizzando il pensiero di Green e dividendo in tre tappe lo sviluppo della psicoanalisi: il “caso freudiano” della nevrosi, il “caso post-freudiano” della psicosi e un terzo movimento, di Green e di altri (Aulagnier, Anzieu, Balanger, Laplanche, etc.) post-lacaniani, il quale articola la pulsione e l’oggetto, muovendosi sui funzionamenti intra-psichico e inter-soggettivo. “L’intento di Green è stato di rifondare la teoria della clinica riformulando il concetto di analizzabilità e ridefinendo il limite. Il concetto di negativo è centrale perché non vi sarebbe simbolizzazione senza di esso: l’allucinazione negativa è la condizione perché avvenga l’allucinazione positiva e anche per il funzionamento rappresentativo. La funzione inquadrante è la struttura centrale del lavoro analitico così come per Freud lo è il sogno…La capacità negativa è una funzione analitica per cui il negativo diventa il ‘cadre’ dell’analisi, l’oggetto terziario che consente l’interiorizzazione e la soggettivazione”.
F. Urribarri ha ribadito l’esigenza di Green di rifondare la metapsicologia contemporanea, a partire dal mettere in relazione la coppia pulsione-oggetto, non più attraverso “o” ma “e”, arrivando a una teoria generalizzata della rappresentazione che implica una maggiore articolazione degli elementi che la costituiscono e una doppia topica.
L’ultimo lavoro di L. Russo, Assenza, varietà del linguaggio, lavoro del negativo, ha evidenziato la capacità che un analista dovrebbe avere di “sottrarre” anziché “aggiungere”, di liberare il paziente dal “familiare” e dal “troppo noto”: entrare in un “non-luogo” anziché nel luogo in cui il paziente è imprigionato.
Si tratterebbe di negativizzare l’ideologia, il troppo noto che si frequenta perché non si riesce a sopportare l’ignoto; la corsa alla comprensione ci satura e satura il lavoro analitico attraverso una “anasemia” (“designificazione del linguaggio”, Torok) che rimanda a un eccesso di senso, il quale a sua volta deriva dal bisogno di comprendere.
Entrambe le sessioni, quella mattutina e quella pomeridiana, si sono chiuse con le discussioni tra i partecipanti alla giornata di studio e di ringraziamento a un autore che ha permesso di avvicinarsi ad aree della psiche solitamente considerate infrequentabili, quelle in cui il negativo ha una potenza maggiore. Il “lavoro del negativo” o dell’analisi può permettere talvolta una mediazione a tanta distruttività, sia quella rivolta verso di sé sia quella indirizzata all’esterno.