Report della Giornata “Analisti al lavoro”
7-12-2013 Centro di Psicoanalisi Romano
Il miglior incipit per introdurre la giornata romana dello scorso dicembre è una frase di Ogden, estrapolata da una citazione riportata nell’intervento di Giuseppe Moccia :
“Un analista non è una persona che pratica la psicoanalisi , un analista è una persona che porta una sensibilità, un allenamento ed un’esperienza analitica nel suo lavoro con i pazienti.”
La giornata è stata molto feconda e arricchente dal punto di vista delle riflessioni teoriche, ma soprattutto, come traspare dalla citazione di Ogden, per la felice e niente affatto scontata sintesi fra teoria, ricostruzione storica delle idee ed evoluzione della clinica.
Da sottolineare il riuscito impianto, organico e ben integrato, della giornata, introdotta ed organizzata da Angelo Macchia.
L’approfondimento storico di Bonomi, che ha aperto i lavori, è stato di grande suggestione nel ricreare il clima delle origini della psicoanalisi e del conflitto Freud-Ferenczi, ovvero della contrapposizione fra due orientamenti della teoria e della teoria della tecnica, alla base dei successivi sviluppi, attraverso i differenti modi di intendere il trauma e la disamina del concetto ferencziano di scissione narcisistica del Sé.
Da un’analisi storica attenta e dettagliata, frutto di un lavoro approfondito che si è dipanato nel corso di anni, sono emersi aspetti di grande interesse del rapporto Freud-Ferenczi ed è stata messa in luce la particolare sensibilità di quest’ultimo, sia in relazione ai pazienti, sia in relazione al proprio maestro, “ con il cui inconscio egli era così in sintonia da giungere a prevederne ed immaginarne uno svenimento poi verificatosi fra le braccia di Jung”.
Gli sviluppi presenti in nuce nella storia delle origini della psicoanalisi presentata da Bonomi, sono stati descritti e approfonditi nell’intervento di Giuseppe Moccia, che ha fornito in modo chiaro ed esaustivo un quadro della contemporaneità, nella sua duplice declinazione di aumentata richiesta di cura psicoanalitica da parte di pazienti non nevrotici, adolescenti, bambini, coppie ecc.. e di riduzione della domanda di psicoanalisi, con le conseguenti ripercussioni sulla tecnica e sulla teoria della tecnica. E’ stata posta, quindi, la questione del delicato equilibrio fra l’ampliamento degli scopi clinici della psicoanalisi e il mantenimento di una sua unitarietà teorica e di una specificità del suo metodo e del suo oggetto.
E’ stato ben evidenziato come a questo punto divenga centrale la questione dell’identità professionale degli psicoanalisti, minata dal desiderio di mantenere l’ “ appartenenza al proprio terzo scientifico e istituzionale […] e dal timore che l’andare incontro alle esigenze dei pazienti difficili, flettendo le regole del setting, equivalga ad una fuoriuscita dal campo della psicoanalisi”.
Su questo sfondo sono andate delineandosi due correnti teoriche : una, secondo la quale la specificità psiconalitica risiede “in una sorta di permeabilità intersoggettiva che facilita la comunicazione interpsichica inconscia” e in cui il setting diviene una variabile della cura, ed un’altra che considera la specificità psicoanalitica dipendente dalla coerenza fra setting e metodo.
Il relatore ha evidenziato un’ importante area di intersezione fra queste due diverse posizioni, identificata nella prospettiva relazionale comune a tutti i modelli psicoanalitici, vale a dire nel carattere di compenetrazione interpsichica della situazione analitica.
Irene Ruggiero ha contribuito con un’altra citazione (questa volta di Winnicott) a caratterizzare il tema di questa giornata, citazione che qui riporto :
“L’analista deve rimanere vulnerabile e deve mantenere un atteggiamento professionale.”
In continuità con l’intervento di Moccia, la bella relazione di Irene Ruggiero ha sviluppato il tema del controtransfert in una delle aeree più fertili e in rapida evoluzione della pratica psicoanalitica: il trattamento degli adolescenti e dei loro genitori. L’argomento è stato trattato in modo fluido e intenso, favorendo una partecipazione emotiva degli astanti, non solo grazie alle puntuali vignette cliniche, ma anche ad una efficace e densa descrizione dell’interazione fra fenomeni proto- mentali dei pazienti, descritti come “grumi senso-affettivi ancora amorfi” e la mente dell’analista che funziona “come una camera gestazionale”conferendo loro forma, senso e possibilità di accesso alla coscienza. E’ stato compiuto un approfondimento del concetto di controtransfert nelle sue diverse accezioni e di quelli di acting out ed enacment, aggregati intorno all’idea che “l’interazione inconscia tra le menti del paziente e dell’analista costituisca la trama della relazione analitica”, in cui l’interpsichico ha effetti trasformativi sull’intrapsichico.
La sessione pomeridiana si è aperta con l’intervento di Maria Ponsi, che ha offerto un contributo rigoroso e chiarificatore alla questione della molteplicità delle teorie in ambito psicoanalitico, trattando del cosiddetto “multilinguismo” (A.Ferruta), paventando che esso sfoci in una Torre di Babele e giungendo a chiedersi se la pluralità delle teorie non corrisponda ad una pluralità di psicoanalisi. La proposta avanzata dall’autrice del lavoro è consistita nel suggerimento di servirsi di un bagaglio teorico “il più leggero e maneggevole possibile, che permetta di fare un uso il più moderato, prudente e parsimonioso possibile della teoria”, tenuto conto anche del progressivo generale spostamento d’interesse dalle teorie dello sviluppo e del funzionamento mentale a teorie aderenti alla clinica e in analogia con la perdita da parte dell’insight e dell’interpretazione del loro ruolo centrale nel determinare il processo terapeutico, a favore di un insieme di fattori aspecifici.
Ha concluso la giornata il brillante intervento di Giovanni Foresti, che ha presentato il non facile Bion dei tre volumi di Memoria del Futuro, rispettandone la complessità e al contempo mettendone in risalto l’attualità e le folgoranti intuizioni. Riassumere in poche righe il lavoro di Foresti, oltre ad essere impresa assai ardua, avendo egli messo ordine “nel caos nient’affatto calmo” dei tre volumi bioniani, ne guasterebbe il piacere a chi invece più proficuamente ne leggerà il testo sulla rivista on line “Funzione Gamma”. Mi limiterò a citare il rilievo dato dal relatore all’esercizio del dubbio di cui Bion tesse l’elogio e al principio su cui si basano questi lavori bioniani, riassunto in una citazione di Eco, che invita a “imparare a confondersi le idee per avere le idee chiare.” Il rasoio di Bion, cui fa riferimento il titolo del lavoro di Foresti, in analogia con quello del celebre francescano che rivive nelle pagine de “Il nome della rosa” nel personaggio di Guglielmo da Baskerville, indica un’applicazione alla psicoanalisi dei principi epistemologici di semplificazione concettuale, in continuità con l’intervento di Maria Ponsi.
Ho dovuto riassumere e semplificare in modo estremo i vari interventi ,ma spero di aver reso l’atmosfera di cui la giornata è stata permeata. D’altra parte un report deve rispettare criteri di brevità, immediatezza e velocità di lettura, pur correndo inevitabilmente dei rischi, che si possono riassumere con la lapidaria risposta che è di nuovo Guglielmo da Baskerville a pronunciare :
“Che cosa ti spaventa di più nella purezza?” domandai.”La fretta” mi rispose Guglielmo.
Luisa Masina