XXXVI edizione Città Spettacolo
Benevento 2015
Conferenze psicoanalitiche
Il programma delle Conferenze psicoanalitiche tenute nell’ambito della Rassegna Città Spettacolo di Benevento, spazio curato da M. L. Califano del CNP, si è articolato quest’anno in due giornate. Nella prima, introdotta dalla stessa Califano, è stata presentata la Rivista di cultura psicoanalitica Psiche. Si è discusso sul tema del presente e i suoi tempi, gli anacronismi e l’ inattualità della psicoanalisi. Nella seconda, a cura del CNP, si è dibattuto sulla costruzione mitica e la narrazione storica, sulle tracce delle trasformazioni operate nello scorrere del tempo dal pensiero dell’uomo.
Tra i relatori della prima giornata, il Direttore della Rivista Psiche, Maurizio Balsamo, e una delle redattrici, Angela Iannitelli. Era prevista la partecipazione della filosofa Manuela Sanna che, assente per un repentino malore, ha messo a disposizione il testo della sua relazione. A completamento, l’attore e regista teatrale Antonello Corsi.
M. Balsamo si è soffermato ad analizzare alcuni anacronismi della psicoanalisi partendo dal filone degli spaghetti western e dal film ”Maciste contro Zorro”, opera strana e bizzarra che mescola epoche, personaggi, narrazioni in una riscrittura che si prende gioco del tempo, capace di inferire assonanze impreviste e insensate. Maciste e Zorro possono essere visti come due aspetti di una stessa realtà, precisa il relatore. Il primo rimanda all’eccesso della forza mitica, oscena nella sua visibilità, rappresentazione dell’immaginario fallico, il secondo all’ espressione di un pudore, una debolezza interna a uno scenario di furbizie, accorgimenti, travestimenti. Forse l’eroe mitico delle origini porta in sé anche l’infans riscattato dalla sua condizione di impotenza, così come lo spettatore dei film comico-erotici adombra in sé l’adolescente che in pubblico vede collocati pensieri segreti e antiche pruderie. L’anacronismo, si chiede Balsamo, oltre che essere un dato costitutivo dello psichismo è anche una chiave di lettura del tempo.
La psicoanalisi si interessa alla storia. Nel 1932 Freud scriveva che la psicoanalisi si occupa dei dettagli. L’inconscio è una macchina che “ acchiappa” i dettagli, li connette senza sosta, li raccoglie e li lega in una rete di rimandi significativi. ( C.Ginzburg “Spie.Radici di un paradigma indiziario”).
L’anacronismo può essere visto come lo statuto di una paradossale contemporaneità della psicoanalisi, è nella sua capacità di intercettare ciò che di non presente, di “reminiscente sintomatico” si coglie nel tempo presente. La psicoanalisi è inattuale perché capace di cogliere ciò che non è mai perfettamente presente, ciò che si ripete.
L’Io è il primo storico, il primo narratore e costruttore di storie. Inserisce il già detto tra un racconto soggettivo e un mito familiare o gruppale. Il mito è ciò che non è stato ancora singolarizzato o esprime un deficit di singolarizzazione. C’è irriducibilità del mito al racconto e alla traduzione.
Ogni evento psichico comporta un processo di trascrizione e ritrascrizione continuo.
Gli anacronismi della psicoanalisi investono i resti inevitabilmente prodotti nello scarto tra inconscio e coscienza ; le reminiscenze del passato che interferiscono col presente ; i meccanismi di funzionamento anticipatorio che caratterizzano l’inconscio e il suo rapporto con la coscienza.
La psicoanalisi tende a uno sviluppo associativo della mente, ciò che dà unicità e soggettività. Angela Iannitelli ha illustrato nella sua relazione le tracce dei no come generatori di cambiamento soffermandosi a considerare i no atemporali e costitutivi del presente, i no verso i dogmi, e i saperi preesistenti. Partendo dalla storia della scoperta del NGF da parte del premio Nobel Rita Levi Montalcini ha arricchito la sua presentazione con la lettura di passi tratti da “Elogio dell’imperfezione » per poi affrontare il tema del “giacimento traumatico” come possibile fonte di scoperte. Ha altresì posto l’accento sulla “funzione creativa dell’inconscio”, come ci ricorda Bollas. L’attributo di “peste” dato alla psicoanalisi vale ancora oggi, quando questa scienza si pone come promotrice di plasticità, di dinamicità psichica, contro il dogma della malattia sempre fedele a se stessa, consentendo l’irruzione del nuovo, dentro una epigenetica che potremmo definire psicoanalitica.
L’attore Antonello Corsi che nell’ambito di una rappresentazione ospitata nella rassegna teatrale di Benevento Città Spettacolo 2015 ha interpretato Prometeo, da Eschilo a Robert Lowell, porta all’attenzione del pubblico in sala un interrogativo: come si recita oggi Prometeo? Prometeo è andato « oltre » il mito del tempo, simbolo di ribellione e sfida all’autorità, metafora del pensiero, archetipo di un sapere sciolto dai vincoli della falsificazione dell’ideologia.
Prometeo non teme Zeus, teme la sofferenza, come viene argutamente sottolineato da uno dei partecipanti ( G.Tajana, Uni Na). Si accende il dibattito tra il pubblico e i relatori.
Viene ricordata la figura di Antigone che incarna la capacità di opporsi al potere come contraltare a quella di Prometeo, eroe “scatenato “ nella doppia accezione del termine, contrario agli dei e libero dalla soggezione al potere. Il sapere è inscritto nel corpo. Nel pensiero di G. B. Vico, autore citato nella relazione di Sanna, viene sottolineata la presenza di una universalità del sapere inscritta nel corpo e nel dolore. La Shoà ne è un chiaro esempio. ( E. D’Antuono, Uni Na).
Nei film manieristi, si sottolinea ancora dal pubblico, manca l’elaborazione del lutto che prelude alla trasformazione : e’ questo elemento che fa includere in un solo insieme Maciste e Zorro. Prometeo è precedente alla trasformazione, è figura desiderante e irriducibile (S. Thanopulos, CNP) .
Si menziona, a proposito dell’anacronismo e della contemporaneità come possibilità di co-costruzione di pensiero, una piece teatrale portata in scena a Benevento negli anni precedenti. Scritti tratti da Pessoa e Beckett vennero utilizzati per mettere in sepoltura « Manfredi » sul ponte Leproso situato nella cittadina del Sannio. Il pubblico era convolto in un gioco di illusoria immersione nel tempo datato. Tra gli attori, lo stesso Corsi (L. Califano, CNP).
Nel teatro dell’assurdo e nel cinema surreale, si osserva, effetti di contrasto investono non soltanto anacronismi ma anche dettagli « fuori contesto » da cui possono scaturire momenti di irresistibile comicità (cfr Totò e Maciste). Il tempo diventa pura illusione. La fiaba trae la sua efficacia narrativa da questa «eccentricità» che esprime una opposizione alla logica condivisa (R. Gentile, CNP). E’ la logica dell’inconscio, precisa in un suo intervento successivo Balsamo, che procede così, senza tener conto del tempo e con dei «no» non logici.
Vi sono aspetti paradossali del mito e dell’eccedenza, prosegue Balsamo, su cui si costruisce la dimensione della contemporaneità’. Bisogna poter distinguere tra un “eccesso da eccedenza” (cfr Tausk e le macchine influenzanti) e una « eccedenza che produce traumaticita’ ( Ferenczi ).
Kafka, che identifica la verità in qualcosa che abbaglia, intuisce che il sapere produce una risposta nel corpo, una smorfia significativa.
Nella seconda giornata, dal titolo “Spazi, Miti, Storie” due psicoanaliste, Patrizia Cupelloni, (CDPR) e Gemma Trapanese ( CNP), si sono confrontate sulle diverse forme di rappresentazione dei miti di ieri e di oggi con Roberto Serino, Ordinario di Composizione, Facoltà di Architettura Uni Na.
G Zontini, Segretario Scientifico del CNP, ha introdotto i lavori con alcune riflessioni sul mito e la sua funzione fondativa dell’individualità e della stirpe. Il mito è indispensabile per costruire una rappresentazione dei legami che intercorrono tra gli individui e la società. Asservito a una sorta di “istintualita culturale” si insinua negli interstizi di questi legami lavorandone le rappresentazioni. Zontini si chiede se la cultura dell’immagine abbia cambiato il mito. In tal caso quale la trasformazione del legame tra natura e cultura? Ci sono ricadute etiche di questa trasformazione?
P.Cupelloniriprendegli interrogativi posti da Gemma Zontini per riformularli in un’unica questione : il mito pone una domanda sull’origine.
Nella sua relazione torna sulla figura di Antigone, un’occasione per rivedere l’Edipofreudiano non riducibile ad una semplice triangolarità che configura e regola le relazioni umane. Vi si adombra l’ enorme importanza che ricopre il rapporto tra fratelli. Antigone ci suggerisce l’esistenza di un piano passionale interno che può diventare conflittuale con la Legge.
Antigone è proposta come colei che ama con passionalita’, ama i fratelli, la sorella, la madre, respinge con ira la sorella e rivendica il diritto a seppellire il fratello. Viene punita con una sepoltura, da viva, dentro la sua tomba.
Cupelloni ricorre a due immagini per poter pensare Antigone:
La prima fa riferimento ad Ismene, sorella di Antigone, che le si contrappone come colei si piega alla legge e sopravvive. Antigone, parte interna di ciascuna donna, è invece ancorata alle origini e alle tradizioni. Destinalmente annientata ma umanamente viva. Antigone consente di vedere dentro di noi la complessità dell’identità femminile. C’è un quid indicibile, sottolinea Cupelloni, di passionale che emana grande vitalità.
La seconda immagine riguarda un dipinto di Rothko dal titolo Antigone. Ai primordi del male (1941).Vi si rappresentano figure scomposte e molteplici poste in un doppio piano che ci mette di fronte al mostruoso, al sessuale.
C’è una inspiegabilità del dipinto che rimanda al rapporto che lega il singolo al gruppo, l’umano con l’animale.
Antigone parla e tace, due funzioni importanti che, nella giusta misura, svelano un equilibrio emozionale. Antigone tace il segreto (riferito all’assassinio del padre Laio cui seguono le nozze incestuose della madre con Edipo) ma urla il suo diritto. Il potere la condanna, rendendola muta.
Antigone rimanda alla struttura dello psichico, è una voce corale che porta in sè il maschile e il femminile.
Cupelloni ipotizza che, come Gradiva, avanzi alla ricerca di un nucleo di verità e che tale nucleo riguardi il campo materno, sia in relazione alla scomparsa della madre.
Potremmo dire che Antigone risignifica l’Edipo mostrandoci come i percorsi identitari siano caratterizzati da un lavoro di differenziazione che procede per sottrazione.
Non è un caso che Lacan veda in Antigone un punto di svolta dell’etica. Antigone è l’essenza della tragedia, lotta contro l’abuso del potere nel corpo. Rivendica il diritto a poter vivere il lutto in ciò tracciando un cammino masochistico. Antigone è l’incarnazione del desiderio allo stato puro.
Di sapore ben diverso l’amore spietato e crudele che può declinarsi fino all’infanticidio, di cui ci parla nella sua relazione Gemma Trapanese. Sullo schermo, ad introdurci nell’argomento, la proiezione della fotografia del bambino siriano restituito dal mare sulle spiagge della Turchia. Un bambino morto nelle braccia della madre, divenuto macabro simbolo di una collettività anonima che rivendica le proprie radici, il diritto a un nome e a una sepoltura. La condizione disumana in cui versa tale umanità, ridotta al silenzio informe della morte, ci riporta a Medea, sposa straniera rifiutata, barbara balbuziente, dal linguaggio intraducibile, in cerca di integrazione.
Gemma Trapanese si chiede se può un bambino morire nelle braccia della madre. Siamo abituati a pensare a una madre che muore e non viceversa. Chi ha ucciso il bambino siriano trovato morto sulla spiaggia turca?
Nella tragedia di Euripide una madre uccide due figli : creando un buco nella trama delle generazioni, cancella il futuro. Dovremmo pensare che altrettanto stia accadendo oggi, nel nostro mondo tormentato da migrazioni e catastrofi epocali.
Medea ama Giasone con una passione che non conosce limite, eroina prossima all’errore, uccide i figli punendo Giasone perchè ha tradito il loro amore follemente spietato che continua a negare la detestabile soggettività dell’altro.
Medea attacca il desiderio, ci interroga sul rapporto madre-figlio, uomo-donna, rappresentazione della fine dell’infanzia e dell’onnipotenza infantile. Medea, propone Trapanese, è simbolo di un lutto impossibile.
Roberto Serinoprocede a un breve excursus del suo modo di guardare all’architettura come un linguaggio che ci racconta lo spazio, il modo in cui gli oggetti vengono disposti nello spazio.
Con gli strumenti architettonici individuiamo qualcosa a prescindere dal fatto che accada, c’è possibilità di rigenerare, di rinnovare il racconto.
Serino ricorda che M. Antonioni soleva girare con un quadernetto in cui annotava tutto ciò che lo colpiva .
C’è un “punto stellare” da cui può ripartire “un’altra” storia. Basta afferrare un indizio che colpisce, una traccia autobiografica.
Facciamo un progetto indipendentemente dal fatto che venga realizzato. Lo spazio non cambia, cambia il nostro modo di attraversarlo e di usarlo.
Nella modernità siamo rintracciabili in un sistema di coordinate e non altre, è quella che si chiama “navigazione satellitare”. Siamo passati dalla navigazione stellare a quella satellitare. L’uso di internet permette di localizzare velocemente un luogo, possiamo essere lì. Si tratta però di “un luogo non luogo”, di un essere lì senza fare esperienza del luogo. Basta il cambiamento di un solo indice della sigla che lo identifica nella mappa di Internet, che il luogo non c’è più e non si è più lì, non si è mai stati lì.
Questo principio spiega la scelta del titolo enigmatico dato alla stessa relazione. Si tratta delle coordinate di Palazzo Paolo V che ospita la sede del Convegno.
L’architettura come linguaggio può esprimere emozioni.
Rothko, nel dipinto citato, identifica una centralità dolorante in Antigone raffigurandola mediante la linea al centro del quadro, una linea che è presente nei quadri successivi di questo autore. Il linguaggio architettonico è come un venire dall’ombra area delle reverie e della evocazione. Se teniamo conto della linea del tempo, nelle pause affiora il classico. Dal classico che si reincarna si può Imparare l’arte di immaginare per costruire e inventare. Anche in architettura si parla di equilibrio nel rapporto tra continuità e discontinuità, tra presenza e assenza. L’attenzione va là dove non ci sono cose, al “fare vuoto”: è qui che si possono creare le emozioni.
Dalla sala si anima il dibattito. La funzione del mito, si osserva, non è conoscitiva né esplicativa ma illustrativa. Freud “illustra” l’umanità dell’incesto. In Palomar, Calvino scrive che bisogna smettere di comprendere, bisogna imparare a sospendere la comprensione. La sospensione del giudizio è l’assetto principale dell’analista al lavoro. Antigone pretende ostinatamente la sepoltura di Polinice, rivendica un cunicolo in cui poterne custodire le ossa. La sepoltura è un atto complesso, testimonia la presenza di vari livelli di funzionamento della mente, tra cui quello simbolico. Antigone “pretende” l’umanizzazione: vi è battaglia tra una istituzione ottusa che non è umanizzante e un atto umanizzante. La questione posta da Antigone è che non si può perdere un fratello, è un clan narcisistico originario che non si può trasformare: ” è un lutto impossibile”(Lucio Russo, CPDR).
Si torna su Antigone , vista come colei che rappresenta la giustizia che fa risaltare l’umano. Con la sepoltura il fratello “può” essere considerato un essere umano. Allo stesso modo, la foto del bambino esanime sulla spiaggia fa trovare una dimensione umana alla tragedia disumana dei migranti dispersi in mare ( E. D’Antuono).
Qualcuno tra i presenti in sala suggerisce di vedere in Medea l’eccesso di passione, in Creonte l’assenza di passione. Il mito come “sito” interstiziale, messa in forma del sensoriale , processione del rappresentativo », può essere visto, specifica Zontini, come “oggetto transizionale collettivo”.
L’aspetto più inquietante nel coro dell’Antigone è l’umano sentimento di giustizia, « voce silenziosa e alta della storia occidentale ». Curiosamente, in un’epoca in cui Il mito scompare, nel vuoto rappresentativo della catastrofe compare la fotografia: è grazie a questa che il bambino trova un nome e una dignità viene data alla sua storia. Losguardo sulla vicenda del bambino è individuale, sociale e corale insieme e sovverte l’ordine delle cose. Lo sguardo strappa al mare, disseppellisce dal nulla e consente una pietas corale che si era bloccata ( E. D’Antuono).
Si torna sul dipinto di Rothko osservando che dove c’è predominio della forma, c’è l’informe ( V. De Micco , CNP).
La questione della sepoltura implica la possibilità di separare i vivi dai morti, ossia permette il lavoro del lutto senza il quale la compresenza di vivi e morti genererebbe morti viventi. Nelle tragedie greche di cui si sta discutendo, si parla della passione femminile. Due eccessi si confrontano: se la passione femminile resta inascoltata siamo alla catastrofe. Medea e Antigone sono, entrambe, figure dell’etica (S.Thanopulos).
Gemma Trapanese ricorda infine che Il mito ha a che fare con la messa in forma: se c’è un bambino morto non c’è più madre, se la madre uccide il figlio, uccide se stessa.
Novembre 2015
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