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31 gennaio 2015 C.di P.R. Essere e divenire – L’esperienza della psicoanalisi

29/03/15

Essere e divenire – L’esperienza della psicoanalisi

31 gennaio 2015 Centro di Psicoanalisi Romano

Report a cura di Francesca Izzo

Il convegno “Essere/Divenire. L’esperienza della psicoanalisi”, che si è svolto a Roma lo scorso 31 gennaio è stato dedicato alla presentazione del volume degli scritti di C. De Toffoli  Transiti corpo-mente. L’esperienza della psicoanalisi, a cura di B. Bonfiglio (2014), e ha visto la partecipazione numerosa e appassionata di molti iscritti. Nella sessione mattutina B. Bonfiglio, R.  Vermote e A. Ferro hanno presentato lavori che da angolazioni diverse hanno trattato il tema del convegno. Nella sessione pomeridiana sono stati presentati in successione i lavori di M. Petruccioli, P. Passi, D. Cinelli, F. Benedetti, A. Bovet, R. Vari e G. Cau che con la loro voce personale hanno dato espressione al percorso del gruppo di studio fondato e coordinato per anni dalla De Toffoli sul tema della Multidimensionalità nel pensiero di Bion. (Il gruppo, di cui fanno parte  anche Alessandro Antonucci, Edoardo  Borghese, Annalisa Lunco,  Angelo Macchia, Rosella Rotiroti e la sottoscritta, ha avuto la sua prima uscita pubblica ai Seminari di Bologna nel 2013 e poi il 25 ottobre 2013  con una giornata sul tema  “L’ultimo Bion” al Centro di Psicoanalisi Romano).

La giornata seminariale è stata aperta da Bonfiglio con un lavoro che sviluppa una riflessione teorica, integrata da un ampio stralcio di un’interazione clinica con un pz al 5° anno di analisi, a partire da due interrogativi posti all’inizio della sua relazione. ‘Come favorire l’accesso alla vita psichica piena e la messa in moto di un processo che possa accompagnare l’esistenza, con acquisizioni successive di profondità e consapevolezza di sé? ’(Bonfiglio, 2015,1). O per dirlo con le parole di Bion: ”Come passare dal “conoscere” “fenomeni” a “essere” ciò che è reale?” ( Bion, 1965,204,cit. in Bonfiglio, 2015, 204).  Scrive Bonfiglio che “il progressivo ridimensionamento dell’attenzione dato all’aspetto cognitivo, al pensiero e alla rappresentazione (trasformazione in K) a fronte di una valorizzazione degli aspetti affettivi ed esperienziali” (Bonfiglio, 2015,1) ha introdotto cambiamenti nell’assetto clinico e nella tecnica analitica. Privilegiare il lavoro sulla dimensione dell’esperire,  soprattutto nei primi anni del trattamento analitico, attiva nel paziente un cambiamento psichico che si produce a un livello della mente indifferenziato e ignoto che Bion ha denominato trasformazioni in O (Bion,1965). Ciò è in linea con la stessa intuizione di Freud che riteneva “che il lavoro di rielaborazione “cognitiva” (Freud, 1913,361;1925,305;1937,544-49 richiedesse un qualche successivo lavoro interno per acquisire significato pieno per il soggetto” (Bonfiglio, 2015,2). “Occuparsi dell’”essere”, scrive Bonfiglio nel suo lavoro, rimanda ad una dimensione primaria, indifferenziata che è massima nel funzionamento psichico delle origini, estesa negli stati primitivi della mente e, come spiega bene Vermote nella relazione successiva, presente come uno dei livelli di funzionamento psichico della mente umana. Occuparsi dell’area primaria della mente come analisti “richiede necessariamente di riferirsi “al regno dell’illusione che è alla base dell’inizio dell’esperienza” (Winnicott,1953,43) ed al tema della creatività. Intesa, quest’ultima, nei termini suggeriti da Winnicott (1971) che la connette alla capacità di entrare in contatto con la realtà esterna”(ib.). La Milner, citata sia da Bonfiglio che successivamente da Vermote , nel 1956  collocò l’origine di questa creatività non in un individuo isolato ma nello spazio tra due (…) intendendo “l’area dell’indifferenziazione- quella in cui originano illusione, creatività ed intuizione- non all’interno dell’individuo bensì tra sé e l’altro.” (Vermote,2013 cit. in Bonfiglio,2015,2). Secondo la concezione dello sviluppo della Milner, il bambino deve compiere un “atto di immaginazione” per integrare l’esperienza sensoriale (elemento beta per Bion), del contatto con il dentro e il fuori. E’ solo attraverso l’integrazione immaginativa che, in una condizione di dipendenza dall’ambiente in senso winnicottiano, il bambino crea il primo materiale mentale fatto di una “materia affine ai sogni”, da cui emergeranno, prima immaginativamente, la percezione, la  realtà stessa -compreso il proprio corpo inteso come oggetto- e solo secondariamente, la consapevolezza e la coscienza riflessiva. Analogamente all’atto vitale del respirare dopo la nascita, “la mente immaginativa” e la funzione onirica di Bion in connessione con le emozioni e i funzionamenti inconsci attivano la vita psichica e aprono alla conoscenza, in un modo che oggi le moderne neuroscienze attribuiscono all’attività del cervello destro, deputato all’elaborazione dell’umore e degli affetti di tipo non verbale, più che a quella del sinistro più attento al verbale e al razionale. (Schore,2003,259, cit. in Bonfiglio, 2015, 2). 

Nella seconda corposa relazione, Vermote, già presidente della Società Psicoanalitica Belga, profondo conoscitore di Bion e autore di molti lavori sul pensiero del “Tardo Bion”,sviluppa il tema delle differenze nel cambiamento psichico a seconda dei livelli di funzionamento della mente coinvolti. Sulla base dei contributi delle ricerche delle neuroscienze (Ledoux,1998; Damasio,2000; Lieberman et al., 2004, 2007; Kahneman,2011 ecc.)  Vermote dà particolare rilievo alla persistenza e alla profondità del cambiamento psichico che si produce a livello di cervello basale, l’unità neuronale che connette tra loro i siti negli strati di base della mente quali la corteccia prefrontale ventro-mediale, i gangli basali, l’amigdala e la corteccia temporale laterale, che Lieberman e colleghi hanno denominato Sistema X. Vermote paragona il sistema X che funziona in modo procedurale, senza sforzo, velocemente, senza parole e senza memoria esplicita, alla O di Bion ed equipara il cambiamento in questa modalità di funzionamento indifferenziata alla trasformazione in O sul sistema finito/infinito dell’ultimo Bion. A questo livello di funzionamento della mente c’è pura esperienza, non esiste il tempo, non vi è differenziazione, non vi è interno-esterno, corpo e mente s’incrociano come nell’anello di Moebius. Su quest’ultimo aspetto Vermote trova il punto di contatto con il libro della De Toffoli che ha utilizzato il concetto in modo originale per dare una spiegazione ai fenomeni di comunicazione nei transiti mente-corpo sia nel paziente sia nella réverie incarnata dell’analista all’interno del campo analitico.  (Vermote ci ricorda che anche Lacan aveva usato la stessa immagine). A questo livello indifferenziato, infinito, non verbale non ci può essere apprendimento diretto e il flusso esperienziale può essere colto solo tramite l’intuizione “nella zona della mente che fa libere associazioni e che vaga dell’analista e/o del paziente e assume una forma che alla fine puo’ essere comunicata o sognata in un altro momento” (che Vermote denomina anche “zona intermedia”, 2015,9).      Vermote mettendo insieme alcuni modelli psicoanalitici della mente e le ricerche neuroscientifiche propone un modello integrato che descrive tre aree o modalità di funzionamento psichico:                              -la mente logica, ragionante, connessa al linguaggio, conscia e differenziata che occupa solo il 5% del  funzionamento mentale totale.  Essa corrisponde al Sistema C. di Freud, all’ordine simbolico di Lacan, alla ragione di Bion ed è paragonabile alla figura di Edipo del mito, la zona intermedia, di cui  si accennava sopra, una zona mista tra finito e infinito che corrisponde  al sogno e alle libere associazioni (Freud), alla fantasia inconscia (Klein), alla réverie e alla creatività T(K) (Bion), all’immaginazione (Lacan). Questa seconda modalità è quella a cui lavora maggiormente la psicoanalisi e corrisponde alla DMN (Default Mental Network) o mente associativa vagante, parte inconscia dell’Io freudiano, coincidente anche con  il pensiero onirico della veglia di Bion. E’ in questa zona intermedia che le esperienze e le percezioni diventano psichiche, acquisiscono una forma e avvengono i processi di trasformazione rappresentazionale (ib.,7). In questa area in cui si svolge prevalentemente il lavoro psicoanalitico e funziona meglio tanto più l’analista è capace di stare nel paradosso di una concentrazione che lo rende tanto più “presente” , quanto più ”assente” e spoglio di memoria, pensiero, desiderio. Il funzionamento di questa zona è paragonabile alla figura della Sfinge del mito di Edipo.   -l’area della mente indifferenziata a funzionamento infinito non verbale in cui tutto è interconnesso sia nel corpo con reti infinite che funzionano localmente in modo separato ma sono interconnesse ad un livello globale,( Maturana, Varela) che nel cervello basale. Questa modalità di funzionamento indifferenziato è del tutto prevalente nella fase primaria e preverbale dello sviluppo e corrisponde all’inconscio primario senza tempo, contraddizioni e legami di causa effetto e all’Io corporeo di Freud, alla dimensione O  di Bion, al Sé non comunicabile di Winnicott, al reale di Lacan. Il funzionamento di quest’area è paragonabile alla figura di Tiresia del mito di Edipo. 

 La prima e la seconda modalità sono in competizione tra loro, appena si risveglia l’attenzione e si inizia  a ragionare si smette di sognare e le associazioni libere si fermano. A livello della zona intermedia la psicoanalisi lavora con libere associazioni orizzontali in un processo guidato dalle emozioni e dal transfert in cui i pensieri vagano, e i sogni mettono in collegamento la zona finita verbale con quell’infinita non verbale. I sogni possono essere visti sia come elaborazioni – trasformazioni psichiche T(K), sia come “generazione di ipotesi (…) in previsione di ciò che verrà” (ib. ,15). Questa zona intermedia costituisce al contempo anche un ostacolo al contatto intuitivo e può formare uno schermo, (una crosta come dice Bion), e richiede per essere superato un accesso alle libere associazioni verticali tramite l’intuizione. Ciò è facilitato da una mente “vuota”, asensoriale e distaccata dalle emozioni, concentrata in un assetto di tipo meditativoda cuisi può cogliere qualcosa che emerge dalla zona infinita. In termini bioniani O incontra K. Le interpretazioni che hanno questa base sono pochissime nel corso di un’analisi ma secondo Vermote sono quelle che producono un cambiamento duraturo e persistente in quanto incidono sul sistema X “che non è così flessibile e non dipende dai pensieri del soggetto o dai contatti con l’altro.”(ib., 5) e sono le uniche che rendono terminabile un’analisi.

L’intervento di Ferro è stato introdotto da un video che con i disegni animati illustra le differenze e le interconnessioni tra modelli basati su “modalità relazionale forte”, “modalità intersoggettiva forte” e concetto di campo. Mentre nell’ottica relazionale e intersoggettiva, tramite identificazione proiettiva, le “cose mentali” viaggiano da una mente a un’altra, se si usa il concetto di campo si introduce un grande cambiamento perché si  dà spazio alla comunicazione inconscia che si ritiene emerga da un magma emotivo in cui le emozioni prendono il nome dei personaggi creati nel dialogo analitico. Nelle vignette cliniche riportate, alcune delle quali tratte dall’ultimo libro Viscere della mente, si vede bene come le emozioni prendendo forma in “personaggi di casting” si evidenziano nel corso della seduta. Così ad es. l’emozione violenta prende il nome “fidanzato punkabestia, toro di Pamplona, bambina bullizzata” ecc.Ferro, gioca con i personaggi del casting e opera una Trasformazione in gioco del materiale clinico espresso in seduta e in questo modo gioca con i contenuti inconsci, sia che si tratti dei sogni della notte, i più ricchi di funzione alfa, che  di libere associazioni e di racconti della vita diurna. Ciò consente l’accesso ai contenuti più temibili che il paziente si porta dentro e ad una loro trasformazione attraverso il gioco, analogamente a quanto succede nel trattamento psicoanalitico dei bambini.

La mattinata è stata conclusa con un bella discussione animata dagli interventi di Macchia, che ha condotto i lavori in veste di chair, Nicolò, Spagnolo, Marion e Bruni che ha concluso gli interventi della sala con sintesi e umorismo.  

SESSIONE POMERIDIANA

 La dott.ssa Maria Adelaide Palmieri, chair della sessione pomeridiana, ha predisposto con una breve e significativa introduzione una cornice sul pensiero della De Toffoli e dei suoi lavori clinico-scientifici raccolti nel volume del 2014, indicando alcune coordinate utili a collocare  i 7 brevi lavori del pomeriggio dedicati a approfondire ed espandere con riflessioni personali degli autori alcuni aspetti del suo lavoro. Palmieri sottolinea come il pensiero della De Toffoli “già nell’originarsi e prodursi, si costituisca come un campo di pensiero, passibile di espansione,  in quanto si fonda sull’essenza stessa dell’esperienza ed in quanto contempla plurimi piani investigativi e tra loro interagenti” e “come la condizione prioritaria del suo pensare si collocasse nella base clinica, dalla quale muovere per il procedere speculativo. In particolare, in quelle basi cliniche che si esprimono negli stati del non ancora essere, in aree mentali inaccessibili, in reale senso di vuoto”  (Palmieri 2015). I 7 lavori hanno in comune, pur nei diversi approfondimenti, l’assunzione del concetto di campo analitico quale base di una concezione clinica-teorica  condivisa. Il concetto di campo definisce  la relazione analitica come  un’aerea co-costruita da analista e analizzando e fondata su una multidimensionalità inconscia che affonda le sue radici nell’ignoto della mente indifferenziata e infinita, l’ombelico del transfert, secondo una parafrasi cara alla De Toffoli.  Come andare lì dove la mente  non è ancora nata, come accogliere l’emergere di memorie implicite inscritte nell’esperienza corporea e nelle esperienze primarie traumatiche che non sono esprimibili verbalmente? I 7 lavori indagano vari aspetti di questa ricerca. Marina Petruccioli introduce con il suo lavoro “Il cielo di Indra”, la dimensione mitica della mente di Bion utile all’espansione della pensabilità. Il ricorso al mito consente di svolgere quel lavoro di pensiero e rappresentazione su “verità che non possono essere dette in forma diretta, ma che il racconto consente di accostare e trasmettere, riconnettendo l’individuo al gruppo” (Petruccioli 2015,  citando Corrao, 1992). Il titolo del suo lavoro  si richiama al suggerimento della De Toffoli, di dare al gruppo di studio sulla multidimensionalità del pensiero di Bion, in una fase di sua trasformazione, come secondo nome “La rete di Indra”.   Il mito del  dio vedico Indra,  narra l’ impresa dell’uccisione del dio Vitra  ,  nemico di ogni  creazione e ogni evoluzione, e ne celebra la funzione creatrice ed ordinatrice del cosmo.  Il mito narra anche di  “come la bevanda sacra del Soma  aiuti il dio a prendere corpo, rifornendolo della forza e del vigore necessari per le sue battaglie” (Petruccioli 2015, 4)  e di come anche nel mito la “fase iniziale di formazione del mondo pare avvenire all’interno di un’area che potremmo definire di illusione o di “onnipotenza normale” come la chiama la Little (1990)” (ib.).  L’immagine proposta dal mito di una rete disposta nel cielo di Indra, “in modo tale che ad ogni punto di intersezione si trovi una gemma dalla superficie riflettente così che, osservandone una, si vedono tutte le altre riflesse in essa “ (ib. ,2) rimanda sia alla dimensione infinita inconscia in cui tutto è interconnesso che alla teoria quantistica in cui “la stessa posizione delle particelle elementari non può essere descritta in ogni momento ma si rivela solo nell’istante in cui interagisce con qualcos’altro. (ib.,5) ”Un elettrone è un insieme di salti da un’interazione all’altra. Quando nessuno lo disturba un elettrone non è in alcun luogo.” (Rovelli,2014,105; citato ib.,5). Lo stesso concetto di rete che, tradotto in termini intersoggettivi, come scrive Petruccioli, è sotteso a quello di campo analitico  “entro la quale analista e paziente in interazione dinamica co-creano inconscio e accolgono-producono pensieri” (ib.,7).

Paola Passi, nel suo intervento “Comunicazioni inconsce: ipotesi”, inizia una riflessione sulle origini dell’inconscio e sugli stati inaccessibili della mente citando Bion di Caesura (1981) “sulle idee non esprimibili perché sepolte nel futuro che non è ancora accaduto e che difficilmente possono essere considerate pensiero”, A. Chuster (2005) con il concetto di “vuoto dell’essere”, la realtà psichica a-sensoriale di Vermote, il ” “vuoto quantistico” che non corrisponde allo spazio vuoto, ma ad un oggetto suscettibile di trasformazioni e dal quale emergeranno successivamente il tempo e lo spazio” (Passi 2015,1). Dimensioni che , pur con linguaggi diversi, “hanno similitudini e possono essere in una continua, mutua creazione ed espansione.” (ib.,2),  (…)  e come scrive l’autrice con una bella immagine“ danno luogo a continui transiti ricorsivi tra l’origine delle cose che stanno nell’inconscio e l’origine dell’inconscio stesso” (ib., 2). Tra questi transiti, particolare attenzione viene dato nel suo lavoro a quello tra corpo e mente  e al concetto di De Toffoli di réverie incarnata dell’analista, che indica un fenomeno somatico che può manifestarsi anche sotto forma di sintomo. La réverie incarnata si crea dall’entrare in risonanza in O di elementi inconsci della persona dell’analista e della persona del paziente, e dà luogo al “corpo immaginativo” (ib.,) che è un particolare “oggetto transizionale” e inizio di spazio psicologico potenziale.  In quest’ottica, come illustra bene un caso clinico tratto dal libro della De Toffoli e oggetto di riflessione di Passi nel suo lavoro, “il somatico e lo psichico entrano in risonanza tra loro, oscillando dall’uno all’altro stato non in rapporto di subordinazione gerarchica, ma sono fenomeni complementari della coscienza, dello stato del sé.” (ib.,3).  Ciò è sostenibile dal punto di vista scientifico attraverso la rinuncia alla linearità “causa-effetto” utile nel trattare le cose inanimate, per assumere anche nella psicoanalisi la teoria dei sistemi dinamici complessi che Maturana e Varela applicano agli esseri viventi.

Il lavoro di Daniela Cinelli “ Due mappe, un solo mondo: il dialogo tra soma e psiche nel pensiero di Carla De Toffoli”sviluppa proprio questo punto: la centralità nella proposta della De Toffoli di “riconoscere la sapienza antica del corpo come possibile “luogo della vita psichica” , “concepito come sede originaria di una narrazione in nuce e non come il fallimento della stessa” in cui la storia primigenia del paziente affonda le sue radici.  (Cinelli, 2015,3). Cinelli attinge al pensiero della Milner, di Bion e Parsons e segnala che  sin dal suo primo scritto del 1984, De Toffoli concepisce il lavoro analitico  “con una disposizione interna a transitare o dimorare in aree ignote e primigenie”.  Le riflessioni di Cinelli sul lavoro clinico che costituisce la base delle  osservazioni teoriche della De Toffoli la portano ad affermare che  “solo rintracciando la dimensione arcaica e corporea della storia dell’individuo e percorrendola a livello sensoriale-somatico si può operare una traduzione/interpretazione che rifletta l’esperienza di un attraversamento. Per decodificare qualcosa occorre che prima venga “incarnato” nell’analista e poi reso intellegibile. Si può così scorgere una sequenza ritmica del processo analitico: abitare-incarnare-sognare-ricordare-diventare e così esistere”. (ib.,2) Questa concezione riconosce uno status di parità ad eventi psichici e ad eventi corporei. La lingua del soma e la lingua della psiche riecheggiano nello spazio transferale, come nel capolavoro del drammaturgo irlandese Friel intitolato “Translations”(1980) richiamato da Cinelli nel suo lavoro, “come una comunicazione fondata sul desiderio di annullare la distanza, sui sensi, nostalgica di vissuti primari e costituita da essi.”

A seguire un lavoro clinico di Ferdinando Benedetti che presenta un passaggio critico nella fase iniziale di un’analisi che viene superato attraverso la significazione di una comunicazione inconscia avvenuta sulla dimensione corporea. Benedetti cita uno scritto della De Toffoli che nel 1988 ipotizzava  che “le vicende emotive, o i fatti della vita”  non compresi e tollerati nel campo analitico, possono dare luogo ad una “serie di dolori, malattie o agiti che dovrebbero servire a non incontrare direttamente l’evento o l’esperienza emotiva temuti come troppo dolorosi e quindi potenzialmente capaci di mettere a rischio la sopravvivenza e la continuità l’integrità psicofisica” (De Toffoli, 2014, 47 a cura di B. Bonfiglio). Così nel caso clinico di Benedetti “i corpi si incaricano di rappresentare e comunicare ciò che per ragioni oggettive e soggettive non può essere detto” e la “comunicazione può avvenire attraverso i corpi e mantenersi ad un livello inconscio.”

Roberto Vari nel suo lavoro dal titolo “Guardare con cuore attento” si sofferma sulla qualità della presenza dell’analista e sul coraggio che gli è necessario per usare la propria immaginazione speculativa. In questo senso per Vari l’analista è simile al poeta e il linguaggio stesso dell’analisi è accostato alla lingua poetica “che evidenzia relazioni tra cose precedentemente sconosciute” (Shelley, 1821,73. Citato in Vari 2015,3). Scrive Vari ricordando il racconto della dottoressa De Toffoli sulla sua partecipazione al seminario che Bion tenne a Roma il 15 luglio del 1977, che Bion stesso esortò i partecipanti alla serata scientifica ad esprimere il proprio pensiero creativo e distribuì loro una scelta di citazioni poetiche. Il linguaggio poetico è affine al linguaggio dell’effettività ( espressione che come ci ricorda Vari, Bion prese in prestito dal poeta inglese Keats) che Bion riteneva quello più adatto ad essere usato all’interno dell’incontro analitico “perché qualsiasi decisione prendiamo o qualsiasi affermazione enunciamo dovrebbe lasciare spazio alla crescita e allo sviluppo”( Bion,1983,70, cit. in Vari 2015,2) Lo stessa attenzione per il linguaggio, quando scaturisce dal guardare con il cuore attento il paziente, che Vari ritrova in varie forme negli scritti di M. Milner,, Winnicott, M. Little, Bollas, Langs e Odgen.

 Il lavoro di Anna Bovet s’incarica di riflettere sull’importante questione di come affinare ed espandere quello stato mentale ed emotivo dell’analista che lo rende recettivo  a “raggiungere quegli stati della mente “inaccessibili”, che appartengono all’inconscio non-rimosso dove sono contenute le tracce di traumi precoci legate a esperienze di “buchi” nella trama di continuità dell’essere”, o il conosciuto non pensato di Bollas     ( Bovet, 2015,3). Se si assume il punto di vista del concetto di campo psichico come reciprocamente scoperto e creato da paziente ed analista in una multidimensionalità inconscia, allora,  scrive Bovet citando un lavoro di De Toffoli del 2002 “Le trasformazioni psicoanalitiche hanno luogo quando i confini e l’attività mentale sono temporaneamente sospesi, si realizzano in uno stato di coscienza in cui l’ego psicologico del singolo non detiene né la proprietà né il potere”. In questo stato di “vuoto dell’essere”, la mente dell’analista assume una posizione simile, secondo l’accostamento di Bion, a quella similmeditativa esperienziale della madre del lattante : una mente vuota, una mente senza soggetto. Se la psicoanalisi è come scrive Bollas (2013) una forma speciale di prassi meditativa, l’analista può raggiungere uno stato di coscienza “fuori dall’ordinario” in cui c’è il raggiungimento di un “luogo/”non luogo psichico”, “un vertice dello stato di coscienza, che come un osservatore interno osserva in modo unitario corpo, pensieri, emozioni” (ib.,2).Anche qui è necessario molto coraggio all’analista per sostenere “l’oscillazione dinamica tra strati della mente indifferenziati e stati di pensiero creativo,, tra non senso e senso, tra integrazione e frammentazione..” Oltre che fede, in senso bioniano, nel metodo psicoanalitico.

Nell’ultimo lavoro della giornata, Giovanna Cau focalizza la sua attenzione sul tema del linguaggio dell’effettività, riprendendo alcuni fondamenti del pensiero vedico legati al mito del dio Indra. Cita al riguardo Panikkar”….I Veda sono parole vive, e la parola non è uno strumento dell’uomo, ma la sua suprema forma di espressione…Quando una parola cessa di essere vivente, quando cessa di trasmettere un significato, quando per me non è più una parola…non comunica una conoscenza reale..” (I Veda-Mantramanjari, p. 16). L’altro punto di osservazione per trattare il linguaggio dell’effettività è la sua testimonianza, immersa nell’esperienza di analisi con la dott.ssa De Toffoli, di come Cau abbia sperimentato l’efficacia della parola viva- anche nella variazione di tono vocale, o nell’uso dell’ espressione “di per suo” che  apriva o chiudeva alcuni significativi interventi- che produceva un effetto sorpresa e un particolare tipo di “risveglio” della Cau analizzanda in alcuni passaggi importanti della sua analisi.

Nel dibattito  che è seguito sono intervenuti Palmieri, Lupinacci, Busato, Bonfiglio, Macchia e Bruni che hanno valorizzato il livello di interconnessione dei lavori e il concetto di réverie  corporea ed immaginativa (che reca in sé qualcosa di inspirato come nella poesia), come un convincente chiarimento di fenomeni che possono accadere nella relazione analitica. E’ stato sottolineato come i  lavori abbiano dato parola, dissolvendo un certo alone esoterico, e siano stati d’aiuto  a comunicare sugli “stati mentali indifferenziati”, “esperienza all’unisono”, “pensieri selvaggi” ecc., attraverso una riflessione condivisa su questi temi. Bonfiglio ha apprezzato come in tutti i lavori, diversamente da una tendenza attuale a dare attenzione alla tecnica, si sia invece dato molto spazio al metodo psicoanalitico.

Vorrei concludere questo report del convegno “Essere e divenire: l’esperienza della psicoanalisi” con due ricordi. Il ricordo più antico risale a quando ero una giovane studentessa alle prese con la tesi di laurea su un argomento di teoria freudiana. Il ricordo è stato sollecitato dall’incontro tra la riflessione sui temi del convegno e la lettura di questo brano tratto dall’ultimo libro di  Carlo Rovelli (Responsabile dell’équipe di gravità quantica del Centro di Fisica Teorica dell’Università di Aix-Marseille). Scrive Rovelli “…la scienza prima di essere esperimenti, misure, matematica, deduzioni rigorose è soprattutto visioni. La scienza è attività innanzitutto visionaria. Il pensiero scientifico si nutre della capacità di “vedere” le cose in modo diverso da come si vedevano prima” (Rovelli, 2014, 31). Ai tempi della mia tesi (1983), era tutto un gran discutere intorno alla crisi della metapsicologia freudiana e al fatto che i concetti freudiani di rango teorico non avessero una convalida scientifica. Per fare un esempio, prendiamo L’interpretazione dei sogni del 1899. E’ lo scritto teorico che fonda (ufficialmente) la metapsicologia freudiana con la presentazione dell’apparato psichico, la prima topica del capitolo VII, su cui Freud impianta il concetto d’inconscio rimosso. Allo stesso tempo l’opera fonda la concezione di mente sognante e descrive il suo funzionamento inconscio (basti ricordare il capitolo II, Il metodo d’interpretazione del sogno, o il capitolo VI sul lavoro onirico) . Ora il punto in cui il mio ricordo è affiorato riguarda la differenza di rango, con il quale allora si guardava ai concetti teorici e a quelli clinici-descrittivi e quindi al capitolo VII rispetto agli altri del testo del 1899. La crisi della metapsicologia ha toccato proprio i concetti  teorici ritenuti di rango superiore. E nonostante Freud non sia riuscito nella sua vita a trovare “la sua equazione teorica” (impresa che invece è riuscita a Einstein  proprio nel 1915, con la semplicissima equazione- per i matematici- con la quale diede fondamento alla teoria della relatività), non sono forse proprio i concetti freudiani più visionari e quelli clinici nati dall’osservazione intuitiva che ci fanno sentire ancora oggi pienamente partecipi come psicoanalisti della ricerca scientifica? E forse non sarà un caso che autori importanti, profondamente colti e teoricamente preparatissimi, oltre che innovatori del pensiero psicoanalitico, come Bion, Winnicott e Lacan, per citare solo quelli cui fa riferimento Vermote nella sua relazione, si siano indirizzati nella fase matura del loro percorso umano e professionale a teorizzare un certo necessario distanziamento dalla “forma mentale teorica”.  La quale deve essere sì posseduta profondamente, ma anche attraversata e lasciata sullo sfondo perché si possa dare spazio a esperienze generatrici di evoluzione che condurranno forse in futuro a nuove forme di metapsicologia come accenna anche Paola Passi nelle conclusioni del suo lavoro.

  L’altro ricordo più recente riguarda la mia partecipazione alla conferenza sul tema “La matematica dell’incertezza” del professore M. Du Sautoy (docente di matematica a Oxford) tenuta al Festival delle Scienze che si è svolto all’Auditorium di  Roma alla fine di gennaio 2015. Riporto qualche brano di un estratto del suo intervento pubblicato da Repubblica il 1 febbraio, giorno successivo al nostro convegno. Scrive Du Sautoy : “ I matematici sono cantastorie. I nostri personaggi sono i numeri e le geometrie. Le nostre storie sono le dimostrazioni che creiamo intorno a questi personaggi. (….) Dopo il grande Fermat, la sfida per generazioni di studiosi è stata trovare un sentiero che portasse da un territorio conosciuto già esplorato dai matematici, a questa terra nuova e misteriosa. (…) … L’elemento sorpresa è una qualità chiave di una dimostrazione matematica ..” e poi Du Sautoy prosegue citando quanto dice il matematico Atiyah a proposito delle caratteristiche della matematica che gli piace: ”Mi piace rimanere sorpreso. L’argomentazione che segue un percorso codificato, con pochi elementi nuovi, è noiosa e insulsa. Mi piace l’elemento inaspettato, un punto di vista nuovo, un collegamento con altre aree, una pestata di piede”.

E noi psicoanalisti non vogliamo la stessa cosa per le nostre ricerche?   

Roma 10 marzo 2015

 

Vedi anche:

Transiti corpo-mente. L’esperienza della psicoanalisi.. A cura di Basilio Bonfiglio. Carla De Toffoli – Franco Angeli (2014)

Bonfiglio B. – Divenire soggetti.

24 gennaio 2015 C.P.di R. Cura e Soggettivazione in Adolescenza

Newsletter SPIWEB n. 164 del 27/10/2014 – Rivista di Psicoanalisi – Volume LX – 3 – Luglio-Settembre 2014

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