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3 dicembre 2016 CPdR Quale domani per la famiglia dell’oltre Edipo?

8/02/17

Quale domani per la famiglia dell’oltre Edipo?

Roma 3 dicembre 2016 Centro Psicoanalitico di Roma

Report a cura di Francesca Pizzino

Il convegno che si è tenuto a Roma il 3 e il 4 dicembre, organizzato dal CPdR, Quale domani per la famiglia dell’oltre Edipo, è stato il lavoro conclusivo di un Esecutivo che, a più riprese, ha ricercato un nuovo modo di dialogare e riflettere sui temi che interrogano il momento sociale che attraversiamo. Articolato in tre diverse sessioni, ciascuna con un proprio tema, ha lanciato di volta in volta un confronto a più voci rendendo la complessità dell’argomento proprio attraverso l’accostamento di diversi punti di vista dialoganti tra loro.  M. Fraire ha aperto i lavori riflettendo sulla complessità della famiglia a prescindere dalle diverse forme famigliari che attualmente si stanno presentando. In discussione sono i ruoli e il significante stesso dei ruoli all’interno della struttura familiare: il padre, la madre, l’autorità paterna, la funzione procreativa, la persona che si prende cura del nuovo nato,  il figlio a qualsiasi età, il figlio frutto di un desiderio di coppia ma non di accoppiamento, per enumerarne alcuni.  Tuttavia come custodire il senso della triangolazione se lo sviluppo psicosessuale non poggia più sulla roccia dura della castrazione paterna? Soprattutto, a partire dalla clinica, cosa osserviamo oggi di quello che noi stiamo chiamando le nuove famiglie? Quale l’immaginario individuale sulla famiglia da cui proveniamo e su quella che vorremmo costruire come nostra famiglia? Il crollo dell’ordine famigliare patriarcale lascia un diffuso senso di sradicamento che prende forma attraverso gli interrogativi circa l’origine e il senso della vita, che spesso ascoltiamo nella stanza d’analisi.

Con tutto ciò è la famiglia nella sua totalità, oltre che le figure parentali, a svolgere un ruolo nei processi di identificazione, osserva A. Nicolò, che ricorda come D.Anzieu già parecchi anni fa parlava di un “Io pelle della famiglia e della coppia”. La società attuale sgretola le grandi matrici di simbolizzazione ed espone a un malessere specifico del nostro tempo. Nicolò immagina che Amleto, forse più che Edipo, possa dirci qualcosa delle caratteristiche identitarie dell’uomo attuale, la dimensione tragica dell’esistenza fondata più nel dubbio, nell’indecisione, nell’ambiguità che nel limite.

Questa l’apertura del convegno e della prima sessione di lavoro che ha messo a tema Il complesso fraterno con i tre interventi di J.Mitchell, A.Baldassarro e G.Trapanese.

J.Mitchell nel suo intervento, I fratelli e la genesi del genere,  ha esordito ricordando che “gli esseri umani non potrebbero funzionare senza che una parte estesa della loro psiche sia inconscia”. Il rapporto tra ciò che più si desidera e ciò che è proibito, che genera orrore e angoscia, non è solo relativo all’incesto ma anche all’assassinio; desideri che comunque premono per realizzarsi. Essi sottostanno a due diverse leggi: la legge del padre, il polo edipico, e la legge della madre, il polo dei fratelli. Mitchell introduce così come elemento separativo della coppia madre-bambino, accanto alla figura del padre che immette la triangolarità, la separazione diretta dalla madre (intorno ai due anni di vita del bambino) dovuta al fatto che essa ha o desidera un altro bambino. Quest’ultimo evento ha allo stesso tempo per il soggetto una doppia valenza nell’ordine dell’immaginario: un ulteriore parte di sé ma anche qualcuno che ha preso il suo posto, un doppio e un sostituto, attivando un intenso amore nei confronti di questa estensione di sé e il sentimento invece, rispetto a chi lo ha rimpiazzato, del tipo “uccidi se non vuoi essere ucciso”, una reazione dunque alla minaccia di annientamento. La legge della madre si basa sulla minaccia di ritiro totale dell’amore e delle cure rivolte al bambino che è invece ancora dipendente, facendo leva sul fatto che è ormai grande, costituendo al contempo anche una possibile affermazione vivificante, l’invio del bambino nel sociale. È l’occasione di un rito di passaggio dalla prima infanzia pre-verbale all’infanzia sociale, la fanciullezza; implica la perdita del Sé grandioso, che ha rappresentato una difesa dal dissolvimento del sé in seguito al trauma fraterno, ponendo le basi della socialità. Tuttavia, oggi si potrebbe dire che la dimensione fraterna, attraverso la terza grande rivoluzione dei mezzi di comunicazione, i social-media, sia passata a occupare una posizione di primo piano. Le nuove famiglie come sono implicate in questa rivoluzione? Partecipando ai social-media possono considerarsi il prodotto psichico di relazioni adelfiche (Kaës, die Geschwister – i fratelli e le sorelle) nello stesso modo in cui derivano da relazioni genitoriali eterosessuali?

Dopo l’intervento di J.Mitchell c’è stata una prima tornata di dibattito con la sala.

P. Cupelloni si chiede se la legge della madre, così arcaica e prepotente, sia sufficiente definirla pre-edipica. Presenta Antigone come esempio di relazione orizzontale con la madre e al contempo di identificazione orizzontale con i fratelli.  L’identificazione orizzontale con la madre, agita fino a un suicidio attuato con la stessa modalità materna, esprime la tragicità di questa relazione.

G. Corradi avanza il mito di Oreste, come figura matricida anch’essa, eppure aperta orizzontalmente al sociale. Oreste perseguitato dalle Erinni si pente, si redime e viene reinserito. Propone una dimensione diversa da quella endogamica familiare segreta di Edipo, una dimensione con una declinazione ortogonale che apre alla comunità, a sfumature, esplicitazioni e trasformazioni.  La legge del padre è una minaccia di castrazione, la legge della madre, invece più malsana, è una minaccia di esistenza. Il patriarcato si fonda facendo lega con fratelli e sorelle, dimensione indispensabile per il confronto.

J. Mitchell osserva che le nuove famiglie non hanno più come fondamento la verticalità e si chiede se genitori dello stesso sesso più che genitori non siano fratelli.

M. Fraire suggerisce che la dimensione fraterna prospetti una terza via rispetto al parricidio edipico e all’espulsione annientante della legge materna. Le due hanno alla base una estrema violenza che caratterizza il contratto con l’alterità. L’orizzontalità, proposta nel dibattito da S. Benvenuto parlando delle famiglie arcobaleno, ha anch’essa insita una conflittualità come quella fraterna ma anche una possibilità di coesistenza con l’altro  nella conflittualità, importante per poter immaginare  un diverso modello di sviluppo e di rapporto con l’aggressività.

A. Nicolò aggiunge alle problematiche emerse una riflessione sulla “famiglia estesa” che storicamente esprimeva una dimensione molto ben organizzata su base territoriale e di ruoli (dimensione patriarcale e matriarcale) e non significava fraterna. Attualmente il senso del limite è molto più illimitato, il numero dei single è enormemente lievitato, “si può vivere anche da soli” e ciò determina un cambiamento anche dell’identità delle persone e della fantasia di autosussistenza.

A. Baldassarro nel suo intervento, Le famiglie psicoanalitiche, ha coniugato questi interrogativi con riferimento alle famiglie psicoanalitiche, ponendo la riflessione sul fatto che siamo parte delle nuove famiglie attraversate dai mutamenti che si stanno verificando nella società e quindi attraversati in prima persona da queste turbolenze. Una disamina che parte dal padre fondatore e dalla sua famiglia, segue le oscillazioni tra la conservazione e l’innovazione, facendo i conti con i resti inelaborati che fluiscono sotterranei anche nella trasmissione tra generazioni di analisti, fino ad arrivare al futuro delle famiglie psicoanalitiche proponendo una lettura dell’attuale contrapposizione tra parola e immagine. Baldassarro dà una lettura dei raggruppamenti psicoanalitici  secondo un’organizzazione familistica, attraversati paradossalmente da un aspetto paranoico. Nel confronto è più facile che il valore delle argomentazioni sia poco valorizzato e più facilmente ci si trovi davanti al rigetto del diverso quando non c’é riconoscimento del simile, in conclusione sembra accadere qualcosa di analogo alle guerre di religione. Un allargamento dell’orizzonte, una logica esogamica certo aperta alle conflittualità ma soprattutto alle contaminazioni e agli scambi, immette complessità, sembra apportare linfa creativa e attenuare le spinte distruttive e persecutorie. Eppure quanto sta accadendo nella società dà da riflettere dal momento che la risposta psichica di fronte all’assenza del limite e all’eccesso di informazione può essere lo smarrimento e una conseguente incapacità di collocarsi.

L’intervento di G. Trapanese, Reliquie familiari del fantasma fraterno, si inserisce appieno in questo dialogo sul fraterno reclamandone “una inevitabile nuova definizione metapsicologica”. Conduce la riflessione all’interno della “clinica psicoanalitica di famiglia” nella sua qualità di espansione della cura stessa. Presenta due interessanti casi clinici di pazienti in cui il lavoro clinico è stato per l’appunto svolto con la famiglia. In conclusione riprende la figura di Antigone. Essa morendo punta a rientrare in una genealogia ordinata in grado di recuperare il rapporto con quanto viene prima e quanto viene dopo. Fare il lutto del fratello morto significa seppellire il figlio-oggetto narcisistico trattenuto dentro di sé dalla madre, e anche il fratello assassinato che la madre non è riuscita a impedire (Mitchell, la legge della Madre). Questo lutto potrebbe farsi garanzia del ritrovamento del fantasma del bambino morto ma soprattutto impedire che resti come reliquia inquietante.

La ricchezza della mattinata ha scaldato un ampio dibattito.

E. Smadja raccoglie l’appropriatezza, posta da A. Baldassarro, della connotazione di famiglia psicoanalitica, legata a un capo famiglia e della congiunzione tra psicoanalisi e religione. Il pensiero psicoanalitico freudiano posto come un dogma da rispettare e l’evoluzione del pensiero stesso in quanto scientifico: un versante epistemologico per affrontare l’evoluzione di questa scienza tra trasmissione e riproduzione. Al fine di non rischiare di trovarsi in un sistema mortifero è necessario lasciare spazio alla trasmissione delle tradizioni ma, allo stesso tempo, alle innovazioni; cambiamenti che sono molto spesso vissuti in maniera persecutoria e tuttavia l’unico modo per far evolvere le famiglie e anche le istituzioni.

D. Norsa riprende l’importante e profondo lavoro di G. Trapanese che ha evidenziato il lavoro svolto sul sogno dove i contributi della famiglia sono stati considerati come associazioni, lavoro che va nella direzione di ripristinare una funzione psichica. In certi contesti psicopatologici è proprio la funzione psichica che risulta assente ma lavorare esclusivamente con il paziente, nella misura in cui non coinvolge il suo contesto, può non essere una leva sufficiente a ritrovare una funzione elaborativa.

Un ulteriore intervento dalla sala, ripartendo da una citazione di Totem e tabù  ripresa da Baldassarro, sottolinea come il parricidio sia una conquista che fa superare la rivalità fraterna nella misura in cui i fratelli si alleano contro il padre. I fratelli sono in conflitto tra loro perché devono suddividersi delle risorse che appartengono ai genitori. Nei miti fondativi il primo omicidio è un fratricidio generato dall’odio tra fratelli, allora ciò che diceva Mitchell, per cui il complesso fraterno avrebbe una matrice psicotica mentre quello edipico avrebbe una matrice nevrotica, andrebbe proprio a individuare il conflitto fraterno come molto più arcaico di quello nei confronti del padre, dove si individua qualcuno come capo superando la rivalità tra pari.

Mitchell rilancia citando un piccolo ma significativo testo di Pontalis, Le frére du precedent, dove lui, fratello più piccolo, giunge alla conclusione che l’unica cosa che i fratelli non potranno mai condividere è di essere figli della stessa madre, ci sarà sempre una rivalità rispetto alla madre. L’odio che si vorrebbe realizzare nell’uccidere il fratello viene poi socializzato sotto forma di rivalità, cioè la rivalità sarebbe una socializzazione dell’odio.

Conclude la mattinata Baldassarro raccogliendo questo passaggio dall’orda alla rivalità come conquista, ripensando a quanto è posto all’inizio e alla fine del mito di Edipo. L’inizio è un tentativo non riuscito da parte di Laio d’infanticidio, fantasma della propria scomparsa ed eliminazione e la fine, la scomparsa di Edipo. Infatti, nell’Edipo a Colono non si sa che fine faccia Edipo ma questa dissoluzione coincide con la fondazione di Atene, attraverso Teseo che fonda la città, la polis, nella cui cultura siamo immersi.

Nel pomeriggio M. Fraire ha aperto un confronto multidisciplinare sul secondo tema del convegno: le filiazioni. Ha aperto il dibattito ponendo una fitta rete d’interrogativi che si sono poi andati dipanando nel contraddittorio tra V.Lingiardi, M.L.Boccia, S.Benvenuto e C.De Vita.

La procreazione medicalmente assistita (PMA) divide radicalmente la procreazione dalla sessualità e inserisce, all’interno della coppia procreatrice, “l’altro della nascita” o come apporto di seme o di disponibilità di gestazione. Oltre ai problemi già evidenziati dalle nuove famiglie sulle figure genitoriali, sui ruoli e il loro valore simbolico, sulla funzione inerente ai ruoli stessi, è rilevante il tema della sessualità.

V. Lingiardi evidenzia come questo sia un tema della coppia, del desiderio che lega la coppia stessa. Anche il desiderio di essere genitori è animato dal desiderio della sessualità a prescindere dal fatto che, l’atto che fa diventare genitori, abbia o meno a che fare con la sessualità. I figli nati da un desiderio che è dovuto andare al di là, includendo nel discorso anche le gestazioni per altri (GMA), dovranno confrontarsi inoltre anche con l’insieme delle fantasie che riguardano le altre figure che hanno contribuito al concepimento. Propone il concetto di “rêverie familiare” a suggerire un luogo relazionale per l’elaborazione di questi contenuti e affronta, inoltre, delle articolate riflessioni sulla costituzione dell’identità di genere e sul complesso edipico che rilancia come “complessità edipica”, nella considerazione che, qualunque identità e qualunque sessualità, porta con sé la malinconia per un aspetto perduto.

M.L.Boccia porta l’attenzione sul rilievo che viene dato all’elemento biologico, ma ancor più genetico, nella filiazione. L’accesso alla genetica sembra un’operazione che porterà alla definitiva emancipazione dalla natura per ciò che attiene alla nascita. Questo riduzionismo sembra tuttavia eludere e rimuovere l’asimmetria tra uomini e donne nella procreazione. Se per una donna è sufficiente acquisire il seme, un uomo, come individuo e come sesso, ha bisogno ancora che una donna acconsenta a compiere una gravidanza e partorire un nuovo essere umano. Una donna non un utero, la generatrice è figura sessuata, femminile. Questo fa di lei la madre? Attorno a questa decisiva domanda si è prodotta una significativa distinzione nel femminismo e si può riscontrare, anche in questo ambito, l’influenza del riduzionismo biologico. Da sempre, infatti, la madre non coincide con la procreatrice ma, da parte di alcune, si risponde alla cancellazione della donna e della differenza tra i sessi nella PA ma, con un’affermazione d’identità – fondata su una (presunta) evidenza “naturale”- e del primato della relazione materna. Distinguere la procreatrice dalla madre è la mossa, simbolica e sociale, da fare se si vuole riconoscere alle donne la possibilità e la capacità di “mettere al mondo” esseri umani. Non solo generando corpi, ma lasciando posto nelle relazioni affettive, parentali, sociali, a un altro\un’altra. Un aspetto decisivo per questo passaggio è che sia riconosciuta alla procreatrice la facoltà di scegliere, nel momento della separazione, chi nasce come figlio/a, o di affidarlo/a ad altre figure genitoriali.   Vuol dire, nella gestazione per altri, che non c’è contratto o legge che possa decidere in sua vece, né con il divieto, né con l’obbligo a rispettare l’accordo.

S. Benvenuto inserisce nel dibattito l’elemento antropologico per ripensare quali varietà famigliari nel passato ci abbiano dato le società primitive. Le nuove tecnologie e il fatto che si stiano costruendo delle forme di relazione coniugale completamente nuove pone dei problemi anche per la psicoanalisi, nella misura in cui essa parte dal modello della famiglia nucleare. Per sapere se i problemi che si possono ingenerare per i figli e le figlie di queste nuove famiglie arcobaleno forse bisogna dare loro il tempo di crescere e umilmente aspettare.

C.De Vita allarga ulteriormente l’orizzonte inserendo il tema della migrazione con una riflessione circa l’allontanamento dal contesto genealogico che i migranti vivono e l’articolazione interna che attiva il venir via dalla madre patria. Presenta una interessante situazione clinica che ha messo a tema, attraverso la lingua parlata -la lingua madre e\o la lingua della migrazione- valenze diverse della genitorialità, aspetti distinti della comunicazione tra la possibilità di svolgere una funzione di tramite o di esclusione dal gruppo di appartenenza (familiare, fraterno, sociale).

Il dibattito che gli interventi hanno sollecitato è stato ricco, vivace e impegnativo. A fronte della riflessione sul riduzionismo c’è stata una lievitazione della complessità che si è andata allargando in maniera contrastante e complicata e a tratti ha prodotto nella mente un sentimento di sovraffollamento. Fraire ha proposto di pensare la fantasia, utilizzando l’informatica, come un motore di ricerca. L’importante è che la fantasia non smetta mai di cercare anche non sapendo cosa possa trovare, che non corrisponde a una rinuncia a delle risposte, tuttavia ne vede la parzialità: le risposte sono temporanee, appartengono alla mitologia del momento e si vedrà cosa diventeranno nel tempo.

F. Piperno ha portato in fine un contributo video, “Come la famiglia”, che ha illustrato – a mio parere in modo geniale e creativo – proprio le trasformazioni che avvengono nel tempo, assemblando una serie di spezzoni di film di famiglie sedute a tavola che parlano. Le varie trasformazioni, di cui si è dibattuto articolatamente, sono state esemplificate in questo collage che ha rappresentato l’evoluzione storica del topos della famiglia, il momento del pranzo e ha illustrato come sono andati evolvendosi il contenuto e la qualità dei discorsi che si svolgono. Dopo tante parole questo momento video è sembrato riportare una lievità nella pensabilità, costruendo un momento, forse  si potrebbe dire onirico, conclusivo e gradevole.

La terza sessione di lavoro è stata un confronto teorico-clinico sulla psicoanalisi della coppia e della famiglia.  L’introduzione di D.Lucarelli ha dato sinteticamente le coordinate del panorama dello sviluppo della teoria stessa e ne ha differenziato per punti l’evoluzione anglosassone, francese, argentina e italiana. Inoltre ha evidenziato l’attuale possibilità di riconoscere a pieno titolo questa teoria nella qualità di estensione della psicoanalisi.

I contributi sono stati di E.Smadja, A. Nicolò e L. Grassi.

E.Smadja apre il suo lavoro, Le coppie contemporanee: un approccio psicoanalitico e sociologico, con la domanda “cos’è la coppia”, proponendone un percorso storico-sociologico, ontologico e dinamico, fino ad arrivare a tratteggiare le caratteristiche della coppia contemporanea. Ispirandosi al transfert analitico freudiano, sostiene che la coppia crei e costituisca una nevrosi inter-transferale.  Essa ripete per molti versi alcuni aspetti della nevrosi infantile di ciascuno dei due partner che essi mettono in comune e ha, a suo parere, una virtualità psicotica sensibile ad avvenimenti e periodi critici che riattiverebbero le posizioni schizo-paranoide e depressiva. Evidenzia in questo modo come la costruzione e il funzionamento di una coppia dipenda da un vero e proprio lavoro globale e differenziato dei tanti aspetti che costituiscono la realtà coniugale, producendo una cultura e una identità della coppia; anche il lavoro di coppia incide sul funzionamento psichico di ciascuno producendo modificazioni identitarie del singolo. In seguito a un’attenta analisi sociologica delle coppie contemporanee, egli evidenzia come la nostra società ponga a esse una prescrizione di carattere paradossale puntando su aspetti nettamente narcisistici e perversi (spinta verso l’individualismo e assenza di sostegno alle coppie), alimentando difese anche di ordine maniacale, in seno alle quali prevale l’onnipotenza del principio di piacere individuale, cosicché conflittualità strutturali di ogni coppia ne risulterebbero esacerbate. Rileva una crescente richiesta di consultazione da parte della coppie, più frequentemente su iniziativa della donna, che tuttavia testimonia il fallimento di quello che ha individuato come il lavoro di coppia.

A. Nicolò interviene sul tema de La violenza nelle coppie e propone un’attenta disamina del funzionamento delle personalità che entrano in relazione sottolineando  come la violenza non è solo un comportamento esercitato da un partner sull’altro ma coinvolge anche la mente di chi subisce violenza: tra i due si crea una collusione, si stabilisce un legame-terzo della relazione che imprigiona tutti e due i membri della coppia. Pone l’attenzione sull’aspetto dissociativo che interviene nel contesto familiare, oltre a quello individuale, quando si crea una scissione della comunicazione: una versione ufficiale e una ufficiosa, attraverso l’uso del segreto e della clandestinità con una conseguente chiusura al sociale; cosa avviene quando gli attacchi arrivano al corpo, segnando un vero e proprio passaggio di stato perché il corpo perde la propria inviolabilità ma segna la perdita dello statuto di soggetto o quando subentra un livello di passivizzazione per cui il soggetto anziché ribellarsi cerca di modificarsi, cioè quando subentrano meccanismi che usurano sabotando l’identità dei soggetti stessi che vi partecipano. Attraverso un caso clinico di una coppia illustra come il bisogno di incastrarsi nella relazione, il costituirsi di un legame, rappresenti proprio un altro livello, un’altra dimensione, una terza componente della scena.

L’apertura del dibattito alla sala testimonia l’attualità dei temi affrontati che necessitano del confronto per elaborare modelli teorici che aiutino poi nel lavoro con le coppie. Quale bilanciamento tra l’ottica della relazione oggettuale e quella del legame? Si alzano vari interrogativi tra i quali J.Mitchell si chiede se siamo in grado, partiti da una teoria della patologia, di formulare una teoria della normalità, se sia da pensare affianco a un pre-edipico anche un pre-sociale.

L’ultimo contributo del convegno, quello di L. Grassi, “La famiglia come strumento di trasformazione”, articola al suo interno diverse tematiche che hanno animato i due giorni di dibattito. Partendo dall’idea che la famiglia costituisca un fattore essenziale per processare l’alterità e la continuità, attraverso un caso clinico evidenzia come a volte il controtransfert necessiti di assumere una dimensione gruppale, cioè uno spazio esteso articolato, nell’ascolto da parte dell’analista di se stesso, di ciò che avviene nella propria mente, di ciò che permane e continua a essere processato nel succedersi del gruppo\famiglia di pazienti nell’arco della giornata. La dimensione gruppale è molto attiva e presente nella vita e nell’analisi della paziente presentata da L.Grassi, nella qualità di famiglia estesa, fraterna, amicale, lavorativa. Necessita che l’analista possa diventare supporto dei pensieri e delle fantasie del gruppo, proprio per la centralità del posto che occupano, richiedendo ancora per l’analista un lavoro parallelo, per trasformare le proprie teorie private e riuscire a confrontarsi con le novità e l’alterità che i pazienti portano. I nuovi modelli familiari possono essere usati sia per evitare verità, esperienze dolorose, limiti, sia per rimodellare le reti affettive ed elaborare nuove soluzioni, tramite una creatività trasformativa.

Gennaio 2017

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