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27 settembre 2014 CMP Ripensare il caso clinico nel lavoro istituzionale : il contributo psicoanalitico

23/10/14

Margherita Comazzi_foto_1vokSala di Rappresentanza Rettorale
Università degli Studi di Milano
Via Festa del Perdono 7
27 settembre 2014
Università degli Studi di Milano Dipartimento di Scienze della Salute
Società Psicoanalitica Italiana – Centro Milanese di Psicoanalisi

RIPENSARE IL CASO CLINICO NEL LAVORO ISTITUZIONALE: IL CONTRIBUTO PSICOANALITICO.

Ospite D.R. Hinshelwood, professore del Centro Studi Psicoanaliticidi Essex

Report a cura di Margherita Comazzi e Lidia Leonelli Langer

Questo è il titolo del Convegno organizzato dall’Università degli Studi di Milano, Dipartimento di Scienze della Salute e dalla Società Psicoanalitica Italiana, Centro Milanese di Psicoanalisi che si è tenuto presso la sala del Rettorato dell’ Università Statale di Milano sabato 27 settembre 2014 e che ha visto presenti i maggiori esponenti della psichiatria lombarda, universitari e dei servizi pubblici, con in attivo molti anni di impegno e di duro lavoro. Psichiatri, alcuni dei quali di formazione psicoanalitica, psicoanalisti e operatori si sono incontrati per riflettere e confrontarsi su un tema tanto importante quanto difficile e controverso quale è il rapporto tra psichiatria e psicoanalisi, nell’intento di cercare assieme possibili modi di incontro tra le due culture, tesi a migliorare la comprensione della sofferenza psichica ed il modo di prendersene cura nelle Istituzioni.

Il luogo in cui l’incontro ha avuto luogo, grazie anche al Prof. Scarone, docente di Psichiatria al San Paolo, parla dell’intento condiviso di unificare le domande e le proposte che provengono dal lavoro clinico che viene svolto in vari ambiti, in una ricerca comune, in un comune impegno teorico e formativo, basato sulla rivalutazione degli aspetti psicodinamici, sulla riscoperta dell’importanza della relazione, nella terapia e nell’istituzione stessa.

Mano a mano che i lavori procedevano, aumentava l’impressione di partecipare ad un incontro storico, nel quale persone di grande prestigio ed autorevolezza, provenienti da culture e da esperienze diverse, che hanno speso la loro vita nel lavoro istituzionale, attraversando varie fasi, da quella pionieristica, a quella della speranza in un cambiamento radicale, alla sperimentazione della fatica e della delusione, si incontravano per cercare nuove strade percorribili assieme.

Ha aperto i lavori, dopo il saluto del Prof. Silvio Scarone, il Dr. Costanzo Gala che ha sottolineato come viviamo in un contesto sociale e culturale in cui molto sta cambiando nel modo di rapportarsi alla sofferenza psichica, e ha individuato alcune delle ragioni dell’allontanamento attuale tra psichiatria e psicoanalisi, come la scoperta e l’utilizzo di psicofarmaci, sempre più in grado di controllare la sintomatologia in tempi relativamente rapidi e l’introduzione di sistemi classificatori di tipo categoriale legati al DSM, che rischiano di impoverire l’incontro con la persona che soffre rendendolo sempre più nosografico, oltre alla presenza sempre più esigua nei servizi pubblici di psichiatri con formazione psicoanalitica e di psicoanalisti. Inoltre il diffondersi di molte scuole di psicoterapia di vari indirizzi, che mirano ad interventi brevi e spesso diretti ai sintomi, ha messo in discussione il modello psicoanalitico, che per tanto tempo si era offerto come interlocutore nelle istituzioni. Così, se per generazioni i padri della psichiatria hanno fondato la loro pratica sulla storia personale del paziente, oggi le nuove generazioni rischiano di non essere aiutate, nella loro formazione, ad imparare la relazione e la ricerca di senso.

In questo contesto, la psichiatria sembra rivolgersi sempre più al biologico, occupandosi del disagio mentale in un’ottica medica, che rischia di impoverire la mente dello psichiatra, facendola diventare soprattutto contenitore nosografico.

Per questo motivo il Dr. Gala sottolinea l’esigenza e l’importanza di trovare un tipo di confronto e di collaborazione tra discipline, che costituisca un contenitore mentale teso alla ricerca di senso, come avviene nelle supervisioni psicoanalitiche nei servizi psichiatrici, come ad esempio nell’ Unità Operativa dell’Ospedale San Paolo, i cui operatori affermano di trarre molto beneficio dalle supervisioni, sia perché esse favoriscono un migliore livello di integrazione tra le diverse figure professionali che costituiscono l’equipe terapeutica, sia perché aiutano ad alleggerire il carico emotivo di ciascuno, spesso molto gravoso.

Giovanni Foresti, Segretario del Centro Milanese di Psicoanalisi, ha introdotto a questo punto R.D. Hinshelwood, professore presso il Center for Psychoanalytic Studies dell’Università di Essex, già direttore del Cassel Hospital di Londra, psicoanalista della British Psychoanalytic Society, membro del Royal College of Psychiatrists, autore di diverse pubblicazioni, tra le quali Research on the couch, tradotto in italiano Ricerca sul divano, Franco Angeli, Modern mental health, Suffering insanity e altri, sicuramente utili per chiunque sia interessato a meglio comprendere la natura della sofferenza psichica.

Il lavoro di Hinshelwood : Il contributo della Psicoanalisi alla comprensione delle istituzioni (psichiatriche), che si basa sulla sua lunga esperienza di psicoanalista nei servizi di salute mentale del Regno Unito, offre, come sottolonea Foresti, ipotesi di lavoro chiare, tese a trovare modi per evitare che l’equipe curante cada in burnout o in depressione, oppure in litigiosità, conflittualità, aggressività, modalità queste, usate per contrastare il rischio di deprimersi di fronte al senso di impotenza legato alla cura dei pazienti molto gravi, con conseguente difficoltà o impossibilità di integrazione degli interventi nel Servizio.

Nell’iniziare il suo intervento, accuratamente tradotto dall’inglese e quindi fruibile da parte di tutti, Hinshelwood dichiara apertamente di non essere certo di possedere la risposta circa il che fare, ma di essere certo di voler contribuire a chiarire quali sono i problemi che si presentano, per tentare assieme di rendere possibile un matrimonio decente tra psichiatria e psicoanalisi.

Innanzitutto, perché ci sia un reciproco incontro è necessario che ci sia rispetto reciproco tra i due approcci e perché ciò sia reso possibile è necessario che gli psicoanalisti per primi si interroghino sulla loro disposizione d’animo e si rendano disponibili a fare autocritica, partendo dalla critica a quanto detto da Freud nel 1917 e spesso condiviso: “ Converrete che nella natura del lavoro psichiatrico non c’è nulla che dovrebbe opporsi all’indagine psicoanalitica. Dunque sono gli psichiatri che si oppongono alla psicoanalisi, non la psichiatria.”

E’ necessaria grande libertà di pensiero rispetto ai propri maestri, capacità di valorizzare il contributo dell’altro, modestia circa il proprio apporto, capacità di essere se stessi, tenendo in conto prima di tutto il benessere dei pazienti e degli operatori.

Certo, discussioni di lavoro, gruppi di riflessione pratica, gruppi di studio esperienziali, osservazione psicodinamicamente orientata per la formazione degli specializzandi in psichiatria: tutto ciò è fondamentale, ma prima di tutto è necessario l’impegno da parte dello psicoanalista a mantenere un genuino rispetto per ogni diversa forma di pratica clinica, superando il rischio del non-ascolto e della non-comunicazione (Perini, online Funzione Gamma n. 27) , sempre in agguato per chiunque, ma soprattutto per chi è fortemente identificato con la sua cultura di appartenenza.

Infatti la vita delle organizzazioni è arricchita o impoverita in maniera direttamente proporzionale al grado di capacità di ascolto reciproco.

Se è vero che nel lavoro psichiatrico non c’è nulla che si opponga all’indagine psicoanalitica e viceversa, è anche vero che è difficile integrare modelli teorici così diversi. Ma la differenza di impostazione, tra categorizzazione e classificazione da una parte e tentativo di dare senso a sintomi e comportamenti, inserendoli nell’esperienza e nella storia del paziente, può costituire non solo un ostacolo, ma una sfida che ci invita al confronto.

Durante gli anni di lavoro come psicoanalista nei Servizi Inglesi, Hinshelwood ha svolto ricerche sui problemi che nascono all’interno di equipe multidisciplinari, strumento di lavoro indispensabile nella cura delle patologie gravi, fortemente incentivato come metodo di cura , ma irto di ostacoli, e ha cercato soluzioni per aumentare il confronto e lo scambio, molto difficile da raggiungere nei servizi psichiatrici, dove spesso si evidenzia (Jones 2006) un’intransigenza verso forme collaborative tra medici ed infermieri e dove la mancanza di sostegno e la rivalità interdisciplinare contribuiscono (Maslach e Jackson 1982, Janssen et al. 1999) a tenere basso il morale.

Ma il suo intervento, racconta, ha rischiato spesso di essere considerato come quello di un alieno. Gli è così diventato chiaro che troppo spesso gli psicoanalisti tendono a vedere gli psichiatri come un problema. E non si rendono conto che l’approccio psicoanalitico si avvicina solo ad una delle dimensioni del disagio psichico, l’aspetto inconscio, che però è, realisticamente, solo una parte del problema complessivo, che spesso si manifesta in comportamenti, che richiedono interventi urgenti e di metodi rapidi di controllo. Proclamare la supremazia dell’inconscio su tutte le altre dimensioni è fuorviante e suscita rifiuto per un pensiero, forse a volte idealizzato, ma del quale non si vede l’utilità pratica.

Se per un lungo periodo la cultura psicoanalitica ha avuto un suo posto e una sua autorevolezza nelle istituzioni psichiatriche, ora c’è invece una netta dominanza della cultura psichiatrica, considerata “scientifica” a confronto di quella psicoanalitica, relegata ad ambiti “non scientifici”. Tre sono i fattori che Hinshelwood individua alla base di questo cambiamento, di fronte al quale diventa più che mai necessario ritrovare la specificità dell’intervento psicoanalitico: il volume di lavoro, l’urgenza dell’intervento, l’aumentato utilizzo dei farmaci.

Nella sua pratica, Hinshelwood ha cercato di mettere in tensione le due culture.( (Hinshelwood, 1987, 1994, 2004). Ha istituito seminari d’insegnamento formale per tirocinanti, seminari o gruppi di pratica riflessiva, seminari clinici di gruppo con l’equipe, piccoli gruppi di lavoro esperienziale seguendo il metodo di Bion alla Tavistock Clinic, un progetto rivolto agli specializzandi di osservazione della vita del reparto e di ricerca sul campo. E ultimo, ma non per importanza, ha cercato di comprendere l’organizzazione e la sua cultura, utilizzando principalmente il modello di Elliot Jaques( (1955) e di Isabel Menzies (1959).

Ed è arrivato a dire che di fronte all’urgenza, è la psichiatria ad agire. La psicoanalisi può aiutare a ripensare a posteriori, ma spesso, nonostante le buone intenzioni, gli interessati possono vivere la “supervisione” come una sorta di sguardo superegoico colpevolizzante, o una richiesta superegoica a funzionare meglio in futuro.

Diventa quindi essenziale domandarsi in che modo l’aprés coup della psicoanalisi possa dare un contributo significativo. Forse, più che con una “super-visione”, con una riflessione comune a posteriori: “post hoc”, una visione non “super”, ma insieme, mantenendo il rispetto reciproco nei diversi approcci e considerando tutte le modalità di trattamento adattato al bisogno del singolo paziente. (Need adapted treatment sperimentato in Scandinavia. Alanen 1991), Umilmente, senza avere la pretesa di possedere una teoria del tutto. La psicoanalisi è infatti la teoria di qualcosa, dell’inconscio. Allo stesso modo anche la Psichiatria può riconoscere di non essere una teoria del tutto, come invece il nuovo DSM-V sembrerebbe dire.

Diventa allora importante, come ha sottolineato al termine della relazione, Mario Martinetti, Presidente del Centro Milanese di Psicoanalisi, riflettere sul contributo che la psichiatria può dare alla psicoanalisi, mentre generalmente ci si concentra sul contributo della psicoanalisi alla psichiatria. La psichiatria potrebbe aiutare la psicoanalisi a entrare meglio in contatto con la propria impotenza di fronte a molte situazioni e a vivere un sentimento di umiltà, aspetto così importante per lo sviluppo di un incontro fertile.

Nella seconda parte della mattinata si è svolta la tavola rotonda “La supervisione nella realtà territoriale lombarda” , cui hanno partecipato

Mariano Bassi, Direttore Dipartimento salute mentale AO Niguarda, Milano
Giuseppe Biffi, Direttore Dipartimento Salute mentale AO San Carlo, Milano
Leo Nahon, Direttore Struttura Complessa di Psichiatria 3 A.O. Niguarda
Norina Pattacini, Direttore Struttura Complessa Unità Operativa di Psichiatria, Ospedale Predabissi, Melegnano
Silvio Scarone, Professore Ordinario di Psichiatria, Dipartimento di Scienze della salute, Università degli Studi Milano
Michele Stuflesser, Psichiatra, Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana
Antonio Vita, Professore Ordinario di Psichiatria, Università di Brescia

Se spesso il confronto tra psicoanalisi e psichiatria è stato uno scontro tra immodestie, oggi, in questo convegno, si respira il desiderio di cambiare rapporto. Viene infatti riconosciuto, fin dalla presentazione dei lavori della tavola rotonda, che gli psichiatri mantengono al sicuro rispetto alla follia pericolosa, cosa non realizzabile con l’interpretazione psicoanalitica, che nell’urgenza è spesso impotente.

E gran parte del lavoro psicoanalitico nei Servizi riguarda proprio l’inutilità e l’impotenza, da vivere e da gestire, così come è richiesto anche alla società, abbandonando la radicalizzazione delle proprie posizioni, per introdurre la dimensione della relazione, della persona, del tempo, dell’esperienza che evolve e cambia (Bassi).

E’ in questa direzione che vanno tutti gli interventi, ognuno dei quali, sulla base della propria esperienza diretta, parla della supervisione come della ricerca di una visione altra-complementare, evidenziandone il valore di aiuto e anche i limiti.

Si parte da dati concreti, come quelli costituiti dall’analisi preliminare dei risultati di uno studio finalizzato a valutare l’efficacia delle supervisioni cliniche così come viene percepita dagli operatori del DSM del S. Carlo, che dal 2008 ad oggi hanno partecipato a gruppi di supervisione psicoanalitica.( Biffi, Maresca). Sono stati indagati aspettative, aspetti critici e aspetti da migliorare e ne è emerso che la supervisione viene vissuta come qualcosa che serve soprattutto agli operatori, perché aumenta la motivazione, alleggerisce il carico emotivo e aiuta a gestire la conflittualità.

Ma viene anche sottolineato come la supervisione contenga anche aspetti idealizzanti che possono aumentare l’aspettativa di soluzioni dall’alto o provocare rifiuto, perché è difficile accettare chi viene idealizzato senza avere responsabilità istituzionali.

Colpisce come i vari relatori, che provengono da esperienze diverse, vadano a formare con i loro contributi un discorso condiviso, pur nella specificità di ciascuno, come in un coro in cui le diverse voci sono armonizzate.

E’ unanime la convinzione che il lavoro di riflessione a posteriori sia da svolgersi in gruppi di lavoro multidisciplinari, che includano le varie figure professionali, con alternanza tra tutti gli operatori del servizio, in modo che ognuno scopra la propria capacità di supervisione, di guardare cioè da una prospettiva più riflessiva, che agisca come difesa dall’indifferenza cinica ed aiuti a recuperare la funzione del rispetto. (Nahon)

Questa prospettiva aiuta a prendersi cura, non solo a curare e, nello stesso tempo si prende cura del gruppo di lavoro ( Pataccini) , restituendo al gruppo la possibilità di pensare lì dove è continuamente ostacolato dalla pesantezza di un lavoro gravoso, pieno di pressioni cliniche ed istituzionali (Maranesi).

Occorre spogliarsi del concetto di superiorità dei saperi per permettere un autentico confronto che consenta di osservare lo stesso oggetto ma da prospettive diverse, con strumenti differenti e con la possibilità di reciproche contaminazioni (Vita). Il termine supervisione è stato, in questa prospettiva, messo in discussione da quasi tutti i relatori proprio perché rischia di veicolare elementi distanzianti e di superiorità che si contrappongono con il vivo e condiviso riconoscimento dell’importanza dell’integrazione (Stuflesser).

Alla fine della tavola rotonda, Hinshelwood ha aggiunto che nessuno può fornire risposte già pronte e che il compito di riflettere con tempi e modi propri sui molti interrogativi sollevati e sulle prospettive di una fattiva collaborazione tra psichiatria e psicoanalisi, nel contesto in cui viviamo, è interamente affidato ai diretti interessati, molti dei quali qui presenti. L’incontro di oggi ha aperto la strada ad una ricerca comune: ora sta a noi cercare percorsi percorribili.

Mario Marinetti, a conclusione dei lavori invita ad imparare dalle domande e a continuare a cercare risposte. L’augurio a tutti è quello di arrivare ad un’integrazione dei saperi e delle competenze, superando il pessimismo che può nascere dal prendersi cura di pazienti gravi e gravosi (Scarone), come quelli che si incontrano nelle istituzioni.

Bibliografia dei testi citati, tratta dal lavoro di Hinshelwood:

Alanen,Y.O. et al. (1991) Need adapted treatmentof new schizophrenic patients; expèeriences and results of the Turku project.( Acta Psychiatrica Scandinavia 83: 363-372)
Freud, Sigmund (1917) Introduzione alla psicoanalisi. Parte terza, lezione 16. Psicoanalisi e psichiatria.Opere. Boringhieri vol.8
Hinshelwood R.D. (1987) the psychoterapist’s role in a large mental institution. Psycho-Analytic Psychotherapy 2. 207-215
Hinshelwood R.D.(1994) The relevance of Psychotherapy. Psycho-Analytic Psychotherapy 8:283-294
Hinshelwood R.D. (2004) Suffering Insanity: three Psychonalytic Essays on Psychosis. (London Rutledge)
Jannsen P.M.P. et al. 81999) Specific determinacts of intrinsic work motivation, burnout and turnover intentions. A study among nurses. Journal of Advanced Nursing 29:1360-1369
Jaques Elliot (1955) Sistemi sociali come difesa contro l’ansia persecutoria e depressive. In M. Klein. Nuove vie della psicoanalisi. Il Saggiatore, Milano 1966
Jones, Adria (2006) Multidisciplinary team working: collaboration and conflict. International Journal of mental health nursing 15:19-28
Maslach,C. e Jackson, S.E.(1982) Burnout in health professions: a social psychological analysis. In G.S sanders e j. Suls Social Psychology of Health and Illness. Hillsdale. Erlbaum.
Menzies lyth, Isabel(1959) I sistemi sociali come difesa dall’ansia. In M. Lang e K. Schweizer ( a cura) Psicoanalisi e socioanalisi, Liguori, 1984
Perini,M. Sul concetto di contenitore istituzionale. www.funzionegamma.it n.27

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