Centro Psicoanalitico di Firenze
25 ottobre 2014
Nella bella cornice del giardino d’inverno che ospita gli incontri scientifici del Centro Psicoanalitico di Firenze si è svolto il seminario psicoanalitico “Gli enigmi del desiderio ” che ha visto la presentazione da parte di Nelly Cappelli di un lavoro dal titolo “Origine e fine del desiderio ” e, a seguire, del lavoro di Tiziana Pierazzoli “La fine del desiderio? Desiderio, coazione a ripetere, nevrosi di destino “.
Non è compito semplice trasmettere anche solo in parte l’ampiezza e soprattutto l’articolazione e la complessità della riflessione che, seppur nelle differenze dei punti di osservazione come dello stile personale, è stato elemento comune alle relazioni presentate.
L’esperienza è stata quella di un percorso teorico estremamente denso di cui non si può “riportare” senza sentire di tradirne un po’ l’essenza, non potendola attingere in maniera esaustiva in quanto essa risiede in tutti quei passaggi attraverso cui le relatrici ci hanno accompagnato nella comprensione di un tema come il desiderio, così centrale nei nostri assetti teorici quanto per la nostra pratica clinica. La sensazione e’ stata quella di un percorso come quello che si fa (e non si può non fare ) quando si attraversa uno spazio di stanze a correre che si trova di frequente nelle case antiche, dove non si può non passare da una stanza per raggiungere l’altra, la successiva. Con questa premessa cercherò di trasmettervi alcune “inquadrature”, che pertanto non possono essere esaustive.
Così in uno dei primi pronunciamenti del lavoro di Nelly Cappelli, che ha aperto la mattinata: ” È un fatto che, recentemente, la teoria freudiana sia poco utilizzata. Forse perché è ostica, complessa, di fruizione non “immediata”. Ma un certo grado di oscurità, di ambiguità, di contraddizioni non può essere evitato se l’oggetto che si vuole esplorare e’ la psiche umana.
In ogni caso, mi sembra che la metapsicologia sia precisa, possieda un grado di articolazione elevato, forse ineguagliato, una concatenazione logica serrata tra un concetto e l’altro e ritengo che abbia qualcosa da dire quando ci misuriamo sul tema del desiderio, concetto che può essere studiato da più angolazioni, ma che guadagna in chiarezza se possiamo fare nostra l’eredità freudiana.”
L’autrice ha posto l’attenzione su l’utilizzo prevalente, in Freud, quando nomina il desiderio, del termine ” wunsh ” che corrisponde a vocazione,voto ecc.. ,proponendoci poi un’incursione nell’etimo del termine desiderio. Cappelli ne ha così evidenziato i significati di tensione verso, aspirazione , mancanza, Altro possibile, quali elementi che hanno un legame intrinseco con una temporalità che porta in se una dimensione di futuro, un tempo non imploso nell’urgenza del contingente, ma, al contrario, un motore di aspetti vitali.
Nella sua puntuale illustrazione del passaggio dal bisogno al desiderio, Cappelli mette in evidenza come sia peculiare al desiderio portare in se una cifra del soggetto, “….. La “vorstellung” di Freud e’ un rappresentare che significa rendere presente un oggetto o un’esperienza assente (ri-presentare o ripresentificare), tramite il “quantum di affetto” che investe le tracce mnestiche, così da ottenere l’apparizione di una o più immagini che riguardano tale oggetto”, e più avanti “…..La traccia mnestica non è una copia in miniatura dell’oggetto perché contiene anche l’allucinazione del soddisfacimento, la quale appartiene al sé, e non all’oggetto. Qui s’innesta il concetto di realtà psichica”.
L’autrice analizza la funzione fondante del desiderio nel formarsi delle fantasie e sottolinea come i desideri inconsci rimangono sempre attivi; a questo proposito cita le parole di Freud “sempre desti, per così dire, immortali” (Freud, l’Interpretazione dei sogni, 1899,431) e, procedendo da qui, afferma che “c’è una riserva di eternità che produce i sogni: e’ il desiderio infantile”. Continuando nella sua analisi N.Cappelli ci parla di “quel famoso oggetto perduto, che cerchiamo tutta la vita, ma che non è mai esistito: è il mitico godimento che avremmo avuto se la madre fosse stata tutta nostra e non fosse arrivato il terzo, il padre, a riattivare su di sé il desiderio di lei.”
Avviandosi a concludere Nelly Cappelli, appoggiandosi a una riflessione sulle personalità “come se”, pone il quesito se si debba considerare un fenomeno naturale l’avere desideri, e quindi affermare che vi sia uno psichismo in grado di generarli: “per Freud, ogni organizzazione biologica sufficientemente complessa da origine a individui che producono un’attività psichica. E’ sufficiente pensare che ciò che rende tale l’apparato, sia il fatto di essere un derivato mentale dell’organismo?”.
Con la mente così ben nutrita la mattinata è poi proseguita con il lavoro di Tiziana Pierazzoli che ci ha offerto un prezioso materiale di riflessione per affrontare lo “straordinario percorso da conoscere seguendo le orme del desiderio: dall’attività di mascheramento o travestimento onirico della rappresentazione inconscia del desiderio alla possibilità di sognare o fantasticare a occhi aperti, alla formulazione del desiderio orientato al mondo reale quale parte di un progetto creativo cosciente.
Il desiderio non solo si maschera, ma pur mantenendo nascosta la sua più intima natura esso imprime la sua spinta creativa al lavoro intrapsichico inconscio di elaborazione e superamento dei conflitti, di riparazione e di sintesi degli oggetti interni, di integrazione e di individuazione nei processi identificatori.”
Pierazzoli ci ha guidato in un percorso di conoscenza che ci ha visto passare dal travestimento o mascheramento del desiderio, alla sua trasformazione attraverso la conversione del desiderio stesso, dove è il corpo a farsi luogo del conflitto, fino alla sublimazione, con la sua “peculiare caratteristica di essere un meccanismo di difesa che mantiene sempre un aspetto progressivo, dal punto di vista dell’adattamento sociale dell’uomo e della sua produzione culturale.”
Tutto questo ha quindi lasciato il posto a un’articolata disamina della dimensione di perversione del desiderio. Così T. Pierazzoli: “c’è un elemento concettualmente specifico che vorrei sottolineare ed è che tale condotta, che è poi una condotta invidiosa, si lega al piacere autoerotico: e’ il piacere, e la dipendenza “tossicomanica” da esso, che connota la relazione perversa e la sua coazione a ripetere” . La relatrice ha scelto di mettere in primo piano, all’interno della sua riflessione, la perversione sessuale, premettendo la necessità di non prescindere dall’aspetto quantitativo, poiché “determinante nella possibilità che si configuri un vero quadro psicopatologico grave”. Secondo Pierazzoli “la costellazione perversa si può pensare come una struttura difensiva dalle ansie persecutorie generate dal terrore. Il terrore è un’ansia paranoide generata dagli oggetti morti presenti nella fantasia inconscia”. E’ la riparazione impossibile degli oggetti interni in assenza anche della possibilità della dipendenza da un oggetto buono esterno che “può instaurare una relazione tossicomane con una parte cattiva del Sé. L’Io si sottomette alla tirannia pur di ottenere un’illusoria protezione dal terrore. Non soltanto quindi sarebbero in gioco le angosce depressive, quanto una potente ansia persecutoria e, continuando nella riflessione: “ha ragione Meltzer quando afferma che si può parlare di una qualità maniacale degli stati perversi sadici per la negazione del danno e per la trionfante abolizione dell’ansia depressiva ed anche di quella persecutoria”.
L’autrice si è poi soffermata su la tesi di Meltzer secondo cui gli oggetti dell’eccitazione sessuale, nelle perversioni, sono “oggetti smontati” dove ” l’oggetto viene smontato dal senso comune e trasformato in una serie di oggetti monosensoriali: ciò comporta la preclusione delle introiezioni e consente soltanto la percezione di un accadimento sensoriale immediato. Non vi sarebbe “esperienza” nel senso di un accadimento relazionale introiettabile e quindi anche disponibile per la memoria; e forse anche la soddisfazione è impedita dallo smontaggio degli oggetti, risultandone una insaziabilità indistinguibile dall’avidità”. L’inesistenza dell’oggetto nella dimensione erotica perversa viene così ulteriormente avvalorata.
In ultimo, T. Pierazzoli ci ha parlato dell’assenza del desiderio, soffermandosi sulla deprivazione precoce di funzioni materne, quale causa riconosciuta in quelle condizioni dove, nell’adulto, ci troviamo a incontrare una incapacità di sentire emozioni, laddove percepiamo quel “buco nella psiche che Winnicott definisce vuoto primario; un trauma negativo: non è successo niente quando sarebbe dovuto succedere qualcosa”.
Avviandosi verso la conclusione del suo intervento, Pierazzoli ci ha offerto uno sguardo su una forma del desiderio molto connotata culturalmente: il desiderio di non desiderare, il cui fine ultimo sembra una condizione di assenza di bisogno, in un totale ostracismo della possibilità di tollerare la mancanza, con l’inevitabile disgiungersi del desiderio da quella pulsione di vita che fa del desiderio stesso un motore di realizzazione di progetti vitali, di realizzazione di sé.
Mi preme concludere con un pensiero al materiale clinico che le autrici hanno portato nelle loro relazioni. Questo situazioni cliniche hanno avuto un valore essenziale per la fruizione di questa mattinata di studio, un materiale vivo che ha permesso ai partecipanti di fare esperienza di una teoria ben ancorata alla clinica e viceversa.
Dicembre 2014