Centro Milanese di Psicoanalisi
Introduce la serata Paolo Chiari, Segretario Scientifico del CMP; al tavolo dei relatori, Luigi Solano, Membro Ordinario della SPI, Prof. Straordinario di Psicosomatica presso il Dipartimento di Psicologia Dinamica e Clinica dell’Università La Sapienza di Roma, e Angela Galli, in qualità di Discussant, Membro Ordinario SPI collega del CMP, da molti anni si dedica allo studio della ” questione psicosomatica”.
Luigi Solano ritiene che la distinzione tra materia e pensiero, mente – corpo, sia tipico di determinati periodi storici della cultura occidentale. Esplora il filone dualista che vede l’influenza della mente sul corpo, in una netta distinzione tra disturbi mentali, somatico funzionali e malattie somatiche organiche; si sofferma sulle correnti moniste affermatesi nel Positivismo, presenti ancora oggi nella medicina e psichiatria, che riconducono mente e corpo a una unità; il corpo al centro e una riduzione al corporeo dei processi mentali.
Psicoanalisi e “psicosomatica” rappresentano una reazione a tale impostazione ed esprimono il desiderio di portare in primo piano la persona, le emozioni, le relazioni passate e attuali, nel determinare salute o malattia; viene data importanza al rapporto medico paziente, al transfert, e alla unicità della persona. Mentre Freud evitò di occuparsi dal punto di vista psicoanalitico di disturbi che implicassero lesioni organiche, altri studiosi esterni alla Società Psicoanalitica quali Groddeck, Alexander, Dunbar, Deutsch… con il termine psico-somatica suggeriscono che “qualcosa che accade nella mente si possa ripercuotere sul corpo” riproponendo il dualismo tra malattie psicosomatiche e organiche, con l’esclusione della patologia somatica dall’intervento psicologico e individuando significati simbolici universali per ogni sintomo somatico.
Solano ci accompagna a esplorare cosa accade con l’avvento delle correnti relazionali in psicoanalisi: “Dal ricercare gli effetti della mente sul corpo, allo studio degli effetti di esperienze relazionali allo stesso tempo su aspetti corporei e mentali”.
Nel monismo articolato mente e corpo sono considerati, seppur differenziati, due facce della stessa medaglia, e ancor di più nel monismo non riduzionista unito a dualismo conoscitivo sono viste come due categorie che dipendono dal vertice dal quale si pone l’osservatore. Posizione, questa, espressa nell’ambito psicoanalitico, in particolar modo da Carla De Toffoli (1991;2007) e Irène Matthis (2000).
In questa prospettiva unitaria, corpo/mente possono operare in parallelo, ignorarsi, influenzarsi; e si può attribuire al corpo le stesse qualità della mente: pensa, sente, risponde, soffre, gioisce, ha movimenti relazionali, ed è ipotizzabile “un transfert e un controtransfert corporeo”. Così la patologia somatica non è più influsso della mente sul corpo. Ognuno dei due sistemi è dotato “di un aspetto sia corporeo sia mentale”, secondo il vertice di osservazione.
Di seguito si sofferma sulla Teoria del Codice Multiplo di Wilma Bucci (1997a,2009a)che vede un Sistema Non-Simbolico e due Sistemi Simbolici: uno Non verbale (per immagini)e uno Verbale e da qui “il doppio aspetto, mentale e corporeo, di ciascuna entità componente: il sistema Non Simbolico osservato in termini somatici corrisponde a ciò che viene comunemente chiamato corpo”.
Il Sistema Non Simbolico, il funzionamento corporeo, comprende la memoria procedurale, quella implicita (a volte chiamata memoria del corpo), i livelli fisiologici dell’emozione; coordina le azioni motorie e “come i sistemi simbolici, ha dignità di pensiero organizzato,” anche se non volontario e consapevole. E’ il canale per l’identificazione proiettiva e la comunicazione emozionale, è “corpo che sente, che soffre, che gioisce”, capace di pensiero organizzato anche se non simbolico. Un corpo mentale, “il vero e proprio psichico” di cui parla Freud (1938). De Toffoli (2007) lo ritiene “una materia che assomiglia sempre più a un pensiero”, un corpo i “cui movimenti sono direzionati non solo all’interno del soggetto, ma mostrano anche una componente relazionale, esattamente come i movimenti mentali”(Solano 2000, De Toffoli 2001). Corpo nel transfert e controtransfert.
Secondo la teoria del Codice Multiplo la patologia è legata alla disconnessione tra i tre sistemi dell’organismo (Non Simbolico e i due Simbolici) i quali, in stato di salute, sono connessi attraverso i “nessi referenziali” permettendo che un’emozione sperimentata a livello non simbolico trovi rappresentazione in parole e immagini. Nessi che possono non formarsi a causa di carenze nel contenitore accudente o interrotti da condizioni traumatiche.
Si può arrivare a pensare non più a un disagio mentale che si esprime nel corpo, ma “a un corpo (sistema non simbolico) che reagisce a problemi inerenti la relazione dell’individuo con il suo mondo, trovando scarsa o nessuna connessione con una elaborazione mentale (simbolica), in grado di regolare e offrire espressione e significato alla reazione”. Vengono così evitate colpevolizzazioni al paziente. Non più “malattia psicosomatica”, ma “diverse forme che il disagio può assumere in un continuum tra disturbi psichici, somatici funzionali e somatici organici.
Il significato di quel sintomo e di quell’individuo si costruisce nella relazione analitica, accettando di permanere, paziente e analista, per il tempo necessario in un livello non-simbolico, concreto, sensoriale.
Solano presenta il caso di Ginevra, ragazza di quindici anni che sostenuta e accompagnata in un percorso terapeutico combinato, medico e psicologa quali “contenitori adeguati”, ha risolto un problema di alopecia, mostrando quanto il non esprimere le emozioni attraverso le parole abbia imboccato la strada del corpo.
In qualità di discussant, Angela Galli introduce due punti sui quali riflettere: se siamo pronti al superamento del dualismo mente/corpo e affrontare la logica della “libera convivenza” trattata da Bucci e De Toffoli. Si sofferma sul concetto dualista, a quanto sia difficile abbandonare l’idea che qualcosa che accade nella mente si riflette sul corpo. Ripercorre l’esperienza effettuata nel gruppo di studio “mente–corpo”, del Centro Milanese, nel passaggio dall’occuparsi di pazienti con un disturbo “presumibilmente psicosomatico” a pazienti che presentano disturbi nel corpo e del corpo, e alla difficoltà di porsi in una posizione di attesa e di ascolto di aspetti controtransferali anche corporei.
Riflette sulla logica della “ibera convivenza” tra psicoanalisi e neuroscienze, nel pensiero delle tre autrici, Bucci, Matthis e De Toffoli, dove diversi sistemi di funzionamento lavorano parallelamente.
Discussione con la sala
In una sala con molti partecipanti, attenti e coinvolti, nasce un’accesa discussione. Ci si sofferma su quanto sia necessario, in seduta, lasciare spazio ai pazienti, anche nella interminabile, e a volte monotona, descrizione dei disturbi del corpo; il corpo parla un suo linguaggio quando non trova altri canali per manifestarsi. Parola e non lamento come gli stessi pazienti credono, inseriti in una logica colpevolizzante – “ti sei fatto venire l’ulcera” – di un super-io persecutorio, a volte adottato in ambito medico quando vi è il crollo dell’onnipotenza di fronte a disturbi difficilmente classificabili. E’ difficile rinunciare all’interpretazione e ascoltare il nostro corpo che ci fa capire quello che prova il paziente. E’ difficile abbandonare il dualismo che vede psiche e soma divisi. Viene considerato significativo l’intervento combinato medico e psicologo. Ci si chiede se Non Simbolico corrisponda a inconscio o all’Es, anche se comprende aspetti inconsci, e viene constatato che l’attività del cervello è inconscia al 99%, poca cosa è la coscienza.
E’ necessario con un certo tipo di pazienti, accoglimento, incubatrice, calore, clima, atmosfera e importanza di modulare distanze e vicinanze, riuscire a stare pertanto in posizione non simbolica, in fusione, tollerando l’impotenza senza ricorrere subito all’ interpretazione. Nei dibattiti rimare ancora un implicito: il simbolico è superiore, cosa non vera.
TRANSITI CORPO-MENTE
“L’esperienza della psicoanalisi e i fenomeni psicosomatici in cerca di significazione”
Milano. 24 ottobre 2015.
Aula Magna Università Bicocca.
Apre la giornata Mario Marinetti, Presidente CMP, presentando il percorso odierno, conclusione ideale a quello iniziato negli anni precedenti sull’esplorazione delle comunicazioni precoci. Attraverso situazioni cliniche, si sofferma sul linguaggio “del corpo” in seduta, luogo anche “sensoriale” dove paziente e analista, condividono anche sensazioni prima di poter giungere a rappresentazioni simboliche.
Fabio Madeddu Prof.Ordinario di Psicologia Clinica Università Milano Bicocca, introduce il primo relatore: Basilio Bonfiglio Psicoanalista SPI con funzioni di training.
Basilio Bonfiglio:
“Memorie somatiche e sviluppo della soggettività”
Nella sua relazione Bonfiglio si sofferma sulla nota affermazione di Winnicott che non esiste un neonato senza la madre, riconoscendo l’importanza dell’ambiente e di una madre, nei primi periodi della vita, totalmente identificata con il suo piccolo, identità assoluta tra il bambino e madre che ricorda il noto ’”io sono il seno” di Freud (1938). E ancora con Winnicott (1952) mostra come la carenza di “rifornimento ambientale dell’oggetto” può provocare “ perdita reale di parti di sé del bambino e all’ insorgere di angosce legate alla mancata integrazione dello psiche-soma”; situazione fusionale-simbiotica necessaria all’inizio della vita e che si manifesta nelle analisi, soprattutto di pazienti che hanno avuto un rapporto primario deficitario che non ha permesso lo strutturarsi di un sé sufficientemente coeso. Situazione che va riconosciuta per affrontare manifestazioni che agiscono silenziosamente attraverso “taciti accordi inconsci”.
Come secondo aspetto, Bonfiglio ritiene che la mente può non coincidere con i confini del corpo (Bion 2005, 39-40): si sposta così l’attenzione dal singolo al legame paziente-analista, nella oscillazione tra dissoluzione dei confini individuali (esperienze O di Bion) e riconquista della soggettività.
Tratta la ricomposizione della frattura tra mente e corpo, frattura tipica della cultura occidentale, distinzione psiche – soma che per Winnicott (1953) dipende solo dall’angolo di osservazione. Bonfiglio considera il lungo cammino dal Congresso IPA 1977, centrato sugli affetti, per arrivare a mostrare quanto le emozioni rappresentino “ l’anello di congiunzione tra soma e psiche avendo un’interfaccia somatica riscontrabile oggettivamente e una psichica percepibile soggettivamente”. Cita Solano(2013) per il quale attribuire al corpo caratteristiche della mente significa attribuirgli anche la capacità di conservare memoria degli eventi, anche “memorie somatiche” di esperienze corporee “precedenti al riconoscimento di esperienze oggettuali al seno” di eventi traumatici, di conflitti affettivi inaccessibili al linguaggio, come sottolineano Heimann(1989), Mc Dougall(1989). Anche per Odgen i traumi possono essere registrati nel soma, ad esempio nel modo di parlare e respirare (2007). La psicoanalisi è intesa non più solo cura attraverso la parola ma relazione paziente-analista che si occupa di sensazioni ed emozioni che “non divengono esperienze se non possono essere sognate” (Bion 1962).
Trama affettiva che per De Toffoli inizia a costruirsi già dalla vita intrauterina anche attraverso messaggi biofisici e biochimici; il feto riceve “informazioni sullo stato del soma e della psiche materne ma anche, attraverso di lei, su alcune caratteristiche del mondo esterno che si prepara a incontrare e che incidono (…) sulla sua carne in maniera profonda e spesso irreversibile”(Sapolsky 2004).
Per De Toffoli (2014) ”le capacità psichiche dell’uno rappresentano funzioni somatiche per l’altro e i fatti corporei realizzano eventi, vissuti e costellazioni psichiche”.
L’attenzione in analisi non è esclusivamente indirizzata alla comunicazione verbale ma anche ai segnali dei sensi, del corpo (mimica, postura, tono, voce, sensazioni…) del paziente e dell’analista che diventano “strumento indispensabile per la conoscenza del mondo interno del paziente e segnalatori dello stato della relazione: strumento di accesso ad aspetti non integrati da tenere mentalmente insieme da parte dell’analista, prima della restituzione, della trasformazione da linguaggio del corpo, del soma, in quello psichico, attraverso capacità immaginative e di una reverie ipotizzabile anche somatica.
Nella vignetta clinica Bonfiglio cerca di mostrare come per un lungo periodo di analisi, dialogo e comunicazioni fossero veicolati ”dai segnali del corpo che fornivano un orientamento all’analista, sia riguardo allo stato del paziente sia a quello della relazione ”e la necessità di raggiungere il paziente dove è avvenuto lo scarto e lo scollamento “tra l’immagine di sé fondata sulle capacità neurofisiologiche e relazionali”, oggetto a disposizione dell’osservazione, e ”il senso di sé e dell’altro che corrisponde all’esperienza psico-emotiva che la mente del paziente ha maturato” (De Toffoli 2014). Nella situazione clinica presentata Bonfiglio mostra com’è stata vissuta e recuperata, in analisi, una componente sensoriale scissa di aspetti emotivi infantili proiettati e aspetti del sé dissociati nella relazione con una paziente che, al di sotto di una ipertrofia intellettuale, celava una carenza affettiva precoce.
Marta Badoni, Psicoanalista SPI con funzioni di training:
“Un corpo per pensare dialogo tonico e dialogo analitico”
M. Badoni ripercorre il suo percorso professionale dalla psicoanalisi ortodossa freudiana a quella relazionale, arrivando a dare sempre più “ascolto” al corpo del paziente e dell’analista nel tempo della seduta, dove mente e corpo sono indistinguibili, riferendosi al pensiero e al metodo di cura di J. de Ajuriaguerra. Ajuriaguerra traendo la sua esperienza clinica dal lavoro con bambini, adolescenti e pazienti psicotici, ha orientato il metodo di cura al cercare di raggiunge pazienti psicosomatici e ipocondriaci, da lui ritenuti irraggiungibili con il metodo psicoanalitico classico, orientandosi al “corpo a corpo” in un “dialogo tonico”, struttura dialogante che mette a contatto e contemporaneamente differenzia.
E’ un metodo che porta l’analista a stare in contatto con il proprio corpo “senza un’agitata ricerca di fatti e ragioni”, come Badoni presenta nel caso clinico di un bambino di dieci anni dove handling, holding e rispecchiamento “aprono la strada a una catena associativa”.
Il corpo diventa partecipe e attivo nella relazione con l’altro, relazione modulata dalla modifica continua dello stato tonico di base che riporta anche alla struttura dialogante madre-bambino, delle prime stimolazioni del feto nell’utero.
Badoni si sofferma a mostrare come Ajuriaguerra orienti il suo metodo al sentire la presenza fisica del paziente, “spesso così ricco d’informazioni implicite”, prima ancora che la parola dia il senso, sentirlo sulla carne giacché il “pensiero perché sia vero deve essere incarnato (Green, 1973), le parole devono toccare”, in un rapporto di rispecchiamento che riporta a Winnicott quando descrive il rispecchiarsi dell’infante, all’inizio della vita, nello sguardo materno: “il bambino guarda, risponde allo sguardo, imita, riflette” (Tronik, 2008-Trevarthen, 1998).
Ajuriaguerra, nella pratica clinica con i pazienti dalle emozioni congelate, imprigionati nel sintomo, ritiene che sia il “corpo reale, col suo peso, il suo sentire, il suo rispondere alla presenza dell’altro” che deve prendere il posto della malattia “che lo occupa e lo mortifica”. Il suo metodo analitico, come quello classico, prevede sedute dalla frequenza regolare, il paziente sul lettino, ma l’analista è di fronte in modo che i due corpi siano reciprocamente osservabili: rispecchiamento e contatto fisico per la valutazione del tono, dove l’handling serve a sentire e considerare il corpo nel “peso che ha e il posto che occupa sul lettino” all’interno della relazione, in modo che il paziente inizi a trovare il proprio posto e provare cosa voglia dire essere sé stessi; sapienza prima incarnata per poterne poi parlare, e trovare il peso che il corpo ha nel funzionamento mentale.
Il processo analitico avviene tra l’attenzione fluttuante e la capacità negativa dell’analista, dove sensazioni ed emozioni invadono il campo percettivo e sono accolte nello spazio dell’incontro e nel tempo di sosta, nella e oltre la seduta (Green), per permetterne quella trasformazione che avvia l’attività rappresentativa.
Grotstein afferma (2002) che Freud con le libere associazioni e l’uso del lettino, senza esserne del tutto consapevole, ha “messo al lavoro” l’emisfero destro, dove domina l’inconscio non rimosso. Badoni ritiene che ora noi analisti del 2000, nel lavoro con i pazienti “che faticano a tradurre i loro umori in rappresentazioni, dobbiamo legare gli stati affettivi in attesa di rappresentazione a situazioni esperienziali che possano loro permettere un movimento d’identificazione”, in un “intimo rispecchiamento nello stato affettivo del paziente” dell’esperienza affettiva condivisa.
Angelo Macchia Psicoanalista SPI: “Tra lampo e tuono. Psiche soma e relazione analitica”
Macchia constata che lampo e tuono, pur essendo percepiti separatamente, il lampo precede il tuono, sono processi concomitanti, che fanno parte dello stesso fenomeno, come nelle sequenze oniriche di Freud (1899): “Ciò che precede causa ciò che segue”. Nel Compendio (1938) Freud scrive” La psicoanalisi reputa che i presunti processi concomitanti di natura somatica costituiscano il vero e proprio psichico, e in ciò prescinde a tutta prima dalla qualità della coscienza “. Secondo Macchia il corpo e la psiche sono due categorie della coscienza che servono per rendere il mondo comprensibile, non entità separate ma concomitanti, visibili secondo l’orientamento della nostra coscienza, di come si guarda: “chiamiamo corpo-mente l’esperienza di noi stessi in quanto oggettivamente pensabile, e psiche-soma la stessa esperienza nel suo essere percepita come soggettiva e vivente”(De Toffoli, 2007).
L’affetto può essere, secondo Matthis (2000), l’aspetto psichico di processi somatici e per Solms (1996) è lo stesso fenomeno che è percepito come emozione sulla superficie interna della coscienza e, come stato somatico, su quella esterna. Anche Macchia ritiene che l’emozione abbia “un correlato espressivo somatico” e abbia contemporaneamente “valenza psichica poiché dotata di senso”.
È trattata la prospettiva relazionale di Ogden (2015) secondo la quale vi sono aree dell’inconscio non rimosso dove si collocano tracce di eventi che “accadono ma non vengono sperimentati a seguito del crollo del rapporto madre–bambino” che sono, secondo Macchia (2015), tracce di memoria o memorie spesso traumatiche subite in fasi dello sviluppo precoce “che precede o prescinde o che interferisce con la rappresentazione” dove vi è dissociazione degli affetti o rappresentazioni mai avvenute, che si collocano prima della rimozione. Sono situazioni che si esprimono (Macchia, 2010) in seduta attraverso il corpo che “diventa una delle forme di espressione dell’inconscio non rimosso”; il corpo dell’analizzato s’incarica di dare forma/corpo a pensieri non pensati, elementi sensoriali, somatici, che vengono prima della rappresentazione. Si passa così dal primato della mente sul corpo a una concezione “più democratica” nella quale il soma ha un sapere al quale la psiche non ha ancora avuto accesso: “Ciò che il corpo sa di noi” dice De Toffoli (2001).
Winnicott, in “L’intelletto e il suo rapporto con lo psiche-soma” (1949), tratta della mancata integrazione “psiche-soma” che si verifica fin dalle origini nella vita di un individuo quando nel rapporto madre bambino (dove il corpo è il principale mezzo di comunicazione) vi sono squilibri tra aspetti somatici e psichici per carenza materna. In tal caso: la parte psichica dell’unità psicosomatica” del bambino è spinta ad assumere funzioni materne, causando precocità e ipertrofia intellettiva e psichica, e incapacità di contatto ai propri bisogni profondi. Per Winnicott lo scopo della malattia psicosomatica è proprio il ritiro della “psiche dall’intelletto per ricondurla alla sua associazione intima originale con il soma”(1949). In tal modo, secondo Macchia, si riporta la persona a contatto con i bisogni emotivi dissociati, a quello scollamento delle funzioni cognitive o psichiche da quelle emotive : “Il sintomo somatico favorisce l’opportunità di riaccostarsi ai bisogni emotivi del bambino e del paziente, sollecitando la necessità di una ri-modulazione della qualità affettiva della relazione”.
Partendo dalla presentazione di una situazione clinica complessa, Macchia segnala quanto sia difficile orientarsi nel” flusso ininterrotto delle interazioni all’interno della situazione analitica”, dove esperienze non-verbali e non-simboliche, il non-rappresentato, è messo in scena. Mostra come l’evento somatico abbia offerto in seduta ”la possibilità di accedere a trame relazionali passate e occulte che l’attualità del transfert ha permesso di far emergere”, quello che non poteva essere ricordato perché non rimosso, quell’affetto privo di rappresentazione che non è mai stato cosciente.
Macchia precisa che “dare senso a un evento che si presenta sul piano somatico non comporta necessariamente, e nell’immediato, dare un’interpretazione in seduta”, ma l’analista deve tener conto di quello che sente e pensa anche senza comunicarlo al paziente. In conclusione: ”Non il corpo, non la mente, non il lampo, non il tuono, non le cause, ma i processi, gli umori, le relazioni, i movimenti, le oscillazioni, i transiti”.
Nel pomeriggio Ronny Jaffe’ introduce le relazioni di Luigi Solano e Daniela Alessi.
Ricordando una sequenza del film ” Il postino”, in cui Troisi esprime l’effetto delle parole poetiche sul corpo e le sensazioni provate, jaffe’ commenta l’importanza assunta dalla valutazione della posizione dei corpi del paziente e del terapeuta in seduta.
Presenta poi Luigi Solano, Psicoanalista SPI e Professore Straordinario di Psicosomatica Università La Sapienza Roma:
“Il Corpo—Mente nel pensiero di Carla De Toffoli”
La relazione nasce dalla partecipazione di Solano a un gruppo di studio denominato “Verso l’Unita’ Corpo/Mente”, fondato alla fine degli anni ’90 da Carla De Toffoli presso il Centro di Psicoanalisi Romano e da lei condotto fino al 2011, anno in cui e’ mancata prematuramente.
Un caposaldo della ricerca condotta dal gruppo, dice Solano, è stata la necessità di coniugare conoscenza soggettiva e oggettiva nella ricerca sul corpo: “… dallo studio delle dinamiche transferali e controtransferali espresse nel corpo si passava alla fisica quantistica, agli effetti degli eventi di vita sul sistema immunitario, agli effetti dei campi magnetici”. Il gruppo si è confermato in una posizione che assegna pari dignità al dato soggettivo e a quello oggettivo, nello sforzo di evitare sia l’isolamento di una psicoanalisi che dichiari l’impossibilità di confrontare i suoi dati con quelli di altre scienze, sia il rischio di una subordinazione a discipline ritenute più “scientifiche”.
Il merito di Carla De Toffoli è stato quello di aver introdotto il concetto di unità corpo/mente nel corpus delle conoscenze psicoanalitiche e soprattutto di averne tratto le conseguenze sul piano clinico, incontrando l’enormità di problemi posti dalla posizione definita come “monismo non riduzionista unito a un dualismo conoscitivo”. Lavorare clinicamente con queste premesse è molto diverso dal modo più abituale, basato sul presupposto più o meno esplicito, di esaminare come un contenuto mentale si esprima nel corpo. Tale presupposto, infatti, ha chiaramente radici nel dualismo.
Solano prende in esame le principali teorizzazioni che troviamo nella letteratura psicoanalitica riguardo alle capacità espressive del corpo; lo scopo è di collocare e chiarire meglio la nuova posizione riguardo al significato del sintomo somatico. Lasciando la parola al contributo clinico della De Toffoli ne riconosce la grande generosità e l’indiscutibile capacità espressiva. Da un lato lei afferma e descrive un linguaggio corporeo autonomo; dall’altro sostiene che il significato di un sintomo somatico non esiste in partenza, né può quindi essere considerato universale, ma può essere co-costruito, all’interno della relazione analitica, come avviene per l’interpretazione di un sogno, per esempio.
Il corollario principale del modello unitario corpo/mente, secondo Solano, è che in analisi si presenta un transfert corporeo ma anche un controtransfert corporeo, il che assegna all’analista il compito di coglierli nel campo analitico. Gli esempi clinici sono illuminanti.
Un altro punto centrale, nella teorizzazione di De Toffoli, è che il corpo, come la mente, si sviluppa all’interno di relazioni primarie, e che il suo funzionamento sarà fortemente influenzato da come queste si svolgono fin dalla situazione intrauterina e via via durante le tappe dello sviluppo.
La sottolineatura di Solano riguarda che, se il corpo/mente si costruisce nella relazione, ne deriva che “ il senso del somatico può essere compreso soltanto all’interno di una relazione, come quella analitica, in cui sia possibile analizzare i movimenti della relazione stessa”. Ma se la relazione è necessaria per la comprensione del somatico sarà vero anche il reciproco: il corpo può esprimere, all’interno della relazione, una comunicazione. De Toffoli propone di considerare che il dolore fisico possa comportare “una valenza di legame con sé e con l’altro, assente nell’angoscia psicotica, e che questo particolare passaggio mente-corpo sopperisca e a volte preluda ad altre più auspicabili forme di legame”.
La seconda relazione del pomeriggio è di Daniela Alessi Psicoanalista SPI: “Bridgeover troubled water, un ponte per il misterioso salto”?
Il titolo fa riferimento a una canzone di Simon e Garfunkel e anche alla storia di un progettista svizzero –Toni Ruttimann- che dedica la sua vita alla costruzione di ponti (ponti concreti, in ferro, cemento, corde ecc.) che significano molto per le persone che ne hanno bisogno. Queste costruzioni coinvolgono tuttora le popolazioni, i governi locali, le aziende che regalano materiali di riciclo e infine le persone cui l’esperienza viene insegnata. La proprietà della costruzione viene riconosciuta alle popolazioni stesse.
Sembra, dice Alessi, la descrizione del lavoro che si compie in analisi, dei movimenti che impegnano sia l’intrasoggettivo che l’intrapsichico, soprattutto pensando al lavoro con i bambini (così “incorporato”) e con i pazienti difficili.
Sono le situazioni in cui l’altro “si fa ponte”, come nella relazione madre-bambino, nella relazione analitica e in altri incontri riusciti della vita, quelle in cui si realizza un “va e vieni” delle esperienze somatiche e psichiche dell’uno e dell’altro; situazioni in cui è possibile che si realizzino trasformazioni. Questo è un punto forte di contatto con De Toffoli, di cui Alessi cita –tra gli altri- il lavoro del 2009: “Il corpo vivente nella esperienza analitica”.
Daniela Alessi stabilisce contatti nella letteratura, tra Autori che costituiscono una guida nel suo lavoro come psicoanalista e come esperta di psicoterapia corporea. Sono i riferimenti che precedono e conducono al suo interesse per De Toffoli. L’intento non è certo quello di farne una rassegna (infatti non viene osservato un ordine temporale); piuttosto ella stabilisce dei “ponti” che stupiscono e confortano nella loro vicinanza concettuale.
Freud, fin dal Progetto, Bion e Ajuriaguera, Winnicott, degli anni ’60; fino agli anni ’80 con Gaddini, Aulagnier, Green, Badoni, Barale; e gli anni ’90 e 2000 con sorprendenti concomitanze di pensiero tra Autori di diverse origini teoriche: McDougall, Ogden, Roussillon, Di Benedetto, Duparc, Ferruta e, fin dagli anni ’90, appunto, De Toffoli. Ognuno di loro viene preso in considerazione per l’attenzione al “corpo sensoriale” nel suo essere anche “corpo relazionale”, sia del paziente sia dell’analista. Il gesto, la posizione del corpo in seduta, agito o tenuto nella mente dell’analista. E colpisce anche l’attenzione comune alla necessità dell’attesa, quasi una sospensione rispettosa del momento, imprevedibile, in cui il citato “va e vieni”, diventa testimonianza di una trasformazione. Piccoli passi, non definitivi ma stupefacenti nella loro significatività; le esemplificazioni cliniche, generosamente offerte dall’Autrice, tentano un confronto con gli Altri, cui fa riferiferimento e a cui si appoggia, tollerando la ineliminabile difficolta’ della trasmissione dell’esperienza clinica.
Infine, anche l’incontro con le neuroscienze, rappresentato dalla riflessione sul concetto di “simulazione incarnata”, citando Gallese, Migone e Morris del 2006.
Il lavoro di Alessi termina con una considerazione particolare sulla distanza ottimale tra i due partecipanti della relazione terapeutica, elemento sottolineato anche da Jaffe’ nella presentazione delle relazioni del pomeriggio.
Terminate le relazioni, Anna Oliva prende la parola per un commento basato su un breve excursus degli aspetti clinici messi in rilievo da Bonfiglio, Macchia, Solano, Badoni. Aggiunge l’esposizione di un suo caso clinico; si tratta di un ragazzino in cui i sentimenti depressivi venivano accolti dall’analista attraverso una reazione controtransferale corporea che l’aiutava a cogliere l’intensità dei sentimenti in gioco.
Resta poco tempo, in questa intensa e stimolante giornata, per la discussione dal pubblico. Gli interventi esprimono più che altro la gratitudine e l’ammirazione per i relatori.
Solano, Leonelli, Cassardo, sottolineano la sensazione di concordanza e attivazione di riflessioni comuni, pure in colleghi e gruppi di lavoro distanti tra loro e che non hanno avuto occasioni di scambio. Questa esperienza di comunanza concettuale ed esperienziale è, forse, un aspetto originale e prezioso lasciato in molti di noi da questa giornata di lavoro.
Scarica la locandina:
Vedi anche:
In Report/Materiali
Essere e divenire – L’esperienza della psicoanalisi, a cura di Francesca Izzo
In Neuroscienze/Novità:
A partire dall’unità corpo-mente, di Luigi Solano
In SpiPedia:
Capacità negativa, a cura di Ersilia Cassani
Tecniche corporee/Rilassamento, a cura di Diego Spiller
Memoria implicita, a cura di Cristiana Pirrongelli
In Freschi di stampa:
Carla De Toffoli.Transito corpo mente, a cura di Basilio Bonfiglio
Febbraio 2016