Centro di Psicoanalisi Romano
Ciclo Psicoanalisi e Società:
“Le nuove Identità”
22 febbraio 2014
Report a cura di Monica Marchionni
Si è tenuta sabato 22 febbraio la terza conferenza del ciclo “Psicoanalisi e Società” del Centro di Psicoanalisi Romano. “Le nuove identità’” conclude il percorso in tre tappe partito da “Le nuove genitorialità” e passato poi da “Le nuove dipendenze”. Alle conferenze hanno partecipato professionisti di varie discipline interessati a una riflessione psicoanalitica sulle interconnessioni tra le attuali trasformazioni socioculturali e quelle individuali.
Adriana D’Arezzo* ha aperto la conferenza introducendo il concetto di identità come cerniera tra il personale e il sociale, la filosofia, l’antropologia, la psicologia e la sociologia. Nel 1950 Erikson formula il concetto di identità come una “sintesi globale delle funzioni dell’Io” e come “il consolidamento di un senso di solidarietà con gli ideali e l’identità di gruppo”. Comunemente lo intendiamo come quel “nocciolo duro” che “si sottrae al mutamento, che si salva dal tempo”. D’Arezzo afferma che «In Freud il concetto di Identità non svolge un ruolo teorico primario, mentre quello di “identificazione” è sensibilmente più importante (Psicologia delle masse e analisi dell’io – L’avvenire di un’illusione – Il disagio della civiltà) ». Alcuni teorici relazionali considerano l’istaurarsi e il mantenersi di un senso di identità e di sé come la motivazione umana primaria (S. Mitchell, 1993). Oggi la psicoanalisi vede l’identità come un processo in continuo divenire che evolve attraverso la storia delle relazioni significative, delle identificazioni, delle separazioni e dei traumi e della storia che si trasmette tra le generazioni, organizza lo stile soggettivo di ogni individuo.
L’identità di una persona adulta è caratterizzata da una certa stabilità e flessibilità che gli consente di arricchirsi di nuovi ruoli e funzioni mantenendo una continuità. Ciò permette di affrontare trasformazioni e subire perdite che, pur lasciando ferite nel senso di coesione del sé, non portano alla disintegrazione. I rapporti affettivi, la famiglia, i ruoli sociali e il lavoro contribuiscono al mantenimento della coesione del sé. Proprio su tutti questi piani oggi assistiamo a una crescente precarizzazione. Spesso è il senso di vuoto a denunciare una carenza dei processi di soggettivazione, come d’altra parte la rigidità eccessiva che non consente trasformazioni rivela una fragilità sottostante.
D’Arezzo introduce alcuni degli interrogativi della giornata, il primo riguarda i gradi sostenibili di flessibilità. Quali effetti produce l’essere costantemente “connessi” sui giovani “nativi digitali? Cosa pensare della facilità con cui è possibile dotarsi di una falsa identità con la quale interagire e vivere nei social network? E cosa ne è del sentimento di identità della persona all’interno di quelli che Marc Augè ha soprannominato “ non luoghi”? Si tratta di luoghi la cui identità appare neutra, poco connotabile e collocabile in un preciso contesto storico e culturale (Aeroporti, Autogrill, Grandi Magazzini..), luoghi che ci consentono di attraversare il mondo utilizzando spazi che si propongono identici ovunque, arginando la paura del nuovo e dello sconosciuto attraverso una omologazione. D’altra parte assistiamo all’incremento di lotte estreme volte a espellere e negare l’esistenza dello “straniero”, la differenza dell’altro diventa inquietante e persecutoria, il diverso dentro di noi fatica ad esprimersi, schiacciato da sentimenti di vergogna per la sua unicità.
Daniele Biondo* con l’intervento “Patologie civili e nuovi adolescenti” si è focalizzato sull’adolescenza, periodo evolutivo in cui l’identità viene messa in gioco e in crisi sulla spinta della trasformazione del corpo. Come cambia il lavoro psichico creativo dell’invenzione del sé per la “net-generation” che nasce in un mondo digitale al quale i propri genitori sono -più o meno- esclusi? “Il carattere pubblico” (Bordi, 2005) del funzionamento mentale assume sempre più importanza nella vita della net-generation riducendo la dimensione privata e segreta in cui si svolge il progetto di soggettivazione fondamentale per l’adolescente. In adolescenza lo svolgimento dei compiti evolutivi è favorito dal poter fare esperienza vivificante di appartenenza ad un gruppo di coetanei con il quale condividere la fatica di crescere. Questa appartenenza non può essere surrogata dai social network. L’adolescente – soprattutto se deprivato e traumatizzato- rischia di isolarsi e rimanere imbrigliato in una forma primitiva di gruppo, quella del “branco”. Per “branco” non si intende solo la “banda” giovanile dedita a reati contro la persona o il patrimonio (teppismo, vandalismo, bullismo…), ma più in generale l’organizzazione di gruppo che funziona in termini di “massa anonima e dunque irresponsabile” (Freud 1821, p.264). Le piccole bande agiscono in balia di spinte pulsionali incontrollate e fantasie inconsce patologiche condivise (fantasie di tipo narcisistico-onnipotente, isterico, maniaco depressivo) che favoriscono il disimpegno morale e il misconoscimento dell’Altro. Alcune patologie frequenti negli adolescenti, ma anche negli adulti, si esprimono nelle condotte agite e possono essere lette come “patologie civili”, intendendo ciò che nei gruppi affettivi e socioculturali attacca l’unione, la solidarietà, la coesione e convivenza civile. “Patologia civile” è un concetto che era stato proposto da A. Novelletto (A. Novelletto 2003) per comprendere le profonde trasformazioni della patologie adolescenziali che si presentano alla osservazione dello psicoanalista. Biondo presenta del materiale clinico in cui si evidenzia come nel branco la modalità prevalente di separazione sia la scissione. Invece il gruppo affettivo è organizzato per non escludere nessuno, come soluzione rispetto alla separatezza e alla solitudine. Quando il gruppo di adolescenti si lascia sottomettere alla logica del branco si smarriscono le principali funzioni gruppali costruttive: normativa, differenziante, maturativa ed elasticizzante del funzionamento mentale. Perciò è necessario organizzare una risposta competente ed efficace alle “patologie civili” promuovendo negli ambienti educativi l’esperienza autentica del gruppo con l’aiuto di personale psicoanaliticamente orientato. Questa può costituire anche una tappa propedeutica a un successivo lavoro di analisi nei casi più problematici. Biondo presenta la sua esperienza di lavoro clinico con adolescenti del Centro di Aggregazione Giovanile basato sulla adozione di un “setting psicodinamico multiplo” caratterizzato da una molteplicità di interventi: di gruppo, sportello psicologico, accompagnamento individualizzato, analisi personale, supervisione istituzionale, mediazione inter-istituzionale per operatori.
E’ seguito l’intervento del prof. Massimo Ammaniti* “Identità multiple o liquide in adolescenza?”. L’interrogativo riguarda la trasformazione dell’identità adolescente come appare al clinico e come si connette alla trasformazione della società liquida teorizzata da Z. Bauman.
L’adolescente per la propria stabilità e la propria individuazione ha bisogno di figure di riferimento significative che svolgano le funzioni di conferma e sostegno, continuità, rispecchiamento e idealizzazione come hanno evidenziato Kohut e successivamente Senise . Come è cambiato questo rapporto con le figure di riferimento nella “società liquida” (Z. Bauman) nella quale sono meno presenti i “corpi solidi” famiglia, scuola, istituzioni? Cosa cambia nella società in cui vengono meno i riti di passaggio e le funzioni di contenimento, società della eterna adolescenza, in cui i bambini si vestono da adolescenti così come fanno gli adulti per sentirsi ancora giovani?
Erickson affermava che se i genitori non sono in grado di affrontare l’idea della propria morte intravista proprio in occasione dell’ingresso in adolescenza dei figli, allora i figli non potranno entrare nella vita. Analogamente Winnicott sosteneva che il problema non è l’adolescenza in sé che è “una malattia normale”, ma è se gli adulti sono abbastanza sani da tollerare l’adolescenza dei propri figli. Nella società attuale ci sono molte difficoltà degli adulti nell’aiutare gli adolescenti in questo passaggio.
Se per i pazienti dei casi clinici “classici” di Freud -ad es. Dora- la socializzazione avveniva all’interno della famiglia, ora invece i bambini e ragazzi la sperimentano con un nomadismo tra una molteplicità di spazi reali/virtuali e gruppali.
Viene condiviso del materiale clinico relativo ad un primo colloquio nel quale si può leggere una “identità liquida” dell’adolescente espressa nella difficoltà a descrivere e circoscrivere il proprio sé, a mantenere i confini, con la tendenza a far agire gli altri attorno sé come uno “spazio psichico allargato”. In tale caso i genitori dell’adolescente non sono riusciti ad offrire una spazio psichico di elaborazione e contenimento, di forma e integrazione.
È seguito poi l’intervento di Chiara Rosso*, “Identità in transito e pensiero meticcio: lo scenario della cura” che, approfondendo gli aspetti della metamorfosi identitaria a cui è sottoposto l’individuo migrante, si ricollega al recente Convegno sulla emigrazione in questo stesso Centro di Psicoanalisi Romano (Migranti e loro destini, 30.11.2013. Report in questa sezione di spiweb).
Quando parliamo di migrante indichiamo una categoria vasta e l’intervento di Rosso si è focalizzato sullo scenario psicoanalitico o psicoterapico in ambito libero professionale, a cui afferiscono tendenzialmente i migranti che definiamo ‘per scelta’.
A fianco del migrante classico, con le sue problematiche di sradicamento e integrazione, si delinea la figura del migrante odierno, il quale, spostandosi velocemente negli spazi geografici e virtuali, è figlio di una nuova cultura transnazionale globalizzata. Anche il gruppo eterogeneo dei ‘migranti per caso’ è una categoria in crescita. Queste persone, seguendo le opportunità offerte dalla vita sviluppano una sorta di identità ‘in transito’ in cui finiscono per prevalere gli aspetti migratori su quelli stanziali. Si affacciano allo scenario della cura i cosiddetti ‘migranti di ritorno’ che dopo aver iperinvestito il Paese di provenienza vi ritornano provando a volte una intensa delusione. Gli psicoanalisti argentini Leon e Rebeca Grinberg descrivono, nella loro opera (1984) “Psicoanalisi delle migrazione e dell’esilio”, vari tipi di vincoli o di legami che costituiscono il sentimento di identità dell’individuo e che sono minacciati dal cambiamento implicato dalla migrazione, sia che si sviluppi in una direzione catastrofica che nell’ottica di una evoluzione creativa. Le persone che consultano un’analista per difficoltà a livello del legame sociale, affettivo o linguistico, sono soprattutto in crisi nella loro capacità di tessere legami.
E’ racchiusa nella valigia di ogni emigrante la nostalgia come ‘colonna sonora’ dalle drammatiche tonalità dello sradicamento o come una bussola in grado di orientare il cammino sulla scia delle origini. Si tinge di malattia invece la nostalgia che si sostituisce a qualsiasi altro investimento. L’esperienza migratoria del «radicarsi» o dello «sradicarsi» rispetto a un luogo evoca un ripetuto scenario di perdita e di trasformazione; «l’identità in transito» di chi si confronta con sradicamenti ripetuti può sfociare verso una «identità lacerata». Spesso il migrante odierno incarna la contraddizione di essere presente ma non appartenente a un territorio, con tutte le conseguenze che questo fatto implica (Fabietti, op. cit). Egli, infatti, più che «radicarsi» tende a passare nel Paese ospite per un periodo più o meno definito e con scopi svariati come ad esempio quello di accumulare risorse onde mantenere le famiglie d’origine rimaste in patria oppure ancora transita per motivi di studio o di specializzazione professionale (studenti ERASMUS, aumento della mobilità intraeuropea).
L’analista e il paziente si trovano a lavorare con tematiche della perdita e della vergogna, con la sofferenza relativa alla distorsione del vissuto spazio-temporale del migrante nonché con le problematiche relative al linguaggio quando esso si dissoci dall’investimento della cultura. La sfida è di tener viva la memoria dei luoghi e delle appartenenze del passato senza che essa adombri o occluda il futuro e le potenzialità di tessere legami.
La riformulazione identitaria compromessa si riavvia nel processo di «rinarrazione» intrapsichica resa possibile dalla relazione terapeutica. Il “pensiero meticcio”, che nella sua valenza antropologica scaturisce dall’incontro tra tradizioni culturali diverse, potrà invece esprimere nello scenario della cura e attraverso la fatica analitica, la capacità della coppia terapeuta- paziente a conferire un senso ai frammenti identitari ricomponendoli in un mosaico dotato di una nuova intelligibilità. La tecnica analitica in questi casi includerà il controtransfert culturale come strumento e dovrà confrontarsi con una specifica concezione del tempo accettando anche di “fare con il tempo che abbiamo a disposizione”.
(*) per accedere ad una versione approfondita dell’argomento si rinvia all’articolo on line (www.psiche-spi):
http://psiche-spi.it/incontrarsiodirsiaddio/3/ROSSO-SECONDEBOZZE.pdf
Relatori:
Adriana D’Arezzo, Psicoanalista Associato della Società Psicoanalitica Italiana, Responsabile del Servizio di Consultazione Adulti del Centro di Psicoanalisi Romano
Daniele Biondo, Psicoanalista Associato della Società Psicoanalitica Italiana, qualificato Bambini/Adolescenti, Responsabile Bambini/Adolescenti del Centro di Psicoanalisi Romano
Massimo Ammaniti, Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Professore Ordinario di Psicopatologia dello Sviluppo, Università di Roma La Sapienza.
Chiara Rosso, Psicoanalista Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Psicoanalitico di Bologna.
Bibliografia:
Bordi S. (2005), Rileggendo oggi <<Il disagio della civiltà>>, Psiche, XIII, 2, 105-113, il Saggiatore.
Novelletto A. (2003), Commento. In: Biondo D., Tini F. (a cura di), 285 nodi per crescere. Istruzioni per l’uso. Roma: Editori Riuniti.
Rosso C.(2013) Identità in transito o lacerazione identitaria? Il dolore dello sradicamento e sue ripercussioni nell’esperienza migratoria. In : Psiche in rete. Incontrarsi o dirsi addio? Il misterioso salto tra psicoanalisi e psichiatria. Sez.3. Psicopatologia del presente. N1,1-1
Fabietti U., Malighetti R., Matera V. (2012). Dal tribale al globale. Introduzione all’antropologia. Milano, Mondadori