Klein Today
I Seminari del Centro di Psicoanalisi Romano
Centro di Psicoanalisi Romano
Roma, 20 – 21 settembre 2014
Due calde ( soprattutto per chi veniva dalle piogge del nord ) e intense (questo, credo, per tutti i partecipanti) giornate romane, non si prestano ad essere mortificate in un riassunto. Pertanto, proverò a offrirne gli scorci a mio parere più suggestivi e a illuminarne alcuni angoli forse meno appariscenti, ma molto evocativi.
Il fil rouge che ha attraversato tutto il convegno e ne ha costituito la trama si può condensare nell’aggettivo vitale, nelle sue varie declinazioni: nella teoria, nella clinica, nella tecnica e non ultimo nell’atmosfera che si è creata fra i partecipanti, nell’interazione fra i relatori, i discussant e la sala. Merito anche degli organizzatori, dei Chair, Angelo Macchia, Maria Adelaide Lupinacci e Anna Maria Nicolò, che hanno dato vita, appunto, nel senso più pregnante, ad una giornata e mezzo di incontro e di scambio, ma anche di approfondimento e di conoscenza.
Il pensiero di Melanie Klein è stato distillato nei suoi aspetti più creativi, innovativi e meno dogmatici, permettendo proprio a tutti, kleiniani e non, di riconoscerne il fondamentale contributo, più o meno consapevole, alla propria formazione analitica.
Si è partiti, certo, dalla stanza dei giochi e spesso è lì che ci si è soffermati in questi due giorni, ma anche coloro che (come chi scrive) non la abitano e non la frequentano, si sono sentiti a casa, facendo esperienza di ciò che accumuna i pazienti e i bambini di tutte le età durante l’analisi.
Carla Busato, introducendo il convegno, ha ben sottolineato come la Klein abbia esplorato il preverbale, questa forma di comunicazione altra rispetto alla parola, in modo tale che dopo di lei l’approccio comunicativo di ogni analista ai suoi pazienti si può dire che non sia più stato lo stesso.
Tonia Cancrini ha trattato la dimensione del lutto e della posizione depressiva, riuscendo magistralmente a renderne l’aspetto creativo e produttivo, chiarendo con grande efficacia il rischio ineludibile della sofferenza,( “le conseguenze dell’amore”, potremmo dire) insito nel rapporto con l’oggetto, e allo stesso tempo riuscendo a renderne l’aspetto creativo e produttivo, possibile per chi “abbia sperimentato nella sua vita un buon rapporto primario”.
Dalla sua relazione, con riferimenti clinici esemplari, è risultato in tutta evidenza l’intrinseco legame fra la perdita, l’esperienza del dolore e la conservazione dell’oggetto primario dentro di sé.
La relazione di Anne Alvarez ha avuto una tale capacità evocativa che credo sia stata in grado di convocare in ognuno dei presenti una piccola folla di pazienti, presentificandone le storie e facendone scaturire riflessioni e pensieri nuovi.
Ha ridisegnato (direi quasi letteralmente, illustrandoli graficamente) i contorni della posizione schizo-paranoide, distinguendo stati schizoidi (“certi stati patologicamente senza affetto”) e paranoidi e dando particolare rilievo ai primi, caratterizzati da deficit, o comunque da una “dissociazione così cronica da equivalere ad un deficit”, cioè stati equivalenti ad un “deserto psichico”.
Un concetto fondamentale esposto da Anne Alvarez è stato quello relativo al superamento della posizione schizo-paranoide, in cui l’elemento vitale è emerso con tutta evidenza : ella ha introdotto termini come “potenza”( contrapposta a onnipotenza), “senso di azione e orgoglio”(contrapposti a narcisismi difensivi) e “sollievo, gioia e speranza” (accanto a negazioni maniacali , ordine, ecc..) .
Per questo e per molto altro, come il modo di trasmettere la clinica con alcuni folgoranti esempi, ne è derivata all’uditorio l’idea di teorie psicoanalitiche vive nel senso più profondo del termine, animate dall’incontro con i pazienti e, più in generale, con l’esperienza umana.
Il corollario di questa esposizione è stato il caso clinico presentato con generosità e competenza da Mirella Galeota e commentato dalla Dott.ssa Alvarez: il caso di un bambino autistico, coinvolgente e sofferto, ma anche , in linea con l’apporto teorico di Anne Alvarez, aperto alla speranza . Infatti, così come la musica è “lacrime e rimpianti” ( secondo il Monsieur de Sainte Colombe di “Tutte le mattine del mondo” di Corneau ) il lavoro con questi pazienti può ben dirsi intriso di lacrime e sangue, come ci ha concretamente mostrato Mirella Galeota. Tuttavia, proprio come la vera musica, è capace di evocare e riportare vita nel deserto affettivo descritto da Anna Alvarez.
Il programma della mattinata di domenica è stato molto fecondo, con l’excursus estremamente ricco di Diomira Petrelli sul pensiero di Melanie Klein, della quale la relatrice ha saputo mettere in luce aspetti meno noti del suo personale modo di interpretare la tecnica e l’interessante contributo dal vertice filosofico di Marcella D’Abbiero. Giorgio Corrente ha trattato con molta chiarezza il rapporto fra le teorie kleiniane e il pensiero di Bion, con particolare riguardo all’evoluzione del concetto di identificazione proiettiva nella concettualizzazione bioniana contenitore-contenuto. Francesco Pozzi ha concluso la mattinata con un intervento che ha avuto il potere di condurre gli astanti nel vivo di una rappresentazione del mondo interno, così come la Klein lo ha teorizzato e descritto. Il suo intervento, dal titolo “Ma gli oggetti hanno un’anima?”, attraverso suggestioni musicali, cinematografiche e un caso clinico, ha saputo rendere la potenza delle fantasie infantili (e non solo) e del “mondo magico”.
Come dicevo all’inizio, l’atmosfera in sala è stata quella di un gruppo partecipe e al lavoro. Per questo, la lettura dei testi delle relazioni credo meriti davvero, anche se non sarà proprio la stessa cosa.
12 ottobre 2014
Dal sito del Centro di Psicoanalisi Romano:
Leggi la relazione di Tonia Cancrini
Leggi la relazione di Marcella D’Abbiero
Leggi la relazione di Adelaide Lupinacci
Leggi la relazione di Anna Maria Nicolò
Leggi la relazione di Francesco Pozzi
Leggi, nello stesso sito, l’intervista ad Anna Alvarez a cura di Adelaide Lupinacci