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2-4 ottobre 2014 CPB e CVP Incontro con Daniela Montelatici Prawitz

13/10/14

neonatoIncontro con Daniela Montelatici Prawitz

Centro Psicoanalitico di Bologna e Centro Veneto di Psicoanalisi
2-4 ottobre 2014

Commento a cura di Loris Zanin

Ascoltando Daniela Montelatici Prawitz (Analista con funzioni di training della Società Psicoanalitica Svedese) sono rimasta colpita dalla sua onestà intellettuale e dal suo modo di esporre, con un linguaggio pacato e chiaro, concetti apparentemente semplici, ma in realtà molto complessi e nuovi. Ho avuto bisogno di ascoltarla per un po’ di tempo prima di comprenderne lo spessore di pensiero e di elaborazione sottostanti e di rendermi conto dell’importanza innovativa dell’esperienza psicoanalitica condotta in Svezia di cui fu ispiratore J. Norman (come ha ampiamente descritto nel suo report Cristina Nanetti).
Ho avuto il piacere di ascoltarla, prima a Bologna e poi a Padova, descrivere il metodo adottato nelle consultazioni con i bambini piccoli (fascia 0-2 anni) ed i loro genitori, effettuate presso i servizi sanitari per l’infanzia, insistendo molto nel sottolineare che, anche per queste consultazioni brevi nella fascia 0-2 anni, l’assetto mentale è quello psicoanalitico e di come il modello di riferimento sia stato acquisito ed elaborato grazie a esperienze precedenti di analisi ad alta frequenza genitori – bambini piccoli, effettuate privatamente negli studi degli analisti ( vedi report Nanetti).

Entrando nel vivo di questo modello, Montelatici ha parlato del fatto che il bambino piccolo ha una capacità innata di mettersi in relazione con l’altro e lo stimolo a essere contenuto e, in particolare, una flessibilità a modificare le rappresentazioni di sè e dell’altro che diminuirà poi con l’acquisizione del linguaggio verbale.
Ha mostrato, con esempi clinici, come si fa a comunicare analiticamente con un bimbo nella fascia 0-2 anni, che non ha ancora la competenza del linguaggio verbale, descrivendo come l’analista parli il più possibile al bambino in modo diretto, semplice e sincero, rispetto alle emozioni in campo, con la convinzione che queste comunicazioni possano raggiungere il bambino.
Un aspetto molto interessante e che differenzia questo modello di intervento dalle analisi e psicoterapie infantili con bambini più grandi è che, come regola generale, l’analista non tocca il bambino, né interagisce mai giocando direttamente con lui, ma osserva e commenta verbalmente il gioco che il bambino fa. In un esempio clinico da lei portato: di fronte a un bimbo che si toccava prima i piedi e subito dopo alzava lo sguardo sulla madre e sull’ analista, l’analista è intervenuta commentando: “ cerchi di capire come tutte queste cose, i piedi, la mamma e l’analista, possano stare insieme”
I commenti sono, dunque, nel qui e ora della seduta, sono commenti verbali su quanto lo psicoanalista vede, cercando di cogliere gli affetti che stanno dietro i comportamenti, perché è il bambino che mostra quale e come sia il rapporto tra di loro.
In questa cornice il conflitto si vitalizza ed entra in scena e sono i bambini a mostrare dov’è il problema.
L’attenzione dell’analista è sul bambino e sul campo analitico e specificamente sul transfert e controtransfert. Quest’ultimo funge da bussola per il discorso parlato dell’analista, è un controtransfert molto corporeo e sensoriale ( odori, tensione muscolare eccetera).
Lavorare in un campo analitico in presenza del bambino piccolo costringe l’analista a porre attenzione alla carica che il bambino trasmette, perché è il bambino che catalizza il problema.
Il campo analitico è presente e si costruisce anche nelle consultazioni brevi, con l’attenzione che oscilla tra i vari personaggi della stanza e con l’atteggiamento di ascolto analitico e la capacità di restare nella sospensione e nell’incertezza, lavorando col transfert e controtransfert senza proporre cose concrete. (Talvolta questo stile ha comportato l’abbandono della consultazione per alcuni genitori che si aspettavano più un aiuto su un piano concreto.)
Lo psicoanalista funge da terzo ed attiva una funzione più complessa del rispecchiamento, (mi ha fatto pensare al concetto di visione bioculare di Bion, in quanto l’ analista può attivare una visione più ampia al bimbo ed ai genitori, resi “ciechi ad un occhio” dal conflitto esistente) e l’analista diventa, inoltre, una sorta di traduttore/ decodificatore, attuando tre tipi di comunicazioni:
comunicazioni dirette al bambino,
comunicazioni dirette alla madre via bambino
e comunicazioni rivolte ad entrambi
La centralità del bambino del modello svedese lo differenzia da altri modelli, in particolare da quello svizzero, dove è posta di più l’attenzione agli scenari narcisistici dei genitori che colpiscono il bambino.

Un’ ultima mia considerazione riguarda gli aspetti organizzativi di questa esperienza analitica nei servizi sanitari per l’infanzia. Mi ha, infatti, molto colpito ascoltare come gli analisti svedesi si siano dati da fare e continuino a farlo per ottenere finanziamenti per il loro progetto per la salute mentale dell’infanzia, rispetto al mio immaginario di una realtà svedese evoluta, aperta e disponibile tout court.
-Hanno dovuto cercarsi i fondi, la prima volta che hanno presentato questo progetto la loro richiesta è stata bocciata e l’anno dopo hanno ricompilato la proposta, studiandosi a fondo il regolamento.
Ogni anno viene stilata una rendicontazione dei risultati dell’ attività su quante famiglie si sono viste e sul tipo di problematiche evidenziate.
– C’è, inoltre, un costante impegno a far conoscere e valorizzare quanto gli analisti stanno facendo, sia con questa rendicontazione annuale al Fondo che li sta finanziando, sia promuovendo incontri e dibattiti con la società medica, sia facendosi promotori di pubblicizzarla attraverso i mass media.
Sottolineo questo stile operativo dei colleghi svedesi ed il tipo di rapporto che curano con la società civile svedese, perché mi sembra evidenziare che niente è scontato ed acquisito neppure in questa società avanzata, gli psicoanalisti anche là si debbono “guadagnare” il riconoscimento dell’importanza e del valore del proprio lavoro, in un clima operativo e dinamico, in cui la ricerca di finanziamenti, dai fondi statali ma anche da grosse società private (che promuovono attività socio culturali, ad es. Ikea), fa ormai parte del loro stesso modo di pensare e di procedere .

12 ottobre 2014

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