16 maggio 2015
L’incontro, che ha avuto luogo a Roma lo scorso 16 maggio, è stato organizzato dal Centro di Psicoanalisi Romano e ha coinvolto il gruppo di studio sull’Etica, promosso alcuni anni fa da Riccardo Romano.
I lavori sono stati introdotti dal Vicepresidente della SPI, Cono Barnà, che ha premesso come lo studio e l’approfondimento delle articolazioni individuo-gruppo e individuo-gruppo-istituzione siano oggi, se possibile, ancora più importanti, necessari e urgenti.
Riprendendo un suo articolo del ’94 – dove proponeva un dialogo fra Etica e Psicoanalisi – Barnà ha affrontato numerosi temi come quello dell’Etica Introspettiva, intesa come condizione riflessiva interlocutoria, che risente fortemente dell’influenza delle trasformazioni sociali, politiche e tecno-logiche, fra i cui risultati annovera il progresso tecnologico e la qualità dei media, in grado di consentire una comunicazione globale e totale in tempo reale.
E’ intervenuto, subito dopo, Riccardo Romano, il quale, partendo dal passaggio di Freud <<Noi ci siamo decisamente rifiutati di fare del malato che si mette nelle nostre mani in cerca di aiuto una nostra proprietà privata, di decidere del suo destino, di imporgli i nostri ideali e, con l’orgoglio del creatore, di plasmarlo a nostra immagine e somiglianza per far piacere a noi stessi>>, propone il concetto di Etica psicoanalitica come etica della responsabilità del rapporto che l’uomo intrattiene sia con se stesso che con il mondo. Per Romano, l’etica psicoanalitica non riguarda la morale del comportamento, ma attiene all’essere. Posto questo, si impone nella clinica l’assunzione della responsabilità e il rispetto del nostro metodo, giacché ogni modificazione deve tener conto del dettato della ricerca scientifica, prima di essere praticata e predicata disinvoltamente.
Romano, nel suo “discorso” a braccio, intenso e appassionato, ha toccato diversi temi, teorici e tecnici, fra cui il concetto di “deperibilità della funzione analitica” della mente. Funzione mentale verso cui ciascun/a aspirante psicoanalista protende affinché il lavoro analitico raggiunga i suoi scopi. Un baluardo, termine forse poco elegante – commenta il relatore – ma che, pur tuttavia, rende l’idea di una funzione di protezione, sia per la mente dell’analista, che per il trattamento dei pazienti. Eppure, benché faticosamente conquistata, sviluppata e integrata all’interno della propria identità professionale, non essendo una funzione fisiologica, non essendo costituzionalmente intrinseca alla mente, è soggetta a decadimento. E ciò perché la funzione analitica, intesa come la proprietà della mente di conoscere e modificare se stessa tramite la relazione analitica che la crea ex novo, consta in un apprendimento dall’esperienza della relazione affettiva, che – per sua natura – non può essere né stabile né permanente, ma tende a modificarsi. La funzione analitica dunque – come l’acquisizione del fuoco – richiede un continuo rinnovamento. Dal momento, però, che il suo decadimento avviene inconsapevolmente, l’analista è “obbligato” alla relazione coi colleghi e col gruppo, che possono segnalare quando ciò ha luogo. A tal proposito, vista la difficoltà insita nel mantenimento del metodo psicoanalitico, Romano propone un capovolgimento di prospettiva rispetto all’invalsa considerazione circa la non disponibilità dei pazienti a intraprendere un’analisi a quattro sedute. Egli chiama in causa una rinuncia al metodo, e una conseguente perdita graduale della propria identità professionale, da parte degli analisti, i quali, a questo punto, dovrebbero assumersi, eticamente, la responsabilità delle modifiche apportate al metodo medesimo. Modifiche tecniche che andrebbero vagliate mediante i criteri scientifici.
All’interno di questo quadro, Nicola Nociforo, nel tentativo di leggere e interpretare la condizione mentale caratterizzata da un pervasivo e quanto mai realistico sentimento di mancanza del futuro, una “pandemia psichica” che sembra affliggere l’umanità tutta da ormai alcuni anni, propone di utilizzare il concetto di angoscia d’estinzione, mutuato dal “Gruppo Sigma” – costituito da alcuni psicoanalisti argentini – e sviluppato in collaborazione con un gruppo di ricerca interdisciplinare italiano sulla Pensabilità, Pubblic/azione. Per angoscia di estinzione s’intende un’emozione, gruppale, caratterizzata dal terrore di estinzione della specie umana, familiare, professionale e valoriale, che tormenta gli individui, col suo carico di disperazione e impotenza, attraverso i gruppi interni presenti nella mente di ciascuno.
Il contributo di Nociforo, tenta di mostrare – su un piano meta psicologico – come quest’angoscia abbia contagiato anche gli psicoanalisti e le istituzioni psicoanalitiche, con un effetto di grave deterioramento dell’etica psicoanalitica, intesa come capacità di essere responsabili delle proprie scelte, che significa, innanzitutto, il riconoscimento degli elementi costitutivi della propria identità professionale.
Quest’ultimo lavoro, che introduce nuovi elementi teorici per continuare a riflettere su cos’è, oggi, la psicoanalisi, nell’intento di servire ad aprire discussioni vive, propone un modo di lavorare dell’analista dove emerge la passione e la tensione – continua e talora potentemente dolorosa – di mantenere vivace il dialogo con se stesso – analista, lasciandosi perturbare dal paziente.
Stiamo assistendo a una “contaminazione”, o per meglio dire – in un’ottica etica – stiamo lasciando “contaminare” la psicoanalisi dalla realtà esterna? Forse, il punto è quello di interrogarsi sul tipo di relazione che stabiliamo con quest’ultima; altrimenti si può correre il rischio di perdere di vista la necessità, per un lavoro analitico, di rendere gli elementi e le relazioni della realtà esterna essi stessi oggetti analitici, snodi su cui ci si cimenta, nel tentativo, certamente laborioso, di attivare una capacità di pensare, un pensiero trasformativo, una relazione possibilmente (e auspicabilmente!) inedita.
Il dibattito, che ha fatto seguito alla presentazione dei lavori, coinvolgendo diversi partecipanti in un confronto franco, ha consentito l’approfondimento di alcuni temi, chiarimenti su taluni punti e l’espressione di rilievi critici che hanno alimentato uno scambio appassionato con, e tra, i relatori.
L’incontro si è concluso con una nota di intensa commozione attraverso la rievocazione della tragedia degli sbarchi di migranti, in terra di Sicilia. Ma, questa volta, dalla prospettiva del dramma umano vissuto dai pescatori isolani, i quali, spesso, si assumono la responsabilità di infrangere la legge (dello Stato legata al recente reato di “clandestinità”), scegliendo – eticamente, in continuità con la legge del “mare” – di salvare centinai di disperati che accolgono nelle proprie barche. Metafora – potremmo pensare – della posizione dell’analista che accoglie, soprattutto, le parti psichiche clandestine del paziente per offrire loro diritto di “cittadinanza”, che sceglie di assumersi la responsabilità etica di avere coscienza, sempre, che si sta seguendo le leggi dell’inconscio, che si sta facendo l’analisi, che si sta applicando quel metodo scientifico particolare per il bene del paziente, e null’altro!
Giugno 2015
Vedi Forme dell’Etica Psicoanalitica di R.Romano
Vedi in Report/attività SPI
Vedi in Dossier: Per una nuova Ecologia, Espansioni, Declinazioni possibili per una nuova ecologia di C.A.Barnà
Vedi La difficile arte di stare con la mente di B. Guerrini Degl’Innocenti
Vedi in Video, Psicoanalisti italiani, videointervista a Giovanni Hautman