Centro Milanese di Psicoanalisi
Incontro con Sisto Vecchio: “I processi di soggettivazione nella psicoanalisi francese contemporanea”.
15 Maggio 2014
Sisto Vecchio ci ha presentato un’attenta ricostruzione storica dell’evoluzione del pensiero degli psicoanalisti francesi sui Processi di Soggettivazione, un percorso teorico denso, che merita di essere letto nella sua interezza. Per raccontare la serata ho scelto alcuni punti, appoggiandomi anche alla buona discussione che è seguita alla lettura del testo.
Nel suo lavoro Sisto Vecchio ci mostra come le riflessioni sulla teoria degli psicoanalisti francesi si siano mosse, partendo da Freud, verso una cornice metapsicologica rivisitata in cui l’attenzione si sposta dal soggetto al diventare soggetto. In questo percorso la tradizione freudiana è mantenuta e integrata con le acquisizioni post-freudiane, per trovare una risposta alla sollecitazione delle patologie non nevrotiche, le “nuove forme di soggettività”, come le definisce A. Green, citato in apertura: ”dobbiamo trovare una via di accesso, comunicazione, tra il foyer dell’analisi e i limiti dell’analizzabile…per rappresentare ciò che è la pratica analitica in tutta la sua estensione e la varietà delle situazioni offerte dall’esperienza”. A partire dalla Seconda Topica, Green accentua il ruolo dell’oggetto, e riconoscendo una «vocazione rappresentazionale alla pulsione» propone che « la cellula fondamentale della teoria sia costituita dalla coppia pulsione-oggetto». In questa area di non differenziazione saranno la risposta dell’oggetto, i modi della sua presenza, a giocare un ruolo decisivo nella creazione della «struttura inquadrante», da lui concettualizzata nella “Madre morta”. Questa cornice interna dell’analista, che caratterizza la qualità dell’ascolto analitico, è alla base della funzione oggettualizzante, che sarà matrice della rappresentazione e luogo della soggettivazione.
Sisto Vecchio descrive qui con attenzione il passaggio da una “ metapsicologia dei contenuti” a una “ metapsicologia dei processi”, in cui l’indagine si estende dai contenuti del pensiero ai processi di formazione del pensiero. Nella teorizzazione di Green troviamo riferimento alla “transizionalità winnnicottiana” e alla problematicità dell’uso dell’oggetto, (al tempo stesso da simbolizzare e per simbolizzare), che collega il suo pensiero all’eredità del gruppo indipendente inglese. Nella storia della psicoanalisi francese, sarà R. Cahn, con “La fine del divano?”, a esplorare per primo gli snodi teorici su cui si fonda il paradigma della soggettivazione. In “Subjectalité et métapsychologie du moi”, riflettendo sull’esperienza con pazienti con aree traumatiche precoci che hanno come esito un importante difetto di differenziazione soggetto/oggetto, egli descrive la necessaria funzione soggettualizzante, vera precondizione all’appropriazione soggettiva, che l’oggetto deve fornire, affinché possano avvenire i processi di soggettualizzazione. L’analista deve “… assumere il ruolo facilitante che l’ambiente non ha svolto, ritrovare gli aspetti traumatici della realtà psichica dell’interrelazione soggetto-oggetto negata o esclusa, attraverso le risposte che egli offre al paziente quando inevitabilmente è oggetto dei sovraccarichi e delle pressioni controtransferali…” e indica “Se il sito, infine, è lì per essere utilizzato dal paziente, può essere anche indotto ad adeguarsi al livello delle capacità di soggettualizzazione e soggettivazione.” Cahn apre la via, in questo modo, ai possibili adattamenti dello scrigno (le condizioni materiali del dispositivo), che saranno garantite dal controtransfert dell’analista.
Sisto Vecchio trova qui una convergenza con il pensiero di Roussillon, che occupandosi dell’area dei disturbi narcisistico-identitari, che colpiscono l’organizzazione dei processi della simbolizzazione primaria, pone, a fianco del problema della rappresentabilità, il problema del destino del non rappresentato, proponendo possibili variazioni del dispositivo analitico, per facilitarne la “transizionalità”, e indicando il setting interno dell’analista come il vero garante. L’autore propone il modello del gioco in analisi, come modello alternativo a quello del sogno; un percorso che può permette di andare verso la rappresentazione, quando non si può ancora sognare, perché il funzionamento psichico non permette alcun legame simbolico, suggerendo di “mettersi all’ascolto del gioco possibile, della rappresentazione o del gioco cui manca possibilità di espressione, là dove non si presenta altro che una ripetizione sintomatica”. (“Le jeu et l’entre-je(u)”). La qualità dell’ascolto dell’analista sarà decisiva per offrire la presenza necessaria all’esternalizzazione, che può consentire la possibile ri-presa simbolizzante di quanto non era potuto essere soggettivato. Roussillon sintetizza questa funzione con il concetto di oggetto malleabile, in grado di tollerare i paradossi e sopravvivere alla distruttività che accompagna «la deflessione del trauma sugli oggetti esterni e, quindi, di ristabilire il contatto con il paziente allorché si riproducono movimenti di desoggettivazione e di scissione». La ripetizione non è quindi più solo da sopportare, ma richiede di essere supportata; la presentazione ha bisogno di un pubblico attento e coinvolto, per poter, quando possibile, diventare rappresentazione.
In questo percorso concettuale, accanto al sogno come paradigma, vediamo comparire sulla scena l’atto, inteso come gesto psichico in cerca di rappresentabilità, il setting entra a pieno titolo a far parte del processo ed è ripensato come dispositivo che tende a favorire la trasformazione dell’atto in rappresentazione, diventando uno spazio potenziale in cui il paziente può fare esperienza della propria creatività. Sisto Vecchio chiude il suo lavoro “ aprendo” su una possibile Terza topica, che “costituirebbe la teoria dei processi e delle strutture che intervengono nella costruzione della soggettività, in parte già elaborati nelle topiche precedenti, e in parte elaborati in seguiti o ancora da elaborare” ( Garella)
Almatea Usuelli ha introdotto la discussione, osservando il forte cambiamento dello statuto del soggetto nel ‘900, a seguito del terremoto determinato dallo spirito critico della cultura europea nei diversi ambiti di pensiero. Ha ricordato come “I tre maestri del sospetto”, Marx, Nietzsche e primo fra tutti Freud, abbiano contribuito a questo radicale cambiamento; da soggetto ontologico di Cartesio (“penso quindi sono”), il soggetto non è più “padrone in casa propria”, dovendo ora fare i conti con gli apporti dell’altro, rappresentato dall’ambiente, la società, i rapporti economici, la morale, l’oggetto esterno. Ricordando Bollas (La mente orientale) “ La saggezza della psicoanalisi non consiste nelle sue diverse teorizzazioni della mente o dello sviluppo psichico ma nel processo che essa fornisce”, ha osservato quanto la pratica psicoanalitica indicata da Freud sia stata assolutamente rivoluzionaria, anche se nei suoi lavori teorici non sono stati approfonditi il tema della costruzione del soggetto e l’importanza dei fattori terapeutici. Sottolineando l’importanza della ricerca e dello studio dei movimenti che avvengono in seduta, di al di là del disvelamento del materiale rimosso, ha rivolto l’invito a continuare il cammino, pensando “ che cosa avviene in realtà nella seduta”.
Devo purtroppo sintetizzare anche la discussione stimolata dal denso lavoro di Sisto Vecchio, in cui ci si è interrogati su quel che succede nella relazione e quali sono le vie per fare si che ci siano delle possibilità trasformative. Tra i temi a confronto ricordo la questione della malleabilità, intesa costruttivamente come disponibilità da parte dell’oggetto a lasciarsi segnare dall’incontro, una forma di vulnerabilità che si contrappone all’invulnerabilità dell’oggetto abbandonico, discussa anche come modello che può implicare un minor rilievo all’interpretazione e alla funzione organizzante da parte dell’analista. Un altro tema sollecitato è stato il corpo, con gli aspetti non rappresentabili che devono trovare spazio nella relazione, anche quando non sono simbolizzabili. E’ stata sottolineata, a questo proposito, l’importanza della presentazione, rispetto alla rappresentazione, ricordando incontri con pazienti il cui percorso possibile è: gioco/ ripetizione/ forse rappresentazione.
Lo scoccare delle ventitre ha segnato la conclusione della serata, in obbedienza alla regola del rispetto del riposo per le menti analitiche. Giusto così, ma l’impressione è che si sarebbe volentieri continuato a discutere su questo tema, molto attuale per quanto ci sollecita oggi la sofferenza dei nostri pazienti, ma non certo nuovo, come ci ha opportunamente ricordato Sisto Vecchio, aprendo il suo lavoro con una citazione di Castoradis del 1986 (“Lo stato del soggetto oggi”): “ Il soggetto non sta tornando, semplicemente perché non era mai partito. È stato sempre qui non certo come sostanza, ma come problema e come progetto. Per la psicoanalisi, l’interrogativo sul soggetto è interrogativo sulla psiche…”. E’ stata una bella serata, in cui abbiamo potuto godere della piacevole misura in tutti gli interventi, colorati da un poco di creativo disordine. Paul Klee, giustamente ricordato nella discussione, avrebbe apprezzato l’attenzione che è stata data, “ non alla forma, ma al formarsi”. In fondo quel che dice del ruolo dell’artista rispetto all’opera, ha molto a che fare con il delicato e discreto equilibrio del nostro lavoro: “Nessuno vorrà certo pretendere che l’albero la sua chioma la formi sul modello della radice; non v’è chi non si renda conto che non può esistere esatto rapporto speculare tra il sopra e il sotto. […],[…] Nel luogo assegnatogli, quello di tronco, [l’artista] non fa altro che raccogliere e trasmettere ciò che viene dal profondo: né servo, né padrone, egli è solo mediatore “ (P. Klee, Teoria della forma e della figurazione. Lezioni, note, saggi raccolti ed editi da Jürg Spiller, prefazione di G.C. Argan, trad. it. di M. Spagnol – F. Saba Sardi, Feltrinelli, Milano 19763 ).
Milano, 13 Giugno 2014