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da novembre 2012 a maggio 2013 ORVIETO Global Mental Health: Trauma and Recovery.
05/11/12
Global Mental Health: Trauma and Recovery è il titolo di un Certificate Program che prenderà avvio a Porano e ad Orvieto il 5 novembre 2012 con un ciclo di conferenze, e proseguirà on line fino al maggio 2013.
Il programma si deve al nostro collega Franco Paparo che da anni si occupa dello studio e delle azioni da portare avanti per la gestione degli effetti dei conflitti, delle torture e dei traumi collettivi.
Già nel 2004 con Massimo Ammanniti ha partecipato all’International Congress of Ministers of Health for Mental Health and Post-Conflict Recovery collaborando alla stesura del progetto denominato Project 1 Billion.
Il progetto ha visto la collaborazione dei ministeri della salute di paesi interessati dai più aspri conflitti del nostro tempo, come Afghanistan, Cambogia, Bosnia, Indonesia, Perù, Ruanda e Uganda.
Dall’incontro con altri paesi e le principali agenzie delle Nazioni Unite come OMS e UNICEF è stato formulato il progetto, caratterizzato da un piano d’azione su basi scientifiche e dalla diffusione di un manuale di Best Practices.
L’interesse del lavoro di Paparo, che si rifà a Heinz KOHUT e a Richard Mollica e alla sua opera sulla cura delle ferite invisibili derivanti da traumi sociali, risiede senz’altro nella nozione di empatia come modello di relazione che debba stabilirsi tra il terapeuta e questo tipo di paziente. Il terapeuta stabilisce un dialogo che mette in moto un processo attraverso il quale il paziente stesso diviene capace di usare le sue risorse per nuove scoperte e connessioni, laddove la mancanza di connessioni sembra caratterizzare i traumi post – conflict.
La descrizione del metodo empatico è solida e dettagliata e meriterebbe una lunga e accurata interlocuzione che si può qui proporre soltanto come agenda di lavoro per il futuro.
Due questioni, tuttavia, ritengo estremamente interessanti e meritevoli di essere subito accennate:
1)La sofferenza di chi ha subito traumi come quelli di cui stiamo parlando è davvero invisibile? Chi si è occupato del silenzio come tratto del rapporto tra vittima e carnefice e dell’indicibilità di tali esperienze, al pari di chi ha parlato di invisibilità della sofferenza, ha in realtà svelato e classificato un modo di manifestarsi di questa sofferenza che è, al tempo stesso, individuale e collettivo. C’è uno strumento e una speranza: che la sofferenza sia sempre meno invisibile, sempre meno muta.
2)Il metodo proposto “vieta” il silenzio del terapeuta così come invoca una neutralità scientifica, ma non morale. Le due questioni sono di rilevante interesse e momento. Qui è appena il caso di accennare se veramente debba essere evitato il silenzio del terapeuta, se esso può essere – e non è un ossimoro – un silenzio eloquente e fecondo.
Paparo propone inoltre una lettura di Primo Levi basata sulla tesi che il suo sarebbe “un approccio scientifico originale allo studio della soggettività” che “ è stato invece quasi sempre ignorato.”
Per avvalorare la tesi Paparo si avvale alcune citazioni da “Se questo è un uomo”, che costituirebbero esempi significativi delle accurate ipotesi empatiche di Primo Levi e della sua capacità di formulare un resoconto accurato di ciò che avveniva nella esperienza soggettiva sua e dei suoi compagni di sventura ad Auschwitz. Paparo si riferisce anche a Italo Calvino che aveva osservato come Primo Levi fosse aiutato dal fatto di essere un chimico dotato ed esperto nell’arte ”di separare, di pesare e di distinguere”.
Il risultato è senz’altro affascinante, mi chiedo però, se possiamo concordare del tutto con Paparo quando sostiene “che tutte le citazioni … siano una chiara conferma della mia tesi, secondo la quale Primo Levi, oltre ad essere diventato un grande scrittore, era un etologo della soggettività molto dotato e come tale i suoi due libri “ Se questo è un uomo” e” I sommersi e i salvati” meritino di diritto di essere usati come testi nella formazione universitaria degli psicologi, degli psichiatri e degli psicoanalisti e di tutti coloro che si occupano di persone hanno subito un grave trauma sociale,” o se invece dobbiamo rendere onore al potere della buona scrittura che rende chiari alcuni accadimenti della vita, ma non si assoggetta al rigore della prova scientifica che la snaturerebbe. Fermo restando, comunque, che i testi di Levi hanno un indubbio, oggettivo, valore formativo.
Leggevo proprio in questi giorni Grossmann che descrive la sua esperienza di scrittore alle prese con la stesura del libro, Caduto fuori dal tempo, in cui descrive la morte in guerra del figlio : “[…] il primo impulso a scriverlo è nato dalla volontà di creare un movimento nella staticità assoluta. Nell’immobilità e nel gelo totale che la morte impone non solo a chi muore, ma anche, in un certo senso, a chi soffre per quella morte” e ancora “ Ecco cosa mi ha dato la scrittura: la sensazione di non essere una vittima passiva e impotente di ciò che è accaduto […] E un’altra cosa ho imparato in questi anni. In certe situazioni l’unica libertà che ha l’uomo è di formulare la propria storia con le proprie parole, non con quelle dettate da altri”.
E forse in questo c’è l’aspetto che può interessarci nel lavoro da fare con i superstiti delle situazioni di violenza collettiva: trovare una modalità attraverso cui possano ritrovare la dignità e l’interesse.
In questo l’esperienza e il modello teorico di Paparo ci vengono incontro.
Teresa Lorito
5 Novembre 2012
Per ricordare Franco Paparo
Cari Colleghi devo dolorosamente informarvi della morte di Franco Paparo avvenuta improvvisamente ieri notte. Franco è stato una figura significativa della psicoanalisi italiana , amico personale di H. Kohut, si è molto impegnato nella traduzione e nella divulgazione in Italia delle teorie degli autori più importantanti della psicologia del sé. Era un modello, quello della psicoanalisi del sé, che gli era particolarmente congeniale e per carattere e per lo stile del suo approccio clinico. Fra i precursori negli anni settanta della critica alla istituzione manicomiale, dove lavorò con impegno e abnegazione per anni, mantenne sempre accanto alla pratica clinica di psicoanalista, uno spazio per la ricerca teorica sul trauma e la cura dei pazienti gravi, nella quale si distinse con lavori significativi sia in ambito universitario sia dentro la nostra Società. Franco Paparo partecipava di frequente anche alle iniziative del CdPR con quel suo fare affabile, la propria verve fresca, i commenti originali, gli spunti anche polemici. Aveva il coraggio delle proprie idee, Franco, e uno spirito di ricerca appassionato che lo portò fino alla fine a continuare la sua esplorazione ai confini della psicoanalisi . Ed è così che vorrei ricordarlo, immaginandolo mentre ancora una volta prende la parola per raccontare, con giovanile entusiasmo, delle proprie scoperte.
Giuseppe Moccia