Dossier
Letture da bordo piscina
7/02/11
“Discorso sulle donne”, Natalia Ginzburg.
Una prima lettura è il “Discorso sulle donne”, di Natalia Ginzburg: lo trovate facilmente in rete oppure nel volume “Il pozzo segreto” (Giunti, 1993):
“L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido: quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne (…) Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con il lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi”.
Il “Discorso sulle donne” andrebbe riletto una volta al mese, così, tanto per ricordarsi che i pozzi, dentro e fuori di noi, sono in agguato. Magari ci finiamo noi o magari, peggio, le nostre figlie. I pozzi sono sempre uguali ma assumono forme diverse, per trarci in inganno: perciò, se vivete in Italia, state bene attente alle piscine.
“Relazioni perverse”, Sandra Filippini.
Un’altra lettura da raccomandare è il libro di Sandra Filippini, “Relazioni perverse. La violenza psicologica nella coppia” che Franco Angeli ha pubblicato nel 2006. Questo libro è corto perché l’autrice aveva un cancro e fretta di scrivere: sperava che quello che aveva imparato tornasse utile agli altri. Alle altre. E’un libro conteso alla morte e in lotta con il male. Descrivendo un fenomeno
maligno e dandogli un nome, “maltrattamento psicologico”, Sandra Filippini ha lasciato un dispositivo che consente di mettere a fuoco qualcosa continuamente a rischio di essere misconosciuto. Il maltrattamento psicologico è infatti un maltrattamento di tipo particolare, più
sottile e meno immediatamente riconoscibile del maltrattamento fisico, ma non
meno grave.
“Come si diventa vittime di un altro” è il tema di fondo di “Relazioni Perverse” che muove da un’esperienza dell’autrice nell’Associazione Artemisia – Centro contro la violenza Katia Franci. Questo tema chiama il suo complementare: “come si diventa aguzzini di un altro”.
Sulla scorta di una signficativa casistica, si disegna il profilo del perpetratore: ha un assetto narcisistico di personalità, che può declinarsi in senso “overt” o “covert”, in senso caldo o
freddo, più nello stile del pitbull o più nello stile del cobra secondo le immagini usate da Jacobson e Gottman (“When men batter women”, Simon & Schuster, New York 1998),
non riconosce l’esistenza dell’altro ma dell’altro ha assoluto bisogno per sentirsi vivo ed esistente attraverso l’esercizio del controllo e del dominio. A questo si aggiunge un tratto perverso, di marca sadica (il gusto nel controllare una persona e nel provocarle sofferenza) e cinica.
All’ombra di questa configurazione psicopatologica si sviluppa la relazione della coppia che solo dopo un certo periodo di tempo, spesso in coincidenza con la nascita di un figlio, inizia a
pervertirsi trasformando uno dei due membri -in genere appunto la donna- in vittima dell’altro. “Gaslighting” dal film “Gaslight” (“Angoscia” nella versione in italiano) dove un marito cerca di
far impazzire la moglie isolandola e portandola a non fidarsi più delle proprie percezioni, è diventato un termine in uso nella letteratura anglosassone per descrivere comportamenti che hanno lo scopo di indurre una persona a dubitare di se stessa e dei propri giudizi di realtà, a sentirsi confusa o a temere di stare impazzendo.
Nel corso del graduale ma inesorabile stringersi delle maglie di un cerchio che la rende vittima, la donna prima cerca di adeguarsi alle richieste del compagno, di cambiare, di compiacerlo: ma
non va mai bene, lui non è mai contento e anzi si rafforzano e si aggravano, senza per altro mai diventare precise, le accuse rivolte a lei e il disprezzo con il quale ormai lui la tratta. Confusa, sola, dubbiosa la donna perde stima di sé e subisce il maltrattamento sentendosene colpevole. Più lo subisce più perde in autostima più pensa di meritarselo. Il giro diventa infernale.
A differenza del perpetratore, la vittima della violenza psicologica non ha – e qui sta uno dei punti nevralgici e originali del libro – una storia né un profilo psicopatologico che giustifichino il suo stato: non è, sostanzialmente, una masochista che abbia trovato pane per i suoi denti. Generalmente si tratta di una persona normale, spesso capace nella sua professione e nel compito di crescere i figli. La vittima è resa vittima dalla situazione nella quale si trova e dalla quale non riesce ad uscire. Perché non riesce ad uscire? E’ la domanda alla quale si tenta una risposta nel capitolo “Perché le donne subiscono?” “Relazioni perverse” è un libro sul male, il male che si annida là dove sarebbe impensabile trovarlo e dove dunque, probabilmente, si trova. “Famiglie, io vi odio”.
Il male è un tema che la psicoanalisi ha affrontato a vari livelli a partire dal 1915. Mentre la metapsicologia psicoanalitica si interroga sull’origine della distruttività umana e sull’esistenza della pulsione di morte, la clinica si interroga sui fattori in gioco sostanzialmente dividendosi fra costituzione, educazione e situazione come i tre principali imputati dell’esercizio della violenza. Posto che tutti gli umani hanno un fondo di malvagità e di attrazione per la malvagità, come
avviene che alcuni umani si mostrino più malvagi di altri e altri umani più inermi di fronte alla crudeltà? E’ la domanda. A questa domanda Sandra Filippini risponde seguendo due criteri diversi, usando per così dire, due pesi e due misure: il criterio costituzionale per definire il perpetratore e il criterio situazionale per definire la vittima. Con una battuta dell’autrice, perpetratori si nasce,
vittime si diventa.
E’ possibile però pensare che ci siano eventi di vita o elementi situazionali (per esempio la neo paternità o condizioni di forte stress) che spingano il maltrattante a divenire tale oppure che
favoriscano il risveglio e l’estrinsecazione di tratti psicopatologici di fondo o che lo sostengano legittimando il suo dominio sulla compagna?
Partita anche dal femminismo, questa ricerca anche al femminismo e alla riflessione storica, politica e sociale ci riconduce. Ci riconduce al peso delle ideologie, non solo psicoanalitiche, che sottilmente svalutano la figura femminile e la inchiodano al ruolo di chi è “naturalmente” versata a sopportare, di quella dalla quale è giusto aspettarsi che si occupi con dedizione del marito e dei figli, che faccia dei sacrifici, che sia pronta a farsi da parte per far posto all’uomo. Se delude queste aspettative, è legittimo punirla. C’è insomma, ci si può chiedere fra le tante cose alla fine della lettura, una responsabilità non solo individuale ma anche sociale nel processo che rende
l’una vittima e l’altro maltrattante? E ancora, c’è qualcosa nella stessa istituzione della coppia e della famiglia che le rende luoghi atti a scatenare la violenza?
Potenziali prigioni dove persone relativamente normali tirano fuori il peggio di sé?
Considerazioni
sul cinismo: Filippini, Eiguer, Racamier.
Esplorando la perversione della relazione di coppia, Sandra Filippini si era occupata del cinismo. Il cinico, diceva citando Oscar Wilde, è colui che conosce il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna.
Di questi tempi, la cosa è più che mai interessante. Se non siete ancora stanche, vale la pena di rileggere lo stralcio di un suo lavoro intitolato “Aspetti perversi nella relazione di transfert”, presentato ai Seminari del Centro Psicoanalitico di Firenze il 12 marzo 2005:
“In un interessante articolo del 1999 (“Cynicism: its function in the perversions”. Int. J. Psychoanal 80.4, 671-684), A. Eiguer afferma che il carattere del cinismo rappresenta una componente essenziale della perversione.
Per il cinico non esiste nulla di buono o di nobile nell’umanità e in particolare nel suo interlocutore. Al contrario, egli trionfa nel distruggere bontà e nobiltà, e giustifica la propria mancanza di scrupoli con varie razionalizzazioni. Ciò che conta davvero per lui è il potere e il dominio sugli
altri. Per Eiguer, il motto machiavellico secondo il quale il fine giustifica i mezzi è un’espressione di cinismo, molto comune, appunto, nella vita politica.
Con l’onnipotenza che gli deriva dall’assetto narcisistico, il cinico riesce a convincere gli altri, ad influenzarli, ad indurre in loro sensazioni e comportamenti che essi non vogliono provare. Riesce, ad esempio, a fare sentire gli altri colpevoli al suo posto manipolandoli. Ha un tono sprezzante,
caustico, di comando. Pensa, e induce gli altri a pensare, che niente vale, ma che tutto ha un prezzo – un prezzo che lui vuol far pagare agli altri. Quanto all’origine di questo tratto di carattere, Eiguer propone due diverse ipotesi: la prima, che esso prenda origine, al pari di altri impulsi distruttivi,
dall’istinto di morte per come quest’ultimo è stato teorizzato da Freud, e, la seconda, che esso rappresenti il risultato di un tentativo di compenso rispetto alla frustrazione: bambini le cui madri non sono riuscite a “lasciarsi usare” al momento giusto possono fare propria la sensazione che tutto ha un prezzo e che l'”utile” governa le relazioni tra gli uomini. Non è che per il cinico l’altro non esista: esso deve però venire ricondotto all’interno della logica cinica, deve ridurre il suo prezzo e vendersi alle condizioni che il cinico gli impone. Eiguer propone una lettura del romanzo di Choderlos de Laclos “Les liaisons dangereuses” come esemplificazione del sovvertimento dei valori
operato dal cinico – in questo caso dalla coppia cinica rappresentata dalla marchesa di Merteuil e dal suo allievo Valmont. Per quanto riguarda la mia proposta del concetto di perversione
relazionale, che, lo ripeto ancora una volta, ha preso avvio dal bisogno di spiegare certe forme del maltrattamento all’interno delle coppie, sono in particolar modo debitrice agli autori appena citati, Eiguer e soprattutto Racamier. Del primo mi sembra molto utile l’idea che l’azione del perverso mira ad un sovvertimento della verità e della stessa logica. Per il cinico la verità
non conta: l’altro, la “vittima” deve uniformarsi alla rappresentazione che il cinico ne fornisce, deve piegarsi ad essa. Quanto al secondo, egli fornisce della perversione (parla di “perversione narcisistica”) una formulazione complessa, considerandone vari aspetti. Distingue tra “movimenti perversi” e di “organizzazioni perverse”, per riferirsi a gradi crescenti di stabilità delle
strutture caratteriali corrispondenti; descrive il tratto narcisistico perverso (“caratterosi perversa”) e lo stile di pensiero che le è proprio.
Racamier descrive il meccanismo perverso nei nuclei familiari e nei gruppi, a me interessa mostrarne l’azione all’interno della coppia, indicando in esso l’origine delle dinamiche di maltrattamento psicologico e tracciando allo stesso tempo un profilo della personalità del maltrattante.
Come dicevo, la cosa è molto interessante. Sono andata a rispolverare Paul-Claude Racamier che ne “Il genio delle origini” – 1992, tradotto e pubblicato da Raffaello Cortina a partire dal 1993 – si sofferma a descrivere il pensiero perverso (pp. 314-317: leggete!) e il particolare uso
degli oggetti da parte del perverso narcisistico. Gli oggetti ( di solito persone ) del perverso sono in realtà, per lui, dei non-oggetti, sono ridotti a “utensili”: oggetto-pattumiera, oggetto-zerbino, oggetto-piedistallo, oggetto-pollo.
Oggetto-pollo? Questo forse ci riguarda da vicino, come dire, ci sentiamo a casa:
“Il perverso narcisistico obbedisce a due imperativi: non dipendere mai da un oggetto e non sentirsi mai inferiore.
Lo scopo positivo è la predazione.
L’oggetto della predazione non può essere che preda o “pollo”. Il perverso narcisistico ha bisogno di pubblico e di prede. Ne trova, ma non per questo ha degli oggetti o in ogni caso non ne ha nel senso pieno del termine e certamente non quando esercita la sua perversione.
Questo oggetto della perversione narcisistica è intercambiabile: niente di più e niente di meno che una marionetta. E’ un utensile.
I suoi contorni sono certo riconosciuti, ma non lo è né la sua realtà intima né i suoi propri desideri né la sua parte di mistero.
L’oggetto del perverso narcisistico non sarà, dunque, denegato nella sua esistenza, ma nella sua importanza, non è sostenibile se non a condizione di essere dominato, maltrattato, sadicizzato, ma soprattutto padroneggiato” (p. 310).
Trattare questi temi
senza che la valutazione diagnostica si trasformi in giudizio morale è molto difficile, mi rendo conto. Nella psichiatria positivistica c’erano i degenerati, nella psichiatria psicodinamica ci sono i perversi, categoria ossificata. Ogni categoria clinica del resto corre il rischio di sclerotizzarsi e/o di trasformarsi in categoria morale. Per questo è molto utile pensare ai quadri clinici come a modalità di funzionamento di un soggetto o a qualità di una relazione. Ancora, dobbiamo fare attenzione a non applicare sbrigativamente categorie diagnostiche a complessi fenomeni sociali, politici e di costume, tuttavia, care “ragazze coccodè”, nessuno si augura la triste fine dell’oggetto-pollo. Dunque qualche buona lettura può essere di aiuto: come recita il titolo di un originale libro illustrato a cura di Bollmann e Heidenreich (edito da Rizzoli con prefazione di Daria Bignardi), “Le donne che leggono sono pericolose”.
Almeno si spera.
Stefania Nicasi
Firenze, 5 febbraio
2011.